Il caso

E se le proteste contro il turismo di massa si estendessero oltre la Spagna?

Da Barcellona a Malaga, passando per Maiorca e Gran Canaria, le ultime settimane nel Paese iberico sono state costellate da proteste legate ai troppi visitatori – Un funzionario dell'Unesco avverte: «Se non si interviene, il fenomeno potrebbe colpire anche altrove»
© AP Photo/Emilio Morenatti
Red. Online
12.08.2024 10:34

Agosto. Mese di viaggi e vacanze. Di mare o di montagna. Di relax o di avventure. Ma anche di proteste. Proteste indirizzate proprio ai turisti, sempre più numerosi. E sempre più «pericolosi» per i residenti, che in molti posti, ormai, li vedono unicamente come «ospiti indesiderati». Colpevoli di contribuire all'aumento dei prezzi – in particolare delle case – o al deturpamento di alcuni luoghi, come nel caso di Venezia. 

La situazione è piuttosto critica. Nelle ultime settimane, decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nelle destinazioni più celebri della Spagna – Barcellona, Malaga, Granada, ma anche nelle isole come Maiorca o Gran Canaria – chiedendo a gran voce di limitare il turismo di massa e di riconsiderare il modello di business attuale. A causa dei troppi visitatori, infatti, si sarebbe registrato un incremento dei prezzi generale, che sta spingendo molte persone ad abbandonare le città per spostarsi in luoghi più tranquilli. 

I manifestanti, lo sottolineano, non sono contro il turismo. Ma contro l'approccio che il governo ha verso i turisti. L'obiettivo non è quello di bloccare l'accesso ai visitatori, ma quello di trovare un equilibrio. Proponendo regole e misure, come quella introdotta da Venezia per limitare l'accesso alla Serenissima, o come fatto da Barcellona nelle scorse settimane, con la decisione di aumentare da 3,25 a 4 euro il costo pro capite della tassa turistica. 

«Quello che stiamo vedendo è che stiamo violando una soglia di tolleranza di queste destinazioni», ha dichiarato Peter DeBrine, responsabile senior del progetto Unesco per il turismo sostenibile, al Guardian. «Ora stiamo davvero cercando di riequilibrare una situazione totalmente disequilibrata». Prima, insomma, che sia troppo tardi.

In Spagna, a far traboccare il vaso, è stata, come anticipato, la questione degli alloggi. I lavoratori di Ibiza, per esempio, si sono ritrovati a non aver un posto dove dormire, e a doversi accontentare di furgoni, roulotte e tende, per lasciar spazio ai turisti. Ma si tratta solo della punta dell'iceberg di un problema ancor più complesso. 

A preoccupare gli spagnoli – i primi fra tutti ad aver dato il via a vere e proprie proteste – ci sono anche i comportamenti «sbagliati» dei visitatori. A Maiorca, ormai da due anni, i ristoranti hanno introdotto un dresscode per «frenare il turismo antisociale». Limitando, di fatto, tutte quelle abitudini dei turisti giudicate «inopportune», come entrare in un locale a torso nudo, in abiti da spiaggia o con residui di sabbia sul corpo. 

Il rischio, però, come detto, è che la situazione sfugga di mano come accaduto qualche settimana fa in Spagna, quando i manifestanti hanno preso di mira i turisti, spruzzando loro acqua e sventolando cartelli con scritto «Tornate a casa». Ma, come sottolinea il funzionario dell'Unesco, l'aspetto più preoccupante è un altro. Le proteste, infatti, potrebbero estendersi anche ad altre destinazioni, particolare in Europa. «Sicuramente, queste manifestazioni non scompariranno finché non arriverà una sorta di risposta», ha sottolineato DeBrine. Risposta che potrebbe arrivare proponendo soluzioni sostenibili come quelle offerte nelle ultime settimane da Copenhagen, o introducendo un ticket d'entrata come fatto da Venezia. «Non tutte queste soluzioni funzionerebbero necessariamente», ha dichiarato il funzionario Unesco al Guardiam. «Di certo, però, si tratterebbe di alternative migliori a ciò che succederebbe se le autorità dovessero rifiutarsi di riconoscere il problema. In quel caso, le proteste contro il turismo potrebbero varcare i confini della Spagna». Ed espandersi nel resto d'Europa e del mondo. 

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