E a sorpresa fa capolino la «recessione tecnica»
Per ora è solo «tecnica», ma il termine «recessione» è ricomparso dopo tempo in una area economica importante come è l’Eurozona, l’insieme dei Paesi europei che adottano l’euro quale moneta. Stando all’Eurostat l’economia si è inaspettatamente contratta del -0,1% su base trimestrale nei primi tre mesi dell’anno. Anche i dati relativi all’ultimo trimestre del 2022 sono stati rivisti per mostrare un calo pari a -0,1%. Questo significa che l’area euro è entrata in una piccola «recessione tecnica». Nessun analista lo aveva previsto per una economia così grande. I principali istituti di analisi macroeconomica nei mesi scorsi stimavano ancora una crescita, seppur marginale, pari a +0,1% per quanto riguarda il Prodotto interno lordo (PIL) dell’area euro.
Le prime avvisaglie di un raffreddamento erano comparse la scorsa settimana quando l’ufficio di statistica tedesco - Destatis - ha certificato per la prima economia europea il calo (-0,3%) del PIL per due trimestri consecutivi (è questa la definzione di «recessione tecnica»). Anche l’Irlanda ha registrato una frenata pari a -4,6%. In controtendenza Francia (+0,2%), Italia (+0,6%) e Spagna (+0,5%).
I motivi della flessione
Stando all’Eurostat nel 1° trimestre 2023 la spesa delle famiglie è diminuita del -0,3% (contro il -1% del 4° trimestre 2022) a causa dell’inflazione elevata e dei costi di finanziamento crescenti (tassi più alti). Inoltre, la spesa pubblica è diminuita dell’1,6% (contro il +0,8% precedente). Questo è avvenuto, spiega Eurostat, poiché i governi hanno ridotto gli stimoli che avrebbero dovuto compensare in parte l’impatto dell’aumento dei costi dell’energia. D’altro canto, gli investimenti fissi lordi hanno registrato una ripresa (+0,6% contro -3,5% del trimestre precedente). Inoltre, le esportazioni sono diminuite: -0,1% (contro il -0,2% degli ultimi tre mesi dello scorso anno) e le importazioni sono scese dell’1,3% (contro il -2,5%).
A confermare il rallentamento economico in generale c’è anche il dato dell’export cinese che a maggio ha segnato un tonfo(-7,5% dal +8,5% di aprile) ben oltre le attese (-0,4% stimato, a fronte di un import che frena scendendo del 4,5%, un ritmo di calo più lento del -7,9% di aprile: tra la debole domanda estera e i consumi ancora insoddisfacenti sul fronte interno, Pechino è alle prese con una ripresa che arranca, lontana dallo slancio ipotizzato dopo la fine delle pesanti restrizioni anti COVID. Mentre l’interscambio con la Russia aggiorna i record mensili dall’aggressione di Mosca ai danni dell’Ucraina: i flussi commerciali totali hanno toccato i 20,5 miliardi, di cui 11,3 miliardi costituiti dall’import di Pechino.
La tendenza, del resto, è stato in qualche modo anticipato dall’attività delle fabbriche cinesi, ridottasi più rapidamente del previsto a maggio a causa dell’indebolimento della domanda, secondo l’indice ufficiale dei responsabili degli acquisti (PMI) diffuso la scorsa settimana. Tra i sottoindici, la produzione industriale è finita in contrazione, mentre i nuovi ordini sono scesi per il secondo mese di fila. Dopo aver superato le aspettative nel primo trimestre, gli analisti stanno ora rivedendo al ribasso le loro aspettative per il resto dell’anno, poiché la produzione continua a rallentare sulla debolezza della domanda globale. Il governo ha fissato a marzo un target di PIL per l’anno in corso «intorno al 5%», tra i più bassi degli ultimi decenni.
FMI ottimista sulla Svizzera
Il Fondo monetario internazionale (FMI) ha confermato invece le sue prospettive di crescita e inflazione per la Svizzera. Di fronte all’accelerazione dei prezzi raccomanda, se necessario, ulteriori aumenti del tasso d’interesse di riferimento.
Nel loro rapporto sulla Svizzera gli economisti dell’FMI prevedono una crescita PIL dello 0,8% quest’anno e dell’1,8% nel 2024, come già stimato nelle previsioni di aprile. La decelerazione viene spiegata con l’abbassamento delle prospettive globali, l’inasprimento delle politiche monetarie e il rallentamento della domanda. Il Fondo prevede che nel 2024 la crescita torni «al suo potenziale di medio termine».
Gli scompigli causati dalla fusione forzata tra UBS e Credit Suisse, soprattutto in termini di posti di lavoro, dovrebbero essere limitati, anche grazie a un mercato del lavoro molto sano, rileva il FMI. Per quest’anno viene pronosticato un tasso di disoccupazione del 2,3%, per il prossimo del 2,4%. Anche il tasso d’inflazione è stato confermato, al 2,5% nel 2023 e all’1,9% nel 2024. I successivi aumenti del tasso d’interesse di riferimento da parte della Banca nazionale svizzera (BNS) e il rallentamento della domanda dovrebbero portare a una flessione dei prezzi il prossimo anno. Se l’accelerazione dei prezzi dovesse invece continuare, il FMI «incoraggia» un ulteriore inasprimento della politica monetaria.
La disoccupazione è stabile in area Ocse
In aprile il tasso di disoccupazione dell’area Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) è rimasto fermo al 4,8% per il terzo mese consecutivo. Il tasso è rimasto invariato in dieci Paesi dell’area, è diminuito in 14 ed è aumentato in nove. Il tasso di senza lavoro è rimasta pari o vicino al suo minimo storico in otto paesi, tra cui Canada, Francia, Germania e Stati Uniti. Il numero di disoccupati nell’area è sceso a 33 milioni, vicino al minimo storico raggiunto nel luglio dello scorso anno. Sempre in aprile il tasso di disoccupazione giovanile (15-24enni) è sceso per il secondo mese consecutivo al 10,2%, il valore più basso dal 2005. È diminuito in 17 Paesi Ocse con le maggiori cadute osservate in Svezia, Norvegia, Repubblica Ceca, Portogallo e Italia.