«È ora di chiudere la macelleria ma noi lo facciamo con serenità»

«Mi dia tre luganighe per favore». «Ecco qua. Altro?». «Due fese di tacchino, poi sarà tutto». Di conversazioni così, al civico 9 di via Zurigo, non se ne sentiranno più. Stasera la Macelleria Luisoni di Lugano chiuderà la sua porta per l’ultima volta, e con essa una storia di famiglia cominciata nel 1936. Il titolare, Roberto Luisoni, ci ha raccontato il perché.
Signor Luisoni, chiudete innanzitutto perché lo stabile in cui siete in affitto verrà demolito per far posto a uno nuovo. Non era possibile riaprire altrove?
«No... Per prima cosa i miei figli non avrebbero preso in mano l’attività. E io sono felice delle strade che hanno scelto. Riaprire vorrebbe dire ripartire quasi da zero sostituendo gran parte del mobilio e degli apparecchi, per adattarci alle leggi attuali o alla metratura dei locali nuovi. Sarebbe molto oneroso: un investimento da circa un milione».
I clienti come hanno reagito alla notizia?
«I clienti all’ingrosso come ristoranti, scuole, case anziani e altre strutture sono sollevati: abbiamo un accordo con la Prada alimentari di Bioggio, della famiglia Gabbani, che darà continuità al nostro servizio. E, cosa molto importante, assumerà tutti i nostri dipendenti. Vedo invece molto dispiacere tra i clienti del negozio. Alcuni lo sono da una vita, come una signora di novantanove anni che abita qui vicino, da sola, ed è abituata alla nostra presenza. Ci sono i grandi magazzini, è vero, ma noi abbiamo sempre cercato di dare un servizio diverso, più personale».
Cosa significa fare il macellaio oggi?
«È un mestiere molto bello, e che funziona, anche se è cambiato. In passato vendevamo spesso pezzi di carne interi, quasi con l’osso, mentre oggi sono molto richiesti i piatti pronti, come il brasato, che comunque cuciniamo sempre in modo artigianale. La vendita all’ingrosso è sempre molto importante, considerando che riforniamo diverse manifestazioni. Tranne durante la pandemia, che ha bloccato tutto questo ambito. In compenso, con l’impossibilità di andare in Italia, è aumentato il lavoro in negozio, anche se complessivamente siamo stati penalizzati».
A proposito di Italia: la concorrenza da parte di chi vende carne oltre confine è un problema costante.
«La differenza di prezzo esiste, inutile nascondersi. Ma se fosse solo quella... Al momento pesano anche il cambio euro-franco, che è quasi uno a uno, e il fatto che fare benzina nella penisola costa meno, anche se poi per arrivarci bisogna consumarne. Non sono contrario di principio alla spesa in Italia, ma farla solo e sistematicamente là non mi sembra corretto nei confronti del nostro territorio».
Che consigli darebbe a un giovane macellaio che vuole aprire il suo negozio e, magari, iniziare a scrivere una storia come la vostra?
«Innanzitutto serve molta passione: bisogna dare tutto e non guardare troppo l’orologio. Quando si rifornisce una sagra, ad esempio, bisogna entrare nell’ottica di lavorare la domenica. Per il resto posso consigliare di partire con un locale piccolo, che richiede un investimento iniziale minore. L’importante è avere anche la parte produttiva, proponendo qualche prodotto fatto in casa».
Nella vostra macelleria lo spirito di suo padre e di suo nonno è ancora molto presente: dalle foto appese sulle pareti ad altri ricordi degli anni che furono. Non sente il peso di non portare più avanti la tradizione familiare?
«Sì e no. Mio padre è venuto a mancare un anno e mezzo fa, e prima che se ne andasse avevo già parlato con lui di questa possibilità. Anche lui pensava che sarebbe stato complicato continuare, era una persona molto pratica. Se non avessimo dovuto lasciare lo stabile saremmo andati avanti, comunque siamo tutti tranquilli per la scelta fatta. Io rimarrò nel settore: lavorerò per l’Associazione Mastri Macellai Salumieri e continuerò a tenere i corsi per gli apprendisti macellai».