Primo piano

E la depressione mi avvolse nella «non vita»

Andrea Pomella, scrittore, ci accompagna nel suo viaggio dentro la malattia
All’inizio si prova dolore, dopo un po’, nella depressione subentra una sorta di assenza di sentimenti. ©CdT/Archivio
Giovanni Pellegri
21.09.2019 06:00

Abbiamo l’impressione che da qualche parte dentro di noi esista un misterioso meccanismo che determina il nostro umore, come se si trattasse di un’imperscrutabile equazione capace di addizionare le cose positive e le cose negative della nostra vita. Un cielo blu, la telefonata di un amico, i traguardi raggiunti, l’attesa di qualcosa che desideriamo, diventano dei «+», le mancanze, le difficoltà, le incapacità, i limiti, le fatiche, le malattie, diventano dei «-». Alla fine si sommano i «+» e i «-» ed ecco emergere, come se fosse un computo aritmetico, l’umore del giorno. Ma è così che funziona? E quando nulla è capace di procurare piacere, a quali parametri l’equazione fa riferimento? Ne parliamo con Andrea Pomella (nella foto sotto), autore del libro «L’uomo che trema» (Einaudi, 2018), nel quale racconta il suo difficile viaggio nel mondo della depressione.

«Io mi sono accorto che un computo del genere non valeva per me», racconta Andrea Pomella. «Il mio umore reagiva come se la realtà circostante non esistesse, come se la realtà di riferimento fosse un’altra, come se quest’altra realtà fosse, tendenzialmente più brutta della realtà oggettiva». Andrea Pomella sentiva chiaramente che il suo umore era in balia di altri meccanismi, ma era difficile identificare quali fossero. «In questa malattia – commento Pomella - sembra esserci qualcosa in cui tutto confluisce. Una volta durante una presentazione pubblica un ragazzo mi ha detto che a leggere il mio libro veniva voglia di essere depressi. Mi ha fatto sorridere, ma mi ha dato anche una chiave di lettura interessante. Probabilmente quel ragazzo ha intuito che attorno alla depressione orbitano dei temi fondamentali sulla natura dell’essere umano. È una malattia che ci obbliga ad abbandonare le antiche visioni cartesiane e ci invita a considerare l’uomo nella sua complessità di essere biologico relazionale e sociale».

La tristezza non è depressione

La definizione «disturbo dell’umore» potrebbe trarre in inganno. Qui non si sta parlando di buono o cattivo umore, di persone più o meno estroverse o simpatiche. La depressione è una malattia. «Sì, però è strano, - continua Andrea Pomella - non ha la forma di una vera e propria malattia. Anche nella mia famiglia è sempre stata bollata in quattro parole: “Hai un carattere difficile”. Qualcosa che, di volta in volta, aveva a che fare con l’ombrosità, con l’asocialità, con il peso di un’infanzia travagliata, nei momenti peggiori con un’inguaribile indolenza. Ma non era niente di tutto questo, o forse era la somma di tutto questo. Sapevo che c’era qualcosa in me che non poteva essermi attribuito come una colpa, ma non trovavo le parole per spiegarlo. E quindi per decenni mi sono preso la colpa, la colpa di avere un carattere difficile».

La depressione maggiore spinge i malati in un «non-luogo», avvolti da una «non-vita», abitata da «non-persona». Non si ferma alla dolorosa percezione di insignificanza ma cancella persino i sentimenti. Esiste qualcosa di peggio del dolore: il nulla. «Se nelle fasi meno gravi – racconta Pomella - la percezione che la vita è realisticamente priva di significato era accompagnata da tormento, amarezza e inquietudine, nelle fasi più gravi l’insignificanza non mi suscitava più nulla, era diventata a sua volta insignificante. La presa d’atto dell’irrilevanza della realtà non mi toccava più i gangli vitali, e perciò io non potevo più ritenermi, a rigor di logica, un essere vitale. Era una realtà chiara e pacifica, indiscutibile, una realtà che semplicemente non prevedeva che io fossi ciò che sono. Nell’immensa, assurda architettura della realtà, che io fossi o non fossi non aveva alcuna importanza».

Se la percezione è scollegata dall’emozione naufraghiamo su un’isola di desolazione emozionale così profonda da apparire una morte.

Il mondo non capisce come stai

Abbiamo chiesto a Pomella qual era la cosa più cara che la malattia gli aveva tolto. «Il desiderio», risponde senza esitazione Pomella.

«Non hai più la capacità di desiderare nulla perché nulla ha la forza di imporsi come cosa desiderata. E tra l’altro tutto questo ti conduce alla solitudine. Forse l’unico sentimento che rimane intatto è quello di solitudine, perché tu sei immerso in un modo nel quale non incontri niente e nessuno. Ti senti profondamente solo. Provi anche un forte sentimento di incomprensione nei confronti del mondo. Il mondo non capisce come stai. Il mondo è capace di dirti quelle banalità come «fatti una passeggiata al parco che poi starai meglio. In quel caso tu senti di essere ancor più solo. L’unica cosa a cui si aggrappa visceralmente una persona depressa è la malattia stessa. È l’unica cosa a cui conferisce senso. Per questo se si sminuisce la sua malattia («dormici su che andrà meglio»), rischi di mettere la persona malata con le spalle al muro. La privi dell’ultimo fondamento che la tiene in piedi».

C’è chi sostiene che la malattia può divenire un’occasione per guardare alla realtà in maniera più profonda, densa.

«Io ho, invece, ho potuto sperimentare che la mia malattia era uno strumento fallace, distorsivo della realtà. Quando pensavo alla cosa più cara che ho, mio figlio, mi ricordo che vivevo una sensazione che mi atterriva perché vedevo mio figlio come un contenitore vuoto, un corpo umano svuotato di significato profondo. È questa è la visione ultima della realtà? E questo il senso profondo delle cose? No, lo rifiuto».

«È evidente che stiamo parlando di una distorsione - conclude lo scrittore Andrea Pomella. Bisogna fare attenzione ad una cosa: una persona depressa non prova sentimenti, la depressione è la totale assenza di qualsiasi tipo di percezione sensibile rispetto a ciò che ci rende profondamente umani. Se io quindi vengo privato della capacità di provare sentimenti posso affermare di disporre di uno strumento potente che mi permette di conoscere meglio la realtà? Io credo di no. Questa è la risposta che mi sono dato dopo aver fatto questo viaggio all’inferno».

GLI APPUNTAMENTI

La depressione può colpire chiunque. Secondo l’OMS 300 milioni di persone nel mondo soffrono di depressione. Ciononostante, si tratta di un disturbo ancora troppo stigmatizzato da una società che lascia poco spazio al disagio psichico. Spesso i campanelli d’allarme vengono sottovalutati, o addirittura repressi, andando così a peggiorare una situazione che invece può essere risolta se presa a carico correttamente. Ecco quindi 4 appuntamenti pubblici promossi dal DSS-Ufficio del medico cantonale nell’ambito del progetto «Alleanza contro la depressione Ticino», in collaborazione con L’ideatorio USI, che invitano la popolazione ad avvicinarsi alla depressione attraverso proiezioni cinematografiche, letture, teatro ed esperti.

23 settembre, Auditorium USI, Lugano; rappresentazioni teatrali dell’attore Dante Carbini commentante da Emiliano Albanese, prof. Salute Pubblica USI; Luca De Peri, psichiatra; Piera Serra, psicologa.

21 ottobre, Spazio Aperto, Bellinzona; letture sceniche dell’attrice Margherita Saltamacchia commentate da Tazio Carlevaro e Michele Mattia, psichiatri; Nicholas Sacchi, psicologo.

17 novembre, Cinema Lux Massagno proiezione gratuita del film Little Miss Sunshine commentata da Mariagrazia Canepa, medico di famiglia e dalla psicologa Angela Andolfo Filippini. Inizio ore 17.00.

20 gennaio 2020, Sala Sopracenerina, Locarno. Rappresentazioni teatrali dell’attore Dante Carbini commentante da Sara Fumagalli e Graziano Martignoni, psichiatri e da Matteo Magni, psicologo.

Tutti gli incontri sono gratuiti e inizieranno alle 20:30. Maggiori informazioni sul sito www.ti.ch/depressione

LUCA DE PERI*: Curarsi e guarire è possibile

I dati sono incoraggianti. La depressione si può curare: con i dovuti trattamenti dalla depressione si può guarire. Tuttavia, solo il 65% delle persone depresse riceve un trattamento. Per ricevere le cure c’è infatti uno scalino difficile da superare: avere il coraggio di dichiarare la propria malattia. Ma difficile farlo perché ci sono diversi stigmi attorno a questa malattia. Innanzitutto, è sempre molto presente lo stigma generale della società verso la malattia mentale. Esiste, però, anche un auto-stigma della persona malata: essa vive un sentimento di colpa, di vergogna e d’inadeguatezza che gli impedisce di comunicare il suo disagio e quindi di accedere alle cure.

E obbliga la persona malata a camuffare il suo disagio profondo. Albert Camus diceva che «nessuno si rende conto che alcune persone spendono una incredibile quantità di energie al solo scopo di sembrare normali». La persona depressa cerca di mantenere una facciata di normalità per corrispondere meglio alle aspettative della società. È un autoinganno tragico e drammatico doppiamente penalizzante.

Il primo passo per uscirne consiste nel parlarne con le persone vicine. L’accesso alle cure non deve necessariamente passare sin da principio dai servizi psichiatrici, si può benissimo parlarne in primo luogo con il proprio medico di famiglia. Anche perché lo psichiatra può rappresentare un terzo stigma. Dire che si va dallo psichiatra è ancora percepito come qualcosa di strano e potenzialmente discriminante. Anche per questo, al fine di facilitare l’accesso alle informazioni, all’OSC è stato attivato un numero telefonico (0848 062 062), sempre raggiungibile, che permette di parlare con operatori formati in salute mentale in maniera più diretta e semplice.

Quanto alle prospettive di guarigione, esistono forme lievi, moderate e gravi di depressione. Ciascuna tipologia richiede professionisti e trattamenti diversi. Sicuramente, nei casi più gravi, è indicato un approccio integrato di tipo farmacologico, psicoterapico e psicosociale. In generale, dal punto di vista epidemiologico, la guarigione, con la completa risoluzione dei sintomi, si attesta tra il 70% e 80% dei casi. A chi si chiede da dove nasce la depressione o se è una disfunzione biologica rispondo che nella genesi della malattia ci sono fattori biologici, genetici e psicosociali che interagiscono tra di loro. Si tratta quindi di un disturbo complesso con un`eziopatogenesi multifattoriale.

Capisco chi sostiene che la psichiatria di fatto può ancora poco contro molte malattie mentali. Da un lato vi sono malattie psichiatriche, quali la depressione, dove la guarigione è un obbiettivo raggiungibile. Questo è opportuno ricordarlo, non solo per dare un messaggio legittimo di speranza, ma anche per non alimentare ulteriormente lo stigma. Dall’altro, vi sono alcune patologie per le quali la remissione dei sintomi della fase acuta rappresenta un obiettivo di cura pragmatico e più realistico. In termini generali, è comunque innegabile la necessità da parte della psichiatria di dotarsi di nuovi modelli esplicativi per superare le attuali lacune nella comprensione delle malattie mentali e delle molteplici forme del disagio psichico e offrire trattamenti più adeguati.

* medico specialista in psichiatria e psicoterapia presso la Clinica Psichiatrica Cantonale dell’OSC di Mendrisio

EMILIANO ALBANESE: «Anche i sintomi lievi meritano attenzione»

La malattia mentale spaventa, è innominabile, sconosciuta, dolorosa, oscura. Eppure ci appartiene, appartiene a tutti perché accompagna il normale percorso umano. I dati epidemiologi dimostrano che alcune malattie mentali sono molto frequenti e che il confine tra malattie e non malattia a volte è una linea esile che può essere oltrepassata più volte nel corso della vita. Ne parliamo con Emiliano Albanese esperto in salute pubblica presso la Facoltà di scienze biomediche dell’USI.

«Sì, oggi è ampiamente accettato che un approccio dicotomico, malattia mentale sì/ no, sia troppo semplicistico. Oggi si protende più per un approccio diagnostico basato sui diversi livelli di severità dei sintomi e delle loro ripercussioni sul piano funzionale e dell’autonomia personale. In questo modo la diagnosi di una malattia mentale non riguarda più e solamente gli stadi più severi. Sintomi anche lievi sono degni di attenzione, non tanto o non solo per la terapia ma piuttosto per la prevenzione».

Qual è l’impatto delle malattie mentali?

«Alcune malattie mentali sono molto frequenti. Per esempio, la depressione, e più in generale i disturbi dell’umore. Semplificando, una persona su quattro soffrirà, prima o dopo, di una malattia mentale nel corso della sua vita. Ciò significa che una persona su quattro avrà sintomi che le causeranno un’importante sofferenza psicologica, e delle limitazioni funzionali e/o sull’autonomia della persona».

Che a loro volta hanno delle ripercussioni molto più ampie...

«È vero, la depressione, per esempio, è la prima causa di assenza dal lavoro, e quindi i cosiddetti costi indiretti sono altissimi. La depressione è anche la seconda causa di disabilità su scala mondiale. Va inoltre considerato che molte malattie mentali hanno un forte impatto anche su chi sta a fianco a chi ne soffre, prima di tutto i famigliari. In generale l’impatto delle malattie mentali è molto marcato anche perché si tratta spesso di malattie croniche che appaiono durante l’età adulta (tra i 30 e i 50 anni), in alcuni casi anche prima. Al contrario, le malattie croniche somatiche (diabete, molti tumori, malattie cerebro- e cardio-vascolari, e neurodegenerative) aumentano in modo quasi esponenziale con l’età e sono quindi molto più frequenti nella popolazione anziana».

Quindi la depressione è meno frequente tra gli anziani?

«Assolutamente no, al contrario. La depressione è molto frequente tra gli anziani anche se è tipicamente sotto-diagnosticata con l’avanzare dell’età. Ciò che intendevo dire è che esiste una sorta di effetto cumulativo per le malattie mentali, che è maggiore rispetto alle malattie somatiche. Questo perché iniziano prima e durano più a lungo».

Quali legami esistono tra malattie somatiche e psichiche?

«La salute mentale e quella somatica sono intimamente legate tra loro e interdipendenti. Hanno fattori di rischio (e protettivi) comuni. Inoltre esistono diversi meccanismi attraverso i quali si influenzano reciprocamente. Un nostro recente studio ha confermato che le persone che soffrono di malattie mentali, e che hanno utilizzato servizi psichiatrici vivono fino circa 20 anni di meno, in media, rispetto alla popolazione generale, e che la causa del decesso è quasi sempre una malattia somatica, per esempio un tumore o un infarto. Questo significa non solo che chi soffre di malattie mentali ha anche una o più malattie somatiche (e viceversa!), ma anche che spesso (se non sistematicamente...) la diagnosi e la terapia di una malattia somatica tra coloro che soffrono di una malattia mentale sono rispettivamente più tardive e di minore qualità; mentre il contrario non è necessariamente vero. Anzi, un bravo oncologo sa perfettamente che la diagnosi di un tumore maligno, grave, ha potenzialmente un impatto psicologico molto negativo sul paziente».