Automotive europeo: è ora di cambiare marcia con l'outsourcing

Non se ne vedono ancora molte in Ticino, nonostante a sud delle Alpi ci saranno due dei quindici punti vendita previsti in Svizzera. Ma prima o poi i veicoli elettrici del produttore cinese BYD - e probabilmente anche di altri marchi - arriveranno e non sembreranno più una cosa esotica venuta da Oriente. Anzi, non è più solo un’ipotesi che proprio i costruttori cinesi possano iniettare nuova linfa nell’industria automobilistica europea che, come noto, è in difficoltà. A partire da quella in Germania, dove alcuni costruttori starebbero cercando investitori (verosimilmente cinesi) per gli attuali impianti in via di dismissione. «Ma agli investitori non interessa tanto rilevare gli stabilimenti in sé, quanto piuttosto le forza lavoro qualificate e soprattutto la rete di fornitori regionali», spiega al CdT Eric Zayer, consulente senior per il settore automotive della società internazionale di consulenza aziendale Bain & Company, aggiungendo che anche altri Paesi, come l’Ungheria, stanno promuovendo incentivi agli investimenti da Oriente in questo importante settore industriale per l’Europa. Un’industria che, sostiene l’esperto, sarà sempre più «elettrica»: «Il punto di svolta per i veicoli elettrici (EV) sarà raggiunto nel 2026-27 - afferma l’esperto -. Gli EV hanno oggi un costo totale di gestione interessante, ma presto sarà inferiore a quello delle auto tradizionali. Ciò avverrà quando le batterie costeranno meno, dureranno di più e potranno essere ricaricate in pochi minuti. La nuova architettura degli EV si sta muovendo in questa direzione».
Intervenire sui costi di sviluppo
I giovani marchi automobilistici cinesi, come BYD ma anche MG (sì, proprio lo storico marchio inglese, da tempo proprietà della cinese SAIC e ormai votato all’elettrico), stanno aumentando sempre più la pressione competitiva sui produttori europei, soprattutto nel segmento degli EV. Fino ad appena cinque anni fa, i marchi cinesi detenevano una quota di mercato in Europa che non raggiungeva l’1%, mentre ora è attorno al 2-3% e le proiezioni indicano che potrebbe salire attorno al 10% entro il 2034, con oltre 1,2 milioni di EV vendute nel Vecchio Continente.
In un raporto pubblicato nelle scorse settimane da Bain, gli esperti fanno il punto su come i produttori d’auto europei possono rimanere competitivi davanti all’avanzata cinese. Per Zayer e il suo coautore, l’esperto di efficienza dello sviluppo Daniel Suter, bisogna intervenire sui costi per la ricerca e lo sviluppo (R&D). Il costo medio di R&D per veicolo di alcuni dei principali costruttori cinesi nel periodo dal 2020 al 2024 era solo il 27% rispetto a quello dei cinque maggiori produttori tedeschi i quali, inoltre, spendono complessivamente molto di più dei loro concorrenti cinesi (materiali, salari ecc.). Secondo gli esperti di Bain, una delle ragioni principali di ciò è la grande varietà di modelli. Negli ultimi due decenni, i produttori europei hanno introdotto sul mercato un numero significativamente maggiore di modelli di veicoli rispetto ai loro concorrenti asiatici. Due dei principali marchi europei, ad esempio, hanno ampliato il loro portafoglio di modelli del 250% dal 2000.
Meno modelli e varianti
In generale, i costruttori europei impiegano mediamente dai 48 ai 54 mesi per lo sviluppo di nuovi modelli. I loro concorrenti asiatici, invece, riescono spesso a completare lo sviluppo in soli 24-30 mesi. «Per ridurre questo divario e restare competitivi, i produttori europei devono ridurre il numero di modelli e varianti e abbreviare i tempi di sviluppo», afferma Zayer nel rapporto. «Per questo - prosegue - è necessario attuare e rendere più efficienti processi chiave in parallelo e utilizzare le tecniche “agili”, per esempio con una maggiore separazione tra lo sviluppo hardware e software, lo sviluppo di funzionalità con team paralleli, cicli di test più brevi e frequenti e la virtualizzazione dei processi di test». In questo senso, Zayer e Suter, sostengono che le attività di R&D andrebbero esternalizzate. Ma non è rischioso «delegare» queste attività, così cruciali per queste (e ogni) aziende? «Naturalmente queste misure devono essere adottate in modo mirato e graduale. La collaborazione con i fornitori di servizi di ingegneria, così come il parziale outsourcing a fornitori o l’ottimizzazione del mix geografico, rappresentano strumenti collaudati per molti produttori automobilistici. Inoltre, la componente ingegneristica nello sviluppo di un veicolo rappresenta solo una parte dell’intero processo», risponde al CdT Suter. «Proprio nello sviluppo, molti produttori automobilistici hanno ancora un grande potenziale di ottimizzazione, poiché in passato l’attenzione è stata spesso rivolta principalmente all’ottimizzazione della produzione».
Opportunità per la Svizzera
E per estero non si intende solo Paesi lontani: anche la Svizzera può infatti continuare a giocare un ruolo nell’industria dell’automotive in piena trasformazione. Per gli esperti di Bain ci sono diverse società attive nel settore, dai «classici» produttori di macchinari usati nei vari processi di fabbricazione dei veicoli agli strumenti utensili di alta precisione e sofisticazione, passando dalle aziende chimiche che producono materiali speciali.
Ma quali sono le opportunità per queste - e altre - aziende svizzere? Daniel Suter ne identifica almeno tre: «Innanzitutto, c’è l’opportunità di trovare nuovi clienti, anche fra i produttori cinesi che vorranno produrre e vendere in Europa. Poi ci sono i fornitori lungo la catena di approvvigionamento: quanto più saranno parte integrante di modalità di lavoro e produzione più efficienti per i produttori automobilistici, tanto migliori saranno le loro prospettive. Infine, i fornitori stessi possono essere più efficienti, automatizzando laddove possibile i loro processi oppure esternalizzando le attività di R&D, aumentando così la propria competitività e senza compromettere la loro nota capacità d’innovare. Noi vediamo molte opportunità interessanti quindi per le aziende svizzere», conclude.