Banche

Credit Suisse: lo scandalo AT1, il cliente frodato e la verità nascosta

Ripercorriamo lo scambio fra un cliente tedesco dell'allora secondo istituto svizzero e un «relationship manager» – Una vicenda sfociata in una denuncia ma anche in una decisione di non luogo a procedere
© CdT/Gabriele Putzu
Dimitri Loringett
06.09.2024 18:15

Le insegne con il logo di Credit Suisse, così come ancora molti edifici e sedi, sono ancora visibili qua e là in Svizzera, ma la storica banca come soggetto giuridico non c’è più. E fra poco più di un anno l’istituto creato da Alfred Escher sparirà del tutto, diventando forse materia di studio solo per gli storici o i nostalgici. O forse rimarrà in vita, ma per altri motivi: quelli giuridici. Sì, perché l’eredità lasciata dai vari vertici della banca che si sono succeduti soprattutto negli ultimi anni di vita della banca, quelli che, come noto, hanno portato al tracollo di Credit Suisse nel marzo del 2023, è pregna di vertenze legali tuttora aperte e molte delle quali attendono ancora una risposta. Il riferimento va in particolare all’annosa vicenda delle obbligazioni AT1 del valore nominale complessivo di circa 16 miliardi di franchi azzerate (e cancellate del tutto) su ordine della Finma nell’ambito del salvataggio orchestrato dal Governo federale, assieme alla BNS e all’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari. Sugli oltre tremila ricorsi presentati oltre un anno fa al Tribunale amministrativo federale (TAF) contro la decisione della Finma regna ancora il silenzio, così come su quella presentata contro UBS da un simile numero di azionisti al Tribunale commerciale di Zurigo, per non parlare di quella manciata di «class action» e arbitrati internazionali intentati contro gli ex vertici di CS, la Finma e pure il Governo federale.

Nel frattempo, sappiamo che la Commissione d’inchiesta parlamentare (CPI) istituita per fare luce sull’agire delle autorità in relazione alla fusione di Credit Suisse con UBS sta facendo il suo lavoro e che entro fine anno dovrebbe pubblicare il suo rapporto. Qualche elemento di questo rapporto è trapelato sui media in questi giorni, grazie al lavoro della «Sonntagszeitung», che ha svelato alcuni modi di agire «segreti» fra le autorità preposte alla gestione della crisi di Credit Suisse (Dipartimento federale delle finanze, BNS e Finma) e i vertici della banca (il presidente del Cda Alex Lehmann, in particolare). Senza entrare nei dettagli dell’operato soprattutto dell’ex capo del DFF Ueli Maurer, l’impressione che emerge dalle indiscrezioni di stampa è che ai «piani alti» si è deciso di non intervenire e, peggio ancora, di continuare a condurre la banca come se nulla fosse, pensando forse che prima o poi la grave crisi di liquidità dovuta all’enorme deflusso di fondi avvenuto a partire dall’ottobre 2022 sarebbe rientrata da sola.

Dalle indiscrezioni di stampa abbiamo però qualche elemento più concreto che conferma quanto si è sospettato da molto tempo, ovvero che i vertici di CS, in particolare nell’ultimo assetto, abbiano mentito sulla realtà della situazione della banca e ha continuato a farlo fino a quel tragico 19 marzo 2023 quando venne annunciata la sua acquisizione da parte di UBS. Ma questo modo di agire era verosimilmente più sistematico e piramidale di quanto si potesse presumere. O peggio ancora: da un caso concreto che ora racconteremo si evince che vi potessero pure essere degli «ordini dall’alto» affinché i dipendenti della banca, specie quelli al fronte, continuassero a operare come se nulla fosse – e a pochi giorni ancora dal tracollo.

Stando a un lungo contributo sul portale antigua.news, che da tempo segue da vicino tutta la vicenda CS-UBS, il 16 marzo 2023, in piena crisi quindi, un cliente tedesco di CS dell’allora ancora secondo istituto svizzero ha preso contatto il suo relationship manager, dicendogli che avrebbe voluto investire in obbligazioni AT1 e chiedendogli di trovarne con un prezzo scontato rispetto al loro valore nominale. Il cliente aveva infatti analizzato la situazione e letto tutte le dichiarazioni rese pubbliche fino a quel momento dal CEO (Ulrich Körner) e dal presidente (Axel Lehmann) di Credit Suisse Group, nonché dalla Finma, dalla BNS e dal capo del DFF Karin Keller-Sutter. Alla luce di quanto letto (in particolare la «rassicurante» dichiarazione congiunta di Finma e BNS del 15 marzo in cui si precisava che «Credit Suisse soddisfa le esigenze in materia di capitale e liquidità poste alle banche di rilevanza sistemica») il panico sui mercati gli è sembrato esagerato. Nella sua risposta email, riportata da antigua.news, il consulente conferma l’impressione del cliente e sottolinea quanto la liquidità della banca fosse addirittura migliorata, così come apostrofa i media per diffondere notizie fuorvianti e non correlate ai fondamentali finanziari della banca e, infine, si lamenta della comunicazione della Finma/BNS che sarebbe dovuto giungere molto prima. Tuttavia, il consulente di CS scrive anche che «abbiamo osservato deflussi di capitali nel primo trimestre». Più tardi in giornata, arriva una email di rettifica: «NON abbiamo osservato deflussi di capitali nel primo trimestre». Un refuso non intenzionale, quindi. O perlomeno è così che il consulente lo ha definito. Sta di fatto che il cliente si è sentito rassicurato e ha investito 200 mila dollari in un determinato titolo AT1 di CS Group. Il lunedì successivo, a seguito dell’ordine della Finma di azzerare integralmente tutte le obbligazioni AT1, il cliente, incredulo, ha scoperto di aver perso il denaro investito. A questo punto, sentendosi «frodato», decide di sporgere denuncia presso il Ministero pubblico del Canton Zurigo. E lo fa da solo, senza assistenza giuridica, fiducioso nella volontà della Procura zurighese di indagare il caso. Ma il Ministero pubblico di Zurigo, senza nemmeno convocare il cliente, liquida la denuncia con un «non luogo a procedere», affermando che l’azzeramento degli AT1 non costituisce frode in quanto deciso nell’ambito della legge d’emergenza istituita dal Governo che autorizzava quindi la Finma di agire di conseguenza. Caso chiuso. O forse no, come non è ancora detto l’ultima sui molti ricorsi ancora pendenti.

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