Dopo l'incriminazione di Trump la politica americana s'interroga
A lungo Donald Trump è stato un narratore capace di maneggiare in modo spregiudicato mezzi e messaggi e di controllare - talvolta imporre, almeno su una parte del pubblico - idee, visioni e, non raramente, la sua concezione del mondo. Poi, durante i quattro anni alla Casa Bianca, il meccanismo si è inceppato. Il potere lo ha illuso di poter piegare la realtà alle proprie convinzioni, ma alla fine si è dovuto arrendere alla durezza dei fatti.
Martedì scorso, quando la fredda macchina delle regole e della legge gli ha strappato di dosso il senso di controllo e la certezza di poter dominare la scena, si è ritrovato di nuovo nel ruolo non del narratore ma del narrato, lo stesso in cui era precipitato la notte in cui Joe Biden lo aveva battuto. Un ruolo al quale non si è mai abituato e che, probabilmente, non è in grado di sostenere. Sul banco degli imputati, il suo sguardo era l’unico perso nel vuoto. Il segnale, evidente, della paura. Troppo grandi le incognite legate a un sistema giudiziario che non ammette istrionismi, né sceneggiate.
L’incognita del futuro
Il giorno dopo l’arresto e l’incriminazione da parte del gran giurì di Manhattan, l’America si interroga su ciò che Trump farà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Alla luce, ovviamente, di quanto già visto negli anni precedenti e di quanto emerso nelle poche ore in cui il tycoon si è ripreso tutta intera la scena, anche se dalla scomodissima posizione dell’indagato.
Mentre i sondaggi, la raccolta fondi e le manifestazioni pubbliche di entusiasmo indicano che le accuse newyorkesi danno ulteriore slancio ai sostenitori del Make America Great Again - il MAGA diventato ormai il marchio di fabbrica della politica trumpiana - non ci sono ancora prove che le stesse accuse stiano aiutando l’ex presidente a espandere la sua base politica. In effetti, anche molti militanti repubblicani hanno espresso il timore che, alla fine, questa vicenda possa danneggiare le prospettive di riconquista della Casa Bianca: gli elettori «oscillanti», quelli che di volta in volta cambiano idea e sono determinanti per vincere le elezioni, non sembrano apprezzare la nuova crociata di Trump contro la magistratura e il sistema giudiziario.
Sin qui, The Donald sembrerebbe beneficiare a breve termine dei suoi problemi legali soltanto con lo zoccolo duro dei sostenitori più accaniti.
Un sondaggio di Yahoo News/YouGov, condotto a caldo poco dopo l’annuncio dell’accusa, ha mostrato che l’ex presidente resta molto più avanti di ogni potenziale concorrente repubblicano per la nomination, ma inesorabilmente dietro Joe Biden nella corsa finale. Così come accaduto nel voto di midterm del 2018 e del 2022, oltre che nelle presidenziali del 2020, molti repubblicani moderati e buona parte degli indipendenti si sono staccati da Trump, «sfiniti - ha scritto Politico - dal suo teatro senza sosta».
L’economia dell’attenzione
Probabilmente è vero, come ha scritto il direttore della newsroom di Associated Press, Ted Anthony, che «nella valuta dell’odierna economia dell’attenzione, Trump è l’uomo più ricco del mondo». L’udienza di Manhattan, martedì, pur essendo «il gradino più basso del dramma recitato all’interno di un procedimento penale, è stato uno spettacolo completo». I cui effetti, però, sono del tutto imprevedibili.
«Nell’arena dell’economia dell’attenzione americana, dove i combattimenti infuriano sempre, Donald Trump rimane una forza potente - sottolinea Ted Anthony - Spostare l’attenzione è stato il suo mondo e la politica è un regno di attenzione». Ma in un altro scenario, quello della giustizia e dei Tribunali, lo stesso che il Tycoon ha sinora «evitato con successo», le cose potrebbero cambiare.
Certo è che Trump, adesso, è stato incriminato. E tutti vogliono sapere: che cosa significa veramente per gli Stati Uniti d’America? Secondo Julia Azari, professoressa di Scienze politiche alla Marquette University - l’ateneo fondato dai gesuiti a Milwaukee nel 1881 - il trumpismo si è nutrito «di comportamenti che si allontanano dalle convenzioni della politica standard; esso è fondato sulla iperpartigianeria e su un establishment politico che risponde soprattutto alle sollecitazioni dell’ambiente da cui è circondato. Trump è stato esattamente chi le sue parole e le sue azioni ci hanno detto che fosse. E ciò che stiamo vivendo non è altro che una “politica della rivelazione”: è come se stessimo semplicemente tagliando la pietra per rivelare la statua - i fatti e le caratteristiche che erano lì da sempre».
La politica della rivelazione, insiste Azari, fa quindi di Trump «uno specchio di come siamo cambiati. E al centro di questa narrazione c’è l’idea che i legami di parte travolgano tutto. Le valutazioni di approvazione del Trump presidente sono state incredibilmente stabili, indipendentemente da eventi positivi o negativi. La nostra è diventata una politica della rivelazione: l’ultimo scandalo in cui è incappato Trump non cambierà molto il modo in cui la gente pensa, e invece mostrerà solo ulteriormente la vera natura della politica e dei nostri valori. Dimostrerà, cioè, che “niente importa“ e che gli americani preferiscono difendere le proprie squadre piuttosto che preservare la loro democrazia».
Il ring di fuoco
Resta da capire se e come in questa America divisa e partigiana, Trump possa reggere il peso delle accuse giudiziarie: quelle provenienti da Manhattan, infatti, sono soltanto le prime di una serie che si annuncia lunga e potenzialmente problematica. Paradossalmente, i maggiori problemi non saranno nel campo avverso, ma in quello amico. Le inchieste, ha scritto ancora il New York Times, sembrano infatti aver «risucchiato tutto l’ossigeno dai suoi rivali interni per le primarie del 2024. Prima di questa accusa era già complicato per qualsiasi repubblicano attaccare Trump. Ora è diventato ancora più difficile». «Siamo tornati a tutto Trump - ha detto l’ex presidente della Camera ed ex candidato alla presidenza Newt Gingrich - E niente rende Donald più felice di questo. Se la sua scelta era tra essere totalmente ignorato o trovarsi nel mezzo di una tempesta di fuoco, lui è nel mezzo di una tempesta di fuoco. Ed è bravo a farlo». Non a caso, quando martedì sera l’ex presidente è salito sul palco di Mar-a-Lago per arringare i suoi di ritorno da New York dagli altoparlanti risuonava la voce di Johnny Cash e del suo Ring of Fire. Chi finirà al tappeto, si vedrà.
Davanti al Tribunale di Manhattan, martedì pomeriggio, Donald Trump si è dichiarato «non colpevole» dei 34 reati di falsificazione di documenti che il procuratore distrettuale Alvin L. Bragg aveva poco prima elencato leggendo un atto d’accusa lungo ben 16 pagine. Reati che, a sorpresa, sono andati molto oltre la dazione di denaro alla pornostar Stormy Daniels per evitare che la stessa rivelasse una presunta storia di sesso risalente al 2006: Trump, ha detto infatti in aula uno dei pm, Chris Conroy, ha «cospirato per minare l’integrità delle elezioni presidenziali del 2016».
Di che cosa è accusato l’ex presidente degli Stati Uniti?
Le accuse prendono le mosse da un pagamento segreto di 130.000 dollari che l’ex avvocato di Trump, Michael D. Cohen, ha fatto a Stormy Daniels negli ultimi giorni della campagna 2016 su indicazione dello stesso Trump. Questi, una volta eletto alla Casa Bianca, ha restituito i soldi a Cohen - ed è qui che è iniziata la frode, a detta della Procura - classificando il rimborso come spesa legale sulla base di un contratto fittizio di collaborazione. Di qui i 34 reati riferiti alla falsificazione di assegni (11), fatture mensili (11) e voci nel libro mastro (12).
Perché è un crimine?
La falsificazione di documenti aziendali è un reato minore. Perché diventi un crimine, il procuratore Bragg dovrà dimostrare quanto annunciato in conferenza stampa, ovvero la violazione della legge elettorale statale che vieta qualsiasi cospirazione per «promuovere l’elezione di una persona a una carica pubblica con mezzi illegali».
Quali novità sono emerse dall’udienza di martedì?
L’ufficio di Bragg ha collegato Trump ad altri «affari segreti»: due pagamenti sottobanco al giornale National Enquirer che, per conto del tycoon, avrebbe “comprato” (per poi tacerle) le rivelazioni di un ex portiere della Trump Tower e le confessioni piccanti di Karen McDougal, una ex coniglietta di Playboy.
Quanto rischia Trump in caso di condanna?
I reati contestati comportano una pena detentiva massima di 4 anni. Se condannato, Trump potrebbe essere assoggettato alla libertà vigilata.