L’analisi

Ecco perché la psicologia del complotto è presente in tutti noi

La convinzione che alcuni eventi siano manipolati in segreto dietro le quinte da potenti forze è un sentimento che si è vieppiù rafforzato negli ultimi anni, ma quali meccanismi della psiche soddisfa una teoria del complotto? In diversa misura, siamo tutti un po' complottisti? Lo psichiatra e psicoterapeuta Raffaele Morelli ci dà una lettura di questo fenomeno sociale
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Valentina Coda
16.01.2021 19:04

Sulla Luna? Non ci abbiamo mai messo piede. L’11 settembre? Una catastrofe architettata dalla CIA. L’assassinio di John Fitzgerald Kennedy? Pure. La COVID-19? Una malattia creata in laboratorio e poi sfuggita di mano. La convinzione che alcuni eventi o situazioni siano manipolati in segreto dietro le quinte da potenti forze è un sentimento che da secoli si innerva sistematicamente all’interno della società.

Premessa. Credere a queste narrazioni alternative, definite da molti bizzarre, non è una cosa così tanto da pazzi, soprattutto perché sono articolate in modo avvincente e costruite in maniera ingegnosa. Che spesso rasenta la meticolosità. E soddisfano la mente e il pensiero in modo egregio, perché offrono una spiegazione emotiva a eventi o situazioni difficili da comprendere e che riducono drasticamente la complessità del mondo.

Diverse ricerche dimostrano come milioni di persone prestino fede a ogni versione purché alternativa a quelle ufficiali

Non a caso diverse ricerche – come quella condotta dal Pew Research Center oppure dalla Gallup International Association – hanno dimostrato come milioni di persone prestino fede a ogni versione purché alternativa a quella ufficiale. In estrema sintesi una persona su quattro. Anche Rob Brotherton, ricercatore in psicologia alla Columbia University, nel suo saggio Suspicious minds: why we believe conspiracy theories ha rilevato come la genesi delle teorie del complotto siano delle lacune – di solito insufficienti da sole a minare la tesi degli esperti del settore – della versione ufficiale nella comprensione di un evento cucite insieme in una narrazione coerente e trasformate in segni di un’unica cospirazione. Tralasciando la ciclica perdita di sfiducia e credibilità nelle istituzioni e il sempre verde pregiudizio di proporzionalità che spinge l’uomo a individuare cause proporzionali a grandi eventi senza accontentarsi di piccole casualità, quali meccanismi della psiche soddisfa una teoria del complotto? Se la dissonanza cognitiva è un elemento intrinseco in tutti noi e quindi, di riflesso, anche nella mente dei complottisti, allora significa che lo siamo tutti in diversa misura? Lo psichiatra, psicoterapeuta e direttore di Riza Psicosomatica Raffaele Morelli ci dà una lettura a tutto campo di questo fenomeno sociale.

Dottor Morelli, quali meccanismi scattano nella mente dei complottisti? O meglio, quali aspetti della psiche soddisfa una teoria del complotto?
«La nostra psiche è molto complessa rispetto a quello che pensiamo. Non vive solo di superficie. Quando una persona non trova un significato nella propria vita e, di riflesso, la propria autorealizzazione, oppure il senso della propria esistenza e della propria natura, si ritrova come una barca in mezzo al mare. A fronte di questo posso essere facilmente catturato e manipolato, come insegna magistralmente Hannah Arendt e tutti coloro che hanno studiato la psicologia di massa. La psicologia del complotto è infatti molto simile alla psicologia di massa di tutti i totalitarismi. Tutti i complottisti proiettano nell’altro il nemico che è dentro di loro e la loro insoddisfazione. Se c’è un complotto intorno a me, come una mano invisibile che manda il virus dalla Cina oppure che i ricoveri in ospedale sono frutto di un virus che non esiste, allora io sono potente, faccio parte di una schiera di eletti perché il mondo mi vuole annientare e distruggere. Il complotto nasconde sempre una psicosi sotterranea che viene in qualche modo gestita da una visione complottistica».

Quindi siamo tutti un po' complottisti?
«Sì, siamo un po' tutti complottisti. Però c’è sempre una battaglia fra la psicosi e il test di realtà. E i complottisti sono persone che vivono una psicosi senza test di realtà. In tutti noi è presente la psicologia del complotto, però il test di realtà la blocca. Cosa fa quindi scattare il complotto prima di tutto? La paura, l’assenza di confini, la paura di essere giudicato, la paura di non riuscire a esternare le proprie peculiarità, il rimuginio».

In sintesi, quali sono i punti cardine su cui poggiano le teorie del complotto? Quanto incide il meccanismo della dissonanza cognitiva?
«Il problema è sempre quello del rapporto con sé stessi. Ad esempio, io odio un lato di me, ma siccome questo odio verso me stesso non posso reggerlo più di tanto allora vorrà dire che esiste per forza di cose un complotto. È diverso dire ‘questo lato di me non funziona e fallisco sempre’ oppure dire ‘io non fallisco, ma c’è un complotto che mi fa fallire’. La verità è che poggiamo su basi ancestrali e primordiali, siamo troppo razionali e la teoria complottistica spazza via il pensiero razionale. Abbiamo perso il rapporto con la natura e anche con il silenzio, siamo sempre più soli e di conseguenza non vediamo l’ora di far parte di una setta o di un gruppo che ti accolga in un pensiero comune».

Il virus può essere definito come la tempesta perfetta per la diffusione di queste narrazioni alternative, avendo colpito in un momento in cui il vero e il falso erano già compromessi?

«Dentro di noi esistono due tipi di menti: quella circolare e quella lineare. Nella mente lineare tu sei soltanto il disagio che provi, come il virus che arriva e non ci sono speranze. Nella mente circolare, tu scopri che sei un panorama e il complottista è una figura che non ha più questo panorama. È talmente preso da un’idea esteriore di auto realizzazione che si sente speciale, importante, parte di un complotto e inglobato in un pensiero condiviso da tante persone. Il mondo è paranoicamente un nemico che lo perseguita e deve per forza di cose uscire dai canoni del mondo. Tutti siamo complottisti, ma per fortuna solo un gruppo ristretto vive un complotto come reale e permanente».

Qual è il vaccino contro le teorie del complotto?
«È uno solo, non dare spazio a queste tematiche. Il complottista per sua natura non può essere convinto del contrario. Anzi, l’unica cosa che potrebbe farlo cambiare idea è un grande dolore, come il fatto che alcuni – in verità molto pochi - si ravvedono in sala di rianimazione in ospedale solo dopo aver contratto la COVID-19. Molti, invece, muoiono con la convinzione che il virus sia tutto una farsa. Quando si formano le teorie del complotto si tratta di una psicosi. Non si può convincere nessuno del contrario, è come combattere contro i mulini a vento. Nel momento in cui mi sento protagonista - come accade nel complottismo - ho trovato il mio posto nel mondo e posso sostenere la battaglia per affermare la mia teoria. Nel complotto io sono qualcuno e la fragilità è uno dei temi fondamentali della nostra vita psichica».

Commissione europea e UNESCO in prima linea

L’avvento del coronavirus ha registrato un aumento di teorie del complotto diffuse principalmente online che cercano di «spiegare» perché sia scoppiata la pandemia e chi ne tragga vantaggio. Per correre ai ripari e tentare di frenare questa tendenza la Commissione europea e l’UNESCO hanno dato avvio ad una massiccia campagna di sensibilizzazione con una serie di infografiche didattiche per aiutare i cittadini a individuare, smentire e contrastare queste narrazioni alternative.

Ecco il link ufficiale della Commissione europea per scaricare tutte le informazioni necessarie. Qui, invece, il sito dell’UNESCO con altre informazioni.