BNS, il taglio dei tassi è in arrivo ma potrebbe essere l'ultimo

Giovedì prossimo la Banca nazionale svizzera (BNS) terrà la sua consueta conferenza stampa trimestrale durante la quale verrà illustrata la decisione di politica monetaria, in particolare comunicherà quella relativa al tasso guida, attualmente allo 0,50%. Gli esperti si attendono unanimamente che la BNS lo taglierà di un ulteriore quarto di punto percentuale, portando il costo del denaro in Svizzera allo 0,25%. Ma rispetto agli scenari di inizio anno, che non escludevano il ricorso ai tassi negativi (ipotesi evocata più volte pure dal presidente dell’istituto di emissione Martin Schlegel), forse le cose andranno diversamente.
«Le aspettative del mercato per le future decisioni della BNS sono cambiate», osserva GianLuigi Mandruzzato, economista senior della banca EFG, che ritiene comunque valida la previsione di un taglio di un quarto di punto giovedì prossimo. «Mentre all’inizio dell’anno e dopo il taglio di dicembre (di 50 punti base, ndr) c’era una probabilità abbastanza significativa - incorporata nelle quotazioni dei future sui mercati monetari - che la BNS potesse essere costretta a tagliare nuovamente i tassi in territorio negativo, ora il bottom dei tassi d’interesse del franco svizzero è visto allo 0,25% già la prossima settimana o al più tardi a giugno. Inoltre, le aspettative del mercato non prevedono più il ritorno dei tassi negativi in Svizzera».
Per l’economista di EFG ci sono tre fattori a sostegno di questa inversione di tendenza nelle attese di mercato. Da un lato, le prospettive di crescita sono migliorate grazie all’aspettativa di una politica fiscale più espansiva nell’Eurozona e ai timidi segnali di stabilizzazione in Cina. La Svizzera, una piccola economia aperta, beneficerebbe quindi di migliori opportunità commerciali. Inoltre, la domanda interna e il mercato del lavoro hanno mostrato un miglioramento incoraggiante tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, facendo presagire un consolidamento della crescita del Prodotto interno lordo (PIL).
D’altro canto, sostiene Mandruzzato, l’accresciuta incertezza sulla politica commerciale degli Stati Uniti, con il rischio incombente di imporre dazi sulle merci svizzere destinate all’esportazione e le potenziali perturbazioni delle catene di approvvigionamento globali, comportano il rischio di un’inflazione importata. Il calo del 3% del tasso di cambio effettivo (cioè ponderato per il volume degli scambi commerciali) del franco svizzero dalla fine di settembre aumenta questo rischio. Pertanto, è probabile che i prezzi aumentino nella seconda metà dell’anno e nel 2026.
«Mentre un’altra, forse l’ultima, riduzione del tasso guida della BNS allo 0,25% è l’esito più probabile - conclude l’economista - non sarebbe sorprendente se l’insolito grado di incertezza sulle prospettive economiche e di inflazione portasse la BNS a mantenere invariata la sua politica monetaria fino a quando non avrà maggiore visibilità sullo scenario futuro».
Per avere un quadro più preciso delle prospettive congiunturali, in Svizzera come nel resto del mondo industrializzato, bisognerà verosimilmente attendere ancora un po’. I venti di guerra (commerciale) soffiano infatti ancora forti dagli USA, ma l’impatto delle politiche commerciali statunitensi (dazi in primis) «dipende dalle conseguenze sull’equilibrio economico generale», afferma il capo economista di EFG, Stefan Gerlach. «Bisogna tenere conto di tutto - spiega - ad esempio, come reagirebbero i prezzi globali delle materie prime, o la Cina ecc., a questa guerra commerciale. È probabile che tutto ciò possa rallentare la crescita economica. Per le banche centrali è diventato un po’ più complicato fare i propri calcoli (specie quelli econometrici, ndr) nell’ambiente attuale, lavorando su tutti questi scenari alternativi, con effetti essenzialmente diversi che puntano in direzioni diverse. È quindi molto, molto difficile avere una visione chiara, a meno che non si sappia esattamente quale sarà lo scenario, ad esempio nessuna ritorsione con la Cina, il calo dei prezzi delle materie prime, ecc. Al momento non è possibile saperlo. Ma l’impatto dell’inflazione in Europa - che di riflesso riguarderebbe anche la Svizzera - potrebbe essere molto minore di quanto previsto o ipotizzato dai media e dagli analisti economici finora», conclude Gerlach.