Prospettive

Come i tassi alti frenano l'attività creditizia, anche per l'economia green

La transizione «verde» potrebbe essere rallentata dalle disposizioni finali dell'accordo Basilea III che regolano i criteri di capitalizzazione e liquidità delle banche - Senza un'adeguata redditività dagli investimenti verdi, i finanziamenti calano
Regole più severe per le banche potrebbero disincentivare il finanziamento di tecnologie innovative «verdi», come l'impianto di metanizzazione STORE&GO (foto), in cui si produce metano a partire da idrogeno e anidride carbonica (Co2). © Keystone/Peter Klaunzer
Dimitri Loringett
09.01.2024 06:00

L’inizio dell’anno è il momento privilegiato per cercare di fare il punto su quanto successo in quello precedente e cercare di capire come saranno i dodici mesi che abbiamo di fronte. Dal punto di vista economico gli esperti si attendono un altro anno caratterizzato dal rallentamento più o meno marcato e questo nelle principali economie del globo. I motivi sono molteplici, ma uno in particolare è riconducibile alle politiche restrittive delle banche centrali.

I rapidi rialzi dei tassi d’interesse sulle principali valute (dollaro USA, euro, sterlina inglese e franco svizzero) hanno sì contribuito ad attenuare le aspettative inflazionistiche, ma hanno anche avuto un «effetto collaterale» sull’attività creditizia – la linfa dell’economia. La Fed di New York, per esempio, in uno studio pubblicato lo scorso novembre, ha rilevato che un aumento di un punto percentuale del tasso sui Fed funds è associato a una diminuzione di 0,5 punti percentuali della crescita dei prestiti, con un effetto più pronunciato per i prestiti commerciali e industriali rispetto ai prestiti al consumo.

Gli «endgame» di Basilea III

Altri segnali della contrazione dell’attività creditizia delle banche provengono dal contesto regolatorio: anche se il termine ultimo è fra un anno e mezzo (1. luglio 2025), le disposizioni finali («endgame» sono chiamate in gergo) del pacchetto di riforme cosiddetto «Basel III», introdotto proprio per rafforzare solvibilità e liquidità del settore bancario, potrebbero frenare ulteriormente l’erogazione di crediti all’economia. Lo dicono le grandi banche stesse, in particolare quelle statunitensi che dall’estate scorsa stanno ammonendo che il paventato obbligo di aumentare il proprio capitale di un ulteriore 20-25% avrà implicazioni a cascata per le loro attività di prestito e di trading e, quindi, danni per l’economia.

Impatto sulla finanza climatica

E una potenziale «vittima» della stretta creditizia, secondo i i colossi come JPMorgan e Goldman Sachs, è l’economia «green». Deborah Jungo-Schwalm, portavoce dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB), conferma che «Basilea III ha un potenziale impatto sui prestiti, compresi quelli legati ai finanziamenti per il clima».

In effetti, l’industria finanziaria ha ripetuto durante la Conferenza sul clima COP28 di Dubai che parteciperà alla transizione verde solo se i rendimenti saranno allettanti. Il messaggio dei banchieri è chiaro: ottenere un ritorno finanziario sarà più difficile una volta che i requisiti di capitale aumenteranno. Per l’ASB, «i prestiti bancari tradizionali non sono uno strumento di finanziamento tipico nel contesto della finanza climatica. La mobilitazione di fondi privati deve avvenire principalmente attraverso investimenti generatori di reddito da parte di grandi investitori, in particolare investitori istituzionali. Le condizioni quadro per tali investimenti devono essere adeguate. Anche se Basilea III può quindi svolgere un ruolo nella decisione di finanziamento in singoli casi, attualmente gli altri ostacoli al finanziamento sono generalmente maggiori».

Odile Renaud-Basso, presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD), citata da Bloomberg, ha affermato che Basilea III rappresenta «una buona scusa» per le grandi banche internazionali per fare marcia indietro rispetto ai finanziamenti per il clima.

Finanziare il fossile

Detto, fatto: stando a Reuters, almeno quattro grandi banche globali hanno abbandonato, individualmente, la Science Based Targets Initiative (SBTi), l’iniziativa sostenuta dall’ONU per esaminare gli obiettivi climatici fissati dalle aziende. Le banche, tra le quali Société Générale, ABN Amro, HSBC e Standard Chartered, hanno rinunciato alla SBTi perché temono che ciò possa ostacolare la loro capacità di continuare a finanziare i combustibili fossili. Tuttavia, per «giustificare» la decisione, alcune delle banche hanno citato la loro affiliazione a un altro gruppo, la Net-Zero Banking Alliance (NZBA), meno prescrittiva e che consente di continuare a finanziare i combustibili fossili purché facciano progressi sulle loro di emissioni.

Molti istituti di credito affermano che dovrebbero finanziare i combustibili fossili fintanto che le economie dipenderanno da essi. «Iniziative come SBTi e la Net-Zero Banking Alliance sono nate negli ultimi anni e stanno cambiando con l'evoluzione e l'esperienza», spiega ancora l’ASB. «Anche i modelli di business delle banche stanno cambiando – aggiunge – e non sorprende quindi che le singole banche si ritirino da alcune iniziative e si allineino ad altre. Non vediamo un legame diretto con la COP28. Le decisioni di aderire o abbandonare un’iniziativa sono preparate con cura nelle banche svizzere, devono essere valutate criticamente e di solito sono approvate dal più alto organo decisionale», conclude l’ASB.