Ecco le conseguenze, anche ticinesi, della guerra sul turismo religioso in Terra santa
Una perdita di 2,5 milioni di dollari al giorno. A farla registrare è il settore del turismo religioso in Cisgiordania. Questo, almeno, secondo quanto sostiene il Ministero del turismo dell'Autorità palestinese. Già, perché a fare le spese della guerra tra Israele e Hamas scoppiata il 7 ottobre dell'anno scorso c'è anche il settore dei viaggi legati alla fede che rappresenta un'importante fonte d'entrate per Israele e Cisgiordania.
Dal punto di vista economico, la situazione attuale, è lapalissiano, è una catastrofe per le comunità cristiane della Terra santa. Particolarmente colpiti sono gli abitanti di Gerusalemme Est, ovvero la parte palestinese della città, e quelli di Betlemme, luogo di nascita di Gesù secondo la tradizione cristiana. Prima della guerra, quest'ultima città accoglieva 1,5 milioni di visitatori all'anno; a partire dal 7 ottobre, invece, essi sono calati del 67% secondo quanto riporta l'Autorità palestinese.
«Tutti qui soffrono per le conseguenze della guerra: ebrei, cristiani e musulmani», dice alla Tribune de Genève George Akroush, direttore dell'Ufficio dei progetti di sviluppo del Patriarcato latino di Gerusalemme. «I cristiani rappresentano l'1% della popolazione, ma sono quelli che patiscono di più. La maggior parte del turismo in Israele e Cisgiordania è un turismo cristiano e il 72% dei cristiani della zona vive di turismo».
Il fatto che il settore del turismo religioso in Cisgiordania e Israele sia in crisi a causa della guerra è del resto testimoniato dalla situazione in cui versano le stradine che conducono alla Basilica del Santo Sepolcro. Qui, la maggior parte di negozi e commerci è ormai chiusa perché non ci sono più visitatori che ne acquistino i prodotti.
Problemi anche per gli organizzatori di viaggi
A trovarsi in una situazione difficile a causa della guerra non sono comunque solo le persone che vivono di turismo religioso in Israele e Cisgiordania, qualche grattacapo lo hanno pure coloro che organizzano viaggi nei luoghi di culto della cristianità.
«Sono ormai due anni che non organizziamo più pellegrinaggi in Terra santa», esordisce, da noi contattato, don Massimo Braguglia, direttore dell'Opera Diocesana Pellegrinaggi (ODP) della Diocesi di Lugano. «Del resto lo stesso Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) sconsiglia viaggi in Israele. Ciò significa che, in caso di problemi, non interverrebbe. Date queste premesse, non possiamo prenderci la responsabilità di portare persone nel Paese».
L'impossibilità di proporre viaggi in Terra santa, a ogni modo, non ha un impatto negativo sulle finanze dell'ODP. «Non siamo un'agenzia viaggi, bensì un ufficio della Diocesi che si occupa di offrire pellegrinaggi, viaggi spirituali e culturali», chiarisce don Braguglia. «Il nostro obiettivo non è dunque generare profitto, ma coprire le spese. Inoltre, quello in Terra santa non è l'unico viaggio che proponiamo e quindi la nostra attività non si basa esclusivamente su questa meta».
Se dal punto di vista finanziario l'impatto della guerra è minimo, non si può dire altrettanto da quello del morale. «Per me così come per molti fedeli è un dolore non poter tornare in Terra santa», confida don Braguglia. «Anche perché questa meta è il cuore dei nostri pellegrinaggi: visitare la terra di Gesù è sempre un'emozione».
La meta era piuttosto ambita. «Ogni anno si iscrivevano circa 20-25 persone». Variegato il profilo dei partecipanti, tra i quali non c'erano solo fedeli. «È vero, andiamo dal cattolico praticante a chi non crede ma vuole provare l'esperienza passando per chi partecipa ogni anno. Poi chiaro, la maggior parte delle persone che viaggia con noi ha il desiderio di andare dove si è svolta la storia di Gesù». Più omogenea, invece, l'età dei viaggiatori. «Ad aderire alle nostre iniziative sono persone che hanno cinquant'anni o più. Questo anche perché i nostri pellegrinaggi non sono organizzati durante le vacanze scolastiche e quindi i più giovani avrebbero difficoltà a prendervi parte», conclude don Braguglia.
Anche per Hotelplan la guerra in corso tra Israele e Hamas ha avuto un impatto minimo dal profilo finanziario. «La nostra agenzia non ha mai organizzato viaggi in Terra santa, proponevamo invece viaggi di gruppo o individuali in Israele. Essi non avevano però un carattere religioso bensì culturale: l'obiettivo era visitare un Paese e la sua storia», esordisce, da noi contattato, Davide Nettuno, portavoce per la Svizzera italiana. «Bisogna comunque dire che come meta, Israele ha sempre avuto una bassa richiesta, questo anche perché il Paese ha sempre avuto una storia travagliata caratterizzata da guerre e tensioni». Oggi, poi, visto che sia il DFAE sia la Farnesina sconsigliano di recarsi in Israele, Hotelplan ha cancellato il Paese dalle proprie destinazioni. «In ogni caso, attualmente nessuno viene in agenzia dicendoci che vuole andare in vacanza in Israele».
Se alle nostre latitudini, la guerra tra Israele e Hamas ha avuto conseguenze limitate sul settore del turismo, diversa è la situazione in Francia dove, come spiega la Tribune de Genève, diverse agenzie specializzate in viaggi a carattere religioso si trovano in difficoltà. L'attività di Routes Bibliques, per esempio, si basava per circa il 60% sui viaggi in Terra santa. Anche per Terra Dei, agenzia basata a Gerusalemme, sono tempi difficili. Prima dello scoppio della guerra, impiegava una quindicina di persone, oggi, invece, i dipendenti sono dimezzati e lavorano a metà tempo. Disperato è il grido del suo fondatore: «Abbiamo resistito per undici mesi, ma non saremo in grado di sopravviverne altri undici nelle condizioni attuali».
Pure le comunità religiose in difficoltà
Ugualmente in difficoltà, infine, sono le comunità religiose. A Betlemme, per esempio, non è rimasto più un soldo nella cassetta delle offerte della basilica della Natività. Il denaro raccolto permetteva il sostentamento di una decina di frati francescani incaricati di accogliere i pellegrini.