«Ecco perché il palco dell’Ariston fa così paura»

SANREMO - Il Festival di Sanremo è la una delle più complesse e articolate macchine dell’intrattenimento musical-televisivo, della quale però il pubblico vede solo una piccola parte. Un po’ come gli iceberg che nascondono sott’acqua buona parte della loro massa, la rassegna è infatti qualcosa che va al dà delle cinque serate televisive: è un enorme cantiere che prende il via molto tempo prima. E non solo dal punto di vista tecnico e artistico. A parlarci di cosa c’è dietro le cinque serate all’Ariston è Moreno Ferrara, uno dei più noti vocalist italiani, con alle spalle una trentennale esperienza discografica e live a fianco di moltissime star (da Mina a Ramazzotti, da Baglioni a Vasco Rossi a Zucchero) e che da quasi un ventennio fa parte del team musicale della manifestazione.
Come funziona l’allestimento del Festival di Sanremo?
«È un complesso mosaico i cui primi tasselli cominciano ad essere assemblati parecchio tempo prima. In pratica una volta scelto il cast s’inizia subito a lavorare. Quest’anno, ad esempio, la macchina si è messa in moto il 2 gennaio: ci siamo ritrovati tutti a Roma, nella sede della Rai, dove si sono svolti i primi 15 giorni di lavoro sulle canzoni in gara e su qualche sigla. Dopodiché ci siamo trasferiti a Sanremo dove abbiamo rivisto i cantanti, fatto una terza e quarta prova con loro prima di dedicarci agli ospiti e ai presentatori, ai loro sketch. In pratica si tratta di un lavoro che mediamente richiede dalle 5 alle 6 settimane».
A che ritmi?
«Altissimi e frenetici: si lavora ogni giorni, festivi inclusi, con ritmi che a mano a mano che ci si avvicina la rassegna diventano più intensi. Se a Roma si lavorava dalle 10 del mattino alle 8 della sera, qui a Sanremo nei giorni che hanno preceduto il festival si è spesso iniziato la mattina, restando poi in teatro fin oltre la mezzanotte».
Cosa rende l’allestimento di un festival come quello di Sanremo complesso?
«Il fatto che ogni suono e ogni voce è dal vivo: non c’è nulla di registrato. Bisogna inoltre considerare che la produzione è studiata in modo da essere fruita in modo ideale sia in sala che in tv. Qualcuno potrebbe pensare che non c’è differenza tra le due cose, invece ce n’è molta e rende ogni lavoro oltre modo complesso. Eppoi ci sono tante canzoni: quest’anno ne abbiamo 24 solo in gara, cui si aggiungono le performance degli ospiti, i duetti, gli sketch, le sigle e quant’altro. Ecco, sono soprattutto queste ultime cose a richiedere un grosso dispendio di energie e di tempo. Che negli ultimi giorni e durante il festival non c’è proprio, mettendo queste cose a rischio. Se infatti le canzoni in gara, bene o male, abbiamo avuto tempo di studiarle e metterle a fuoco, le altre proposte, spesso, vengono imbastite in pochissimo tempo. Oggi ad esempio abbiamo le prove e può capitare – anzi capiterà di sicuro – che arrivi una partitura che dobbiamo assimilare in pochi minuti».
E ce la si fa sempre?
«Diciamo che a quel punto viene fuori l’esperienza del nostro team, ma anche la sua duttilità e la capacità di adattarsi in breve ad ogni situazione».
Qual è l’approccio dei cantanti alla complessa macchina musicale del festival, soprattutto all’orchestra?
«Ce ne sono di ogni tipo. Ci sono quelli che fanno un po’ i saputelli ma che poi sul palcoscenico se la fanno sotto nonostante siano dei veterani della rassegna e quelli più umili gentili. Ma in ogni caso con ciascuno di loro si crea quasi sempre un buon rapporto di collaborazione».
E quello dei direttori d’orchestra?
«Anche qui ce ne sono di due tipologie: quelli che avendo seguito l’artista anche in studio di registrazione sono in grado di intervenire con maggior incisività durante le prove per ricreare particolari suoni o atmosfere e quelli che invece sono stati ingaggiati solo per il festival e che si sono limitati a trascrivere le partiture per l’orchestra: questi ultimi, ad essere sinceri, incidono molto meno sul prodotto finale».
Accennava al fatto che anche artisti navigati sono intimoriti a cantare a Sanremo. Perché il palco dell’Ariston fa così paura?
«Perché non è un palco come gli altri. Cantare con un’orchestra in un contesto in cui gli equilibri sono così delicati non è semplice per nessuno. E la presa di coscienza del fatto che basta un nonnulla per rovinare tutto, incide moltissimo sul lato emotivo: ti toglie il fiato, ti fa mancare la salivazione. Per non parlare del fatto che ci sono milioni di persone che ti guardano... Sì, cantare a Sanremo è difficile, anche per gli artisti più navigati».
Diamo infine un rapido sguardo al Sanremo d quest’anno visto a dietro le quinte...
«È un Festival strano, in cui è in atto un profondo cambiamento musicale sulla scorta dei mutamenti in atto in tutto l’universo della canzone. Ci sono nuovi linguaggi che si stanno imponendo e che creano una discontinuità con un passato anche recente. Si tratta di cambiamenti positivi o negativi? Difficile dirlo. Quello che posso dire che di canzoni belle capaci non solo di piacere il pubblico ma anche di rendere il nostro lavoro divertente, non mancano».