Il caso

E ora la Russia rischia di perdere 500 aerei

Le sanzioni che hanno colpito Aeroflot e le altre compagnie hanno ripercussioni pesanti: entro il 28 marzo diversi Airbus e Boeing in leasing dovranno ritornare ai legittimi proprietari
Marcello Pelizzari
05.03.2022 06:00

Banalità: gli aerei sono fatti per volare. Chiariamo il concetto: le compagnie, se i velivoli restano a terra, perdono soldi. Lo abbiamo visto durante la pandemia. Per i vettori russi, l’incubo è tornato. Complici le sanzioni occidentali che, va da sé, toccano pure l’aviazione. E chissà quando torneranno lassù Ukraine International Airlines e le altre compagnie ucraine. Si parla del 23 marzo, ma la guerra sarà finita? Sì, no, forse.

C’è chi aveva investito forte in Russia
Per chi si fosse perso le puntate precedenti, le compagnie russe al momento non possono volare nello spazio aereo europeo e in quello nordamericano. Non possono neppure ricevere i pezzi di ricambio da Airbus e Boeing, per tacere dei servigi di società di manutenzione come Lufthansa Technik. Ora, beh, rischiano di perdere una grossa fetta dell’intera flotta civile.

Il motivo è presto detto: dei circa 1.000 apparecchi attualmente in circolazione in Russia, tre quarti sono di origine occidentale, con Airbus e Boeing a recitare la parte del leone. Non solo, nel caso specifico parliamo (quasi) solo di aerei in leasing. Ovvero, i legittimi proprietari non sono Aeroflot, S7 e le altre compagnie russe ma i cosiddetti lessor. Le società finanziarie specializzate in queste operazioni. Alcune sono russe e, particolare importante, sono legate alle grandi banche del Paese. Altre, invece, sono straniere. In base alle sanzioni, le società straniere hanno tempo fino al 28 marzo per terminare i loro contratti con le compagnie russe e, se possibile, recuperare i loro aerei. Hai detto poco.

I nomi in gioco sono fra i più noti del settore: AerCap, Air Lease Corporation (ALC), SMBC Leasing and Finance, Carlyle Aviation Partners. Se le compagnie russe piangono, i lessor – di certo – non ridono. Anzi, stanno vivendo il tutto con una certa apprensione. AerCap, l’attore più grande, per forza di cose è anche quello più esposto. Possiede 140 aerei «russi» secondo la società di analisi britannica IBA, citata dal quotidiano economico francese Tribune. Una flotta nella flotta consistente, risultato dell’acquisizione dell’americana Gecas nel 2021.

Poi ci sono ALC e SMBC con una trentina di velivoli a testa. E ancora Carlyle, Castelake, CDB Aviation, Avolon Aerospace, Aviation Capital Group con una ventina di apparecchi ciascuno. Numeri alla mano, sono meno esposti rispetto ad AerCap. Tuttavia, unendo i puntini parliamo comunque di 150 aerei e di attivi accumulati per miliardi di dollari. C’è chi, come Fortress Transportation, ha scommesso forte sulla Russia: piazzandovi il 7% della propria flotta. Ahia.

Restano i Sukhoi
Cirium, un’altra società di analisi, in un dispaccio di Reuters ha parlato di oltre 500 aerei che, da qui alla fine del mese, dovranno rientrare alla base. Di fatto, la metà rispetto all’intera flotta russa. Si tratta, come detto, della maggior parte degli Airbus e dei Boeing attivi nel Paese.

Se le sanzioni venissero applicate alla lettera, per farla breve, la Russia si ritroverebbe con appena duecento fra Airbus e Boeing (ma senza il sostegno tecnico delle aziende fornitrici) e altrettanti apparecchi «locali», fra cui il Sukhoi SSJ100 che – però – non ha mai convinto appieno e, ancora, ha avuto più di un problema lungo la catena di approvvigionamento. Basti pensare che all’estero, dove avrebbe dovuto rappresentare un’alternativa convincente per il corto raggio, non ha mai sfondato.

Il resto, dicevamo, appartiene a lessor russi e cinesi, oltre alla DAE Aviation di Dubai. Le società finanziarie russe sono legate a doppio filo alle grandi banche, pure loro finite nel vortice delle sanzioni ad immagine dell’esclusione dal sistema SWIFT: VTB Leasing è una costola di VTB, per citarne una.

Se di mezzo c’è pure SWIFT
Ora, appunto, si tratterà di fare uscire dalla Russia i vari aerei. Prima, ad ogni modo, i lessor dovranno rompere i contratti di leasing. Il dialogo con le autorità e le compagnie russe rischia di essere freddo, se non freddissimo. Quanto ai voli in sé, la chiusura dello spazio aereo europeo complica (e non poco) le cose. Servirà, verosimilmente, uno scalo in un Paese terzo.

Non sembra rientreranno, invece, i pezzi di ricambio che attualmente si trovano in Russia ma appartengono alle aziende occidentali. Il materiale che era stato pre-posizionato nel Paese prima dello scoppio della guerra, insomma, per il momento rimane dov’è sebbene Aeroflot e gli altri vettori non possano avervi accesso.

Sia quel che sia, per i lessor si annunciano tempi grami. Si ritroveranno con un surplus di aerei imprevisto e, di riflesso, senza diverse rate di leasing negli estratti conti. Non finisce qui. Come la mettiamo, ad esempio, con i pagamenti in corso? E che ne sarà delle riserve di manutenzione che le compagnie sono tenute a pagare per i futuri costi di ristrutturazione degli aerei tra un leasing e l’altro? Come fare e cosa aspettarsi, in generale, considerando l’esclusione della Russia dal sistema SWIFT? Quanti e quali costi riusciranno a coprire i vettori russi?

Il conto, per le società finanziarie di leasing, rischia di essere elevatissimo. D’altronde, gli aerei sono fatti per volare.

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