È ancora confronto tra UE e Italia su conti statali e Patto di stabilità
Il Forum di The European House-Ambrosetti vede la partecipazione ogni anno agli inizi di settembre, a Villa d’Este di Cernobbio e per tre giorni, di imprenditori, manager, economisti, politici sia italiani sia di altri Paesi. Anche nell’edizione terminata ieri i temi posti sul tavolo sono stati numerosi, legati sia allo scenario internazionale sia a quello specificamente italiano. Tra questi temi, ancora una volta quello del rapporto tra Unione europea e Italia.
Bruxelles e Roma
Il confronto tra Bruxelles e Roma si è visto in particolare negli interventi di Paolo Gentiloni, commissario UE per l’Economia, del Partito democratico, e Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e delle Finanze, esponente della Lega. Sabato nel Forum sulle rive del lago di Como Gentiloni ha affermato che l’UE «non prolungherà la sospensione» del Patto di stabilità, quello per intenderci che stabilisce i tetti del 3% del PIL per il deficit pubblico e del 60% per il debito pubblico. Il Patto è stato sospeso nel marzo del 2020 con la pandemia. La sospensione, ha detto Gentiloni, è stata prolungata « abbastanza facilmente nel 2021, con qualche discussione nel 2022 e con molte discussioni nel 2023». Ora la Commissione UE vuole che nel 2024 il Patto ritorni.
L’Italia ha uno dei maggiori indebitamenti pubblici e l’auspicio ribadito dall’attuale Governo di centrodestra è che il ritorno del Patto possa slittare, soprattutto se non si troverà un accordo in sede UE sulle modifiche da introdurre. Il dibattito è in corso - c’è una proposta di mediazione della Commissione - e Gentiloni ha espresso ottimismo sulla possibilità di raggiungere un’intesa entro fine anno, ma ha anche affermato che l’obiettivo resta il ritorno del Patto ad inizio 2024. L’Italia è tra i Paesi dell’UE che chiedono meccanismi diversi di rientro da deficit e debiti pubblici e che propongono che alcune spese pubbliche per investimenti non pesino o pesino meno sui bilanci statali. La Germania e altri Paesi del Nord Europa accettano alcuni ritocchi al Patto ma non sono disposti a cambiare i meccanismi fondamentali.
Letture differenti
Il ministro Giorgetti ieri a Cernobbio ha dato nuovamente una lettura in parte diversa da quella di Bruxelles. « L’Italia condivide - ha detto Giorgetti - una politica di riduzione del debito pubblico, condivido quello che dicono gli amici tedeschi, però non posso ignorare che la stessa Commissione europea ci chiede una politica di un certo tipo sulla transizione energetica e quindi è ragionevole chiedere che vengano considerate in modo diverso questo tipo di spese». Il ministro italiano ha anche aggiunto qualcosa sulle spese per gli aiuti all’Ucraina colpita dall’invasione russa: «Siamo tutti d’accordo sul sostegno all’Ucraina, ma l’aiuto umanitario deve essere sottratto al Patto di stabilità e crescita».
Al Forum si è naturalmente parlato parecchio di crescita economica. Secondo Eurostat, l’Italia si era portata bene nel primo trimestre di quest’anno, con un aumento del PIL dello 0,6% sul trimestre precedente e del 2% su un anno prima, ma ha poi registrato un segno negativo nel secondo trimestre. Tra aprile e giugno infatti il PIL italiano è sceso dello 0,3% (dello 0,4% secondo la revisione Istat) rispetto al periodo gennaio- marzo; in rapporto al secondo trimestre del 2022 la crescita italiana è stata peraltro dello 0,6%, ma nella Penisola c’è un po’ di delusione, perché la speranza concreta era di poter evitare il segno negativo anche su base trimestrale, dopo il buon 2022 e il buon primo trimestre 2023.
A determinare la flessione del PIL italiano su base trimestrale è stata soprattutto la domanda interna, secondo l’Istat, con i consumi privati che non sono andati avanti, anche a causa dell’inflazione. L’Italia non è in recessione tecnica (data da due trimestri consecutivi in negativo) e non dovrebbe avere una recessione annua. Ma sono sorti alcuni interrogativi sulla possibilità di raggiungere quell’1,1% che è la previsione di crescita per l’intero 2023 formulata dal Fondo monetario internazionale (FMI) per l’Italia. Giorgetti ieri ha ribadito la stima governativa, per ora ancora all’1%.
La Germania
Allargando lo sguardo all’Unione europea, nel secondo trimestre la crescita di questa è stata 0% su base trimestrale e 0,5% su base annua. Dei 27 Paesi dell’UE peraltro solo quattro hanno registrato sin qui una recessione tecnica nel corso del 2023: Germania, Estonia, Ungheria, Olanda. La Germania, principale economia dell’area e partner di assoluto rilievo anche per l’Italia, è formalmente in stagnazione, avendo registrato uno 0% su base trimestrale tra aprile e giugno. Molte previsioni, comprese quelle dell’FMI, la indicano in recessione annua nel 2023 e poi in ripresa nel 2024.
Rallentamento globale e non recessione resta l’ipotesi al momento più probabile
Nel Forum Ambrosetti, che si è tenuto dal primo al 3 settembre a Villa d’Este di Cernobbio, anche quest’anno si è seguito lo schema consueto, con la prima giornata dedicata al quadro economico e politico mondiale, la seconda segnatamente al quadro europeo, la terza a quello italiano. A Valerio De Molli, amministratore delegato di The European House-Ambrosetti ( TEHA), abbiamo chiesto valutazioni su alcuni dei capitoli principali su cui si è sviluppato il confronto nel Forum internazionale sulle rive del lago di Como.
Il contesto
Per quel che riguarda il contesto globale, da molti mesi gli esperti si dividono, c’è chi vede una recessione annua mondiale e chi invece vede un rallentamento che non si tradurrà in recessione. Per De Molli questo secondo scenario resta il più probabile. «I segnali che leggiamo in diverse economie mondiali spiega - fanno propendere per la seconda ipotesi. In molte parti del mondo la crescita è significativa, robusta e, almeno apparentemente, piuttosto solida, a cominciare dagli Stati Uniti. L’economia cinese è sì in rallentamento, ma questo vuol dire che la previsione di crescita per il 2023 è, secondo il Fondo monetario internazionale, al 5,2%. Il rischio di un esacerbarsi della bolla immobiliare pone potenziali rischi sulle prospettive di crescita cinesi, ma non al punto da paventare una recessione. Il contesto europeo è meno positivo, ma i segnali legati alle dinamiche inflattive sembrano ottimisti e quindi anche nel nostro caso è più probabile un rallentamento della crescita che una recessione ».
Ci sono posizioni diverse anche sulla linea tenuta dalle maggiori banche centrali nella lotta all’inflazione, su quella della Banca centrale europea in particolare, accusata da una parte degli esperti di puntare troppo sul rialzo dei tassi. «La BCE si è trovata in una situazione particolarmente complessa. Da un lato alzare i tassi - afferma De Molli - era una misura in sé molto marginale per ridurre l’inflazione: il prezzo delle materie prime energetiche non dipendeva dalla politica monetaria di Francoforte, ma dalla dipendenza dalla Russia. La riduzione dell’inflazione, quindi, è stata resa possibile dalle politiche di diversificazione delle importazioni e dal conseguente calo del prezzo del gas. D’altro canto, il rialzo dei tassi della Fed, questo sì mirato alla riduzione dell’inflazione statunitense, interamente dovuta a cause interne, ha reso di fatto obbligato un rialzo anche in Europa. Immaginate cosa sarebbe successo se i tassi USA fossero saliti al 4%, mentre i tassi BCE rimanevano ancorati allo 0%: gli investitori avrebbero spostato i capitali lì dove vi sarebbero stati i maggiori rendimenti. Auspico, tuttavia, che i rialzi si interrompano e che dal prossimo anno possa essere varata una politica monetaria più accomodante ».
Notizie buone e non
Per l’Italia in questi mesi in campo economico c’è stato un alternarsi di notizie negative e positive, a questo punto resta la domanda su quali possano essere le prospettive per l’economia italiana. «La notizia più positiva circa l’economia italiana dice De Molli - riguarda l’andamento dell’export, che è proiettato verso una crescita del 6,8% nel 2023, superando i 660 miliardi di euro di valore. La situazione energetica, inoltre, lascia ben sperare: gli stoccaggi sono pieni e, grazie alle politiche di diversificazione dell’ultimo anno, il rischio di una stangata nei mesi invernali sembra remoto. A fronte di questi aspetti positivi, ci sono diversi elementi più pessimistici, sintetizzati dai dati sulla fiducia di imprese e famiglie, in costante calo. L’aspetto più rilevante è, ritengo, legato alla complessa situazione sociale che abbiamo nel Paese e all’aumento delle disuguaglianze esacerbato prima dalla pandemia e successivamente dall’inflazione. Per quest’anno le previsioni concordano su una crescita attorno all’1-1,2%. Per il 2024 l’intervallo è più ampio. Credo che anche il 2024 si chiuderà in positivo, ma su valori più contenuti rispetto a quelli di quest’anno».