Da ingegnere della Ferrari a coach aziendale: «Ecco come si vince»

L’ingegnere Luigi Mazzola è alto, calmo e diretto. Dopo 20 anni nella Scuderia Ferrari a cavallo del secolo, durante i quali l’ha vista vincere 14 mondiali, oggi calca platee e aule universitarie come «performance coach» di aziende e manager. Lo abbiamo incontrato in occasione di una serata organizzata a Lugano da KPMG.
Luigi Mazzola, qual è il segreto per far funzionare bene una squadra aziendale?
«Il suo leader. Innanzitutto ci vuole un obiettivo comune da raggiungere. E bisogna mettere subito in chiaro che la vittoria che conta è quella di tutta l’azienda. Altrimenti finisce che i team si fanno concorrenza all’interno sprecando energie che servono a vincere la concorrenza all’esterno. Poi ci vuole la cooperazione, che in altre parole significa amalgamare le persone. Il collante è sempre la motivazione. E questa un leader la trasmette facendo leva sull’intelligenza emotiva, cioè sull’utilizzo delle emozioni. Infatti è più importante il come piuttosto che il cosa si fa».
Qual è lo strumento più efficace da mettere in campo?
«Le emozioni, che sono energia: un buon capo le utilizza per trascinare la squadra, esaltando quelle positive e cercando di trasformare quelle negative. La motivazione di una squadra passa dal suo coinvolgimento. Coinvolgere significa chiedere ai propri collaboratori competenze, aiuto, soluzioni : in questo modo si attiva la motivazione intrinseca, diversa dalla rimunerazione o dalla pacca sulla spalla sociale. La motivazione, parte dal leader ma deve attraversare tutta l’azienda fino a chi avvita bulloni, se no i mondiali non si vincono. È applicando questi concetti che Ferrari ha vinto 14 titoli in vent’anni. Nello sport infatti è un meccanismo fondamentale, nel business un po’ meno. Sbagliando, perché la performance deriva per il 45% dalle conoscenze tecniche, e per il 55% dalle emozioni messe in campo».
Quali sono invece le qualità di un buon coach?
«Il coach è chi pur non sapendo nulla di un business, incrementa la consapevolezza delle persone, in modo che riconoscano la strada per risolvere un problema o raggiungere un obiettivo».
Eccellenze nel proprio settore come Ferrari, si nasce o si diventa?
«Prima nasce il sogno e poi lo si realizza. Bisogna crederci alla grande, sapendo che attorno ci vogliono le persone giuste. I collaboratori più validi sono forse anche i più difficili da gestire. Il compito del capo è spingerli e valorizzarli, non castrarli per tenere a freno le ambizioni».
Visione, obiettivi, passione, lavoro di squadra. Quali sono invece le differenze tra il mondo sportivo e quello aziendale?
«Il business è molto più indietro per tanti aspetti. Ad esempio nello sport non c’è crisi, neanche quando si perde. Una sconfitta può bruciare a livello personale. Ma quando uno sportivo indossa il casco, fa click. Si concentra unicamente sul momento presente, su quello che gli piace e agisce per raggiungere l’obiettivo. Entra nei panni del campione spegnendo la mente e affidandosi all’inconscio. Le aziende invece parlano di crisi quando non riescono a vendere. Sbagliano, perchè la concorrenza c’è sempre stata».
Come si fa a fare questo click anche in azienda?
«Ci vuole un capo che trascini, che metta passione e viva il presente. Il leader dà la visione e l’obiettivo, ma il segreto del successo è focalizzare le persone sul processo corrente, altrimenti generi solo ansia. La crisi non è la concorrenza ma è quella interna, che arriva quando non c’è un obiettivo chiaro, un gioco di squadra, la motivazione, quando le persone non sono creative».
Che altro si può imparare dallo sport?
«A proposito di innovazione: nello sport è molto più chiaro che ruolo gioca la tecnologia per rapporto all’obiettivo. In azienda invece non abbiamo ancora chiaro cos’è la persona 4.0 e come rapportarci alla tecnologia».
Ce lo dica, chi è la persona 4.0?
«La tecnologia ci permette di fare tutto più velocemente e a volte meglio, ma è un’arma a doppio taglio. Le macchine sono bravissime a gestire le informazioni già esistenti, ma anche se sono potenti non esiste iniziativa al mondo senza l’uomo con i suoi valori. La persona 4.0 quindi è quella che per distinguersi dai computer usa consapevolmente valori (tradotto in azienda, l’ambizione, la motivazione e la passione), le emozioni (energia) e la spiritualità (cioè la creatività). Nello sport questo è chiarissimo. In azienda non è sempre così».