L'anniversario

Due anni fa la tragedia del Mottarone, morirono 14 persone

L'unico sopravvissuto è Eitan, 5 anni all'epoca, al centro di una controversia familiare e vittima di rapimento da parte del nonno, su un jet privato decollato da Lugano
© Vigili del Fuoco
Jenny Covelli
23.05.2023 17:45

23 maggio 2021. Un triste anniversario. La funivia che collega Stresa con il Mottarone, sul lago Maggiore, precipita con quindici passeggeri a bordo. Sopravvive solo un bambino, Eitan. Era una domenica, attorno alle 12.30, una delle prime alla riconquista delle libertà di spostamento dopo le restrizioni per la pandemia. Un cedimento strutturale della fune fa retrocedere a forte velocità la cabina numero 3 della funivia, che stava per raggiungere la stazione di vetta, a 1.490 metri d’altitudine. Il freno di emergenza non entra in funzione perché, si scoprirà poi, il caposervizio lo ha disattivato inserendo dei «forchettoni». La cabina, arrivata a un pilone, si sgancia e precipita per oltre 20 metri, rotolando lungo il pendio per poi fermarsi contro gli alberi. Una tragedia, con 14 morti. Tredici sul colpo, con due bambini ricoverati in gravissime condizioni all'ospedale Regina Margherita di Torino. L’unico a sopravvivere, come detto, sarà Eitan Biran, che oggi ha 7 anni. Era con il papà, la mamma, il fratellino di 2 anni, e i bisnonni in visita da Israele. L'altro bambino, 5 anni, muore quella stessa sera in ospedale.

Immediatamente dopo i soccorsi, al Mottarone arriva il procuratore capo di Verbania che dispone il sequestro dell'impianto. Il magistrato conferma che la causa dello schianto è la rottura del cavo traente «che si è spezzato di netto». Si procede, dice, per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Davanti ai giornalisti, il procuratore spiega le cause dell'incidente: «Anzitutto la rottura del cavo trainante, che è stato rinvenuto spezzato e a terra. A fronte di questa rottura avrebbe dovuto entrare in funzione un sistema di emergenza che avrebbe dovuto determinare il blocco immediato della cabina, cosa che invece non è avvenuta. Il motivo per cui questo non è avvenuto sarà oggetto degli accertamenti». È qui che entra (praticamente) subito in scena il «forchettone», che disattiva i freni di emergenza.

Le indagini, fino alla chiusura

Nella notte del 26 maggio, la Procura emette tre ordinanze di fermo nei confronti del titolare della società di gestione della Funivia Luigi Nerini, del direttore di esercizio Enrico Perocchio e del caposervizio Gabriele Tadini. Quest'ultimo, nell'interrogatorio, ammette di avere inserito i forchettoni per evitare il ripetersi di blocchi del sistema frenante, che da tempo non funzionava a dovere, e per non interrompere il servizio. I tre fermati vengono portati nel carcere di Verbania. A sei giorni dal disastro, viene ordinata la scarcerazione per Nerini e Perocchio, arresti domiciliari per Tadini. A parere del giudice, la chiamata di correità non sarebbe sufficientemente motivata. La decisione suscita una forte reazione nell'opinione pubblica. Nel frattempo scoppiano le polemiche e si parla di «gogna mediatica». Lo scontro tra procura e tribunale si fa acceso. Uno scontro tra toghe, mentre il procedimento viene riassegnato a un altro giudice. Il 1. luglio la procura fa nuove iscrizioni e i nomi nel registro degli indagati passano da 3 a 14. Anton Seeber, presidente del CdA della Leitner, la società altoatesina che si occupa della manutenzione, Martin Leitner, consigliere delegato, Peter Rabansen, dirigente dell’assistenza clienti Leitner e delegato sicurezza, Rino Fanetti, dipendente Leitner che ha eseguito la testa fusa della fune traente superiore della cabina 3. Alessandro Rossi, operaio della Sateco che ha effettuato le prove magneto-induttive nel 2019 e Davide Moschitti che per la stessa azienda aveva effettuato la stessa operazione nel 2020, Federico Samonini, legale rappresentante della Scf Monterosa, Fabrizio Pezzolo, rappresentante legale della Rvs SRL e il suo dipendente Davide Marchetto. Ci sono anche due società sotto accusa, la Leitner (che aveva costruito l’impianto e aveva il compito della manutenzione) e la ditta Ferrovie del Mottarone, che aveva la gestione dell’impianto. A tutti vengono contestati i reati di omicidio colposo e lesioni colpose. Le due società rispondono amministrativamente per omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Alle persone (fisiche) è inoltre contestato il reato di attentato alla sicurezza dei trasporti. Per accertare le cause del disastro, il 22 luglio viene nominato dal gip un collegio peritale. Le perizie, depositate nel settembre scorso e che hanno poi indotto gli inquirenti a sfoltire l'elenco degli indagati, hanno ricostruito le carenze nei controlli e nella gestione dell'impianto: hanno rilevato che la fune era corrosa ben prima dell'incidente e una corretta manutenzione avrebbe potuto rilevarlo. L'uso costante dei «forchettoni» non ha lasciato scampo. 

Avanti veloce fino al 19 maggio 2023, quattro giorni fa. La Procura di Verbania ha chiuso l'inchiesta in vista della richiesta di processo per otto indagati. Destinatari dell'avviso di conclusione indagini, oltre alle due società, sono Luigi Nerini, Enrico Perocchio, Gabriele Tadini, Anton Seeber, Martin Leitner e Peter Rabanser. Si va verso l'archiviazione per sei tecnici esterni la cui posizione è stata stralciata. I reati contestati a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e, per Tadini e Perocchio, il falso.

Eitan sottratto alla zia e portato in Israele (da Lugano)

Il 10 giugno 2021, Eitan esce dall'ospedale Regina Margherita di Torino. E qui inizia la seconda (triste) parte della storia. Il bambino va a Pavia a casa della zia, la sorella del padre, nominata da un giudice come tutrice legale. Il nonno materno, Shmuel Peleg, si oppone: il nipote dovrebbe vivere in Israele, non in Italia. A fine luglio, la zia denuncia la scomparsa del passaporto israeliano di Eitan. Il nonno afferma che ce l'ha lui. All'udienza del 6 agosto, il giudice del Tribunale dei minori conferma la tutoria alla zia, ma il nonno non consegna il passaporto. Il giudice segnala il passaporto di Eitan come documento smarrito o rubato nella banca dati della polizia dell'area Schengen. Emette una nuova ordinanza che invita l'uomo alla consegna entro il 30 agosto, ma lui non lo fa. 

L'8 settembre, una terza persona (Gabriel Alon Abutbul, un israeliano residente a Cipro) noleggia un jet privato a Hannover, in Germania. Il piano di volo? Lugano-Israele. I nomi dei passeggeri? Shmuel Peleg e il nipote Eitan. L’ 11 settembre, arrivato da Israele, il nonno preleva il bambino da casa della zia per il diritto di visita. Alle 18.30 dovrebbe rientrare, ma non è così. Un'ora e mezza dopo, la donna riceve un messaggio: «Eitan è tornato a casa». Peleg ha portato il bambino a Tel Aviv, partendo da Lugano a bordo del jet privato. E l'aeroporto di Agno finisce sotto i riflettori internazionali. Stando alla ricostruzione, quell'11 settembre allo scalo luganese il controllo è durato 45 minuti. L'Ufficio federale delle dogane confermerà in seguito a Falò (RSI) che Eitan e il nonno erano stati riconosciuti. Ad Agno l'allerta della banca dati internazionale della polizia era stata vista. Gli agenti avevano deciso di annullarla e avevano proceduto alla notifica del ritrovamento: invece di bloccare Eitan e il nonno, con il passaporto israeliano del bambino, il documento era stato convalidato. La polizia federale non era stata neppure coinvolta. Le Guardie di confine affermeranno di avere esaminato articoli di giornale, senza trovare riferimenti alla contesa giudiziaria.

Quanto accaduto l'11 settembre 2021, viene considerato dalla polizia italiana come sequestro di persona. A ottobre, la procura di Pavia emette un ordine di cattura internazionale per il nonno di Eitan e il suo complice (colui che ha noleggiato il jet e guidato l'auto, affittata a Malpensa, fino all'aeroporto di Agno) per sequestro di persona e sottrazione di minore. Eitan rimane in Israele per circa tre mesi. Il tribunale dei minori di Tel Aviv e la Corte suprema di Gerusalemme confermano la decisione dei giudici italiani. Ordinano il rimpatrio del bambino, che viene consegnato alla zia in Italia.

L'8 luglio 2022, dieci mesi dopo, la procura di Pavia chiude le indagini nei confronti dei due uomini. Il 7 settembre 2022, Shmuel Peleg si presenta in tribunale, a Pavia. Viene sottoposto a interrogatorio di garanzia. «Pensavo di avere diritto di stare con mio nipote, di avere fatto una cosa lecita – si difende –. Il piccolo è sempre stato bene con me, non l'ho mai nascosto, appena siamo arrivati a Tel Aviv ho informato subito la zia e le autorità locali». Il gip sostituisce la custodia cautelare in carcere con il divieto di dimora a Milano, Varese e Pavia (dove il bambino vive con gli zii paterni e i cugini), e dispone per l'uomo anche il divieto di avvicinamento al nipote. Peleg rientra in Israele, a Tel Aviv.

A fine novembre, Shmuel Peleg si dice pronto a risarcire Eitan per garantirgli gli studi e le cure (e ottenere il patteggiamento). Il 15 dicembre 2022, il gup di Pavia accoglie le richieste di patteggiamento a 1 anno e 8 mesi e a 1 anno e 6 mesi, con pena sospesa, per rispettivamente Shmuel Peleg e (l'autista) Gabriel Alon Abutbul. 

La lapide, un anno dopo

Il 23 maggio 2022, un anno fa, Stresa ha celebrato il primo anniversario del crollo della funivia del Mottarone con una lapide in pietra locale, con la scritta in latino «a perenne ricordo» e i nomi delle 14 vittime. Esattamente dove la cabina numero 3 ha concluso la sua folle corsa. Una cerimonia sobria, per consentire ai partecipanti di vivere in modo intimo il dolore.

Questa mattina, in cima al Mottarone, è stato celebrato il secondo anniversario. Don Gian Luca Villa, parroco di Stresa, durante la messa ha dichiarato: la recente chiusura delle indagini da parte della Procura di Verbania ha rivelato «chiare e gravissime responsabilità umane che hanno comportato la morte di innocenti. L'incidente non è stato un castigo divino, non il frutto di un imprevedibile fato, non un crudele destino. Ci sono persone dalla coscienza intorpidita che, nella logica disumana e irresponsabile del "tanto non capita nulla", hanno provocato la morte di 14 innocenti». Auspichiamo che il processo possa garantire quanto prima una giustizia umana come minima e doverosa restituzione di fiducia e speranza nella vita e nelle istituzioni preposte», ha aggiunto il prete che, al termine della funzione, ha ricordato il nome e l'età delle 14 vittime.