Economia

È davvero finita l'era dell'auto europea?

Analisi e prospettive di un settore che, ogni giorno, fornisce notizie negative – Francesco Zirpoli: «Non parliamo di un problema nato oggi»
© JULIAN STRATENSCHULTE
Stefano Olivari
14.09.2024 06:00

La crisi o presunta tale del settore automobilistico in Germania e in generale in Europa fornisce ogni giorno notizie negative. Dalla possibile chiusura di fabbriche, nel caso di Volkswagen, alla sospensione della produzione di alcuni modelli, come nel caso della FIAT 500 elettrica. Ma davvero l’auto europea è finita? Ne abbiamo parlato con Francesco Zirpoli, professore di Technology and Innovation Management all’Università Ca’ Foscari di Venezia, nonché uno dei massimi studiosi del settore automotive.

Germania

Il caso tedesco fa impressione, dopo decenni di retorica sulla «locomotiva d’Europa», e non riguarda soltanto il settore auto, visto che tutto il Paese sta andando verso una crescita economica zero e il settore manifatturiero è in recessione. Volkswagen per la prima volta in quasi 90 anni di storia potrebbe chiudere stabilimenti, e lo stesso scenario c’è per Audi (anch’essa peraltro del gruppo Volkswagen), mentre Mercedes, BMW e Porsche hanno tagliato le stime dei profitti. Quale la causa primaria di questa crisi tedesca? «È una crisi di sovracapacità produttiva - spiega Zirpoli al Corriere del Ticino -, che poi è la crisi di un modello basato sui grandi volumi e su vendite che non possono legarsi soltanto al mercato interno. Non è comunque un problema nato oggi, era evidente che le 6 milioni di auto all’anno prodotte nel pre-COVID in Germania non sarebbero più state sostenibili. E a questo si è aggiunta la sovracapacità produttiva della Cina». Una situazione che di sicuro farà male alla Germania: «L’auto vale circa l’11% del manifatturiero tedesco, qualsiasi sua crisi ha un impatto immediato su tutto il sistema. Inoltre Volkswagen è anche molto più esposta di altri sull’elettrico».

Europa elettrica

Il grande imputato è l’auto elettrica. O meglio, l’obiettivo dell’Unione Europea di chiudere entro il 2035 con la produzione di auto endotermiche, benzina o diesel che siano. Sul tema il professor Zirpoli va un po’ controcorrente: «Bisogna guardare non alla politica ma ai grandi car maker, ai grandi produttori. Che fra l’altro sul tema dell’elettrico sono divisi, vista l’uscita di Stellantis dall’ACEA, l’associazione europea dei costruttori di auto. La politica europea e anche quella locale hanno soltanto assecondato le esigenze dei produttori di auto, in particolare tedeschi, favorendo il posizionamento dell’industria europea sui segmenti che hanno maggiore marginalità». E le grandi marginalità, in assoluto e in proporzione, ci sono sulle auto più grandi, quelle che comunque sarebbero le più costose e rivolte a un target alto. In altre parole, i produttori europei, per tanto tempo seguaci del pensiero unico dell’alto di gamma, sono meno strutturati di quelli cinesi per fare auto piccole di qualità. Soprattutto se sono elettriche.

Mario Draghi

Negli ultimi giorni si è molto discusso del rapporto Draghi, presentato dall’ex premier italiano a quasi un anno dall’incarico conferitogli dal presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen. Il rapporto affronta il tema della competitività dell’Europa e secondo Draghi proprio l’automotive è il settore in cui più manca una politica industriale europea: «Esempio chiave di mancanza di pianificazione dell’UE, che applica una politica per il clima senza una politica industriale». Scrivendo dell’obiettivo delle zero emissioni entro il 2025, Draghi affronta anche i temi della neutralità tecnologica, delle catene di fornitura e del lavoro. Ma come si possono coniugare produttività, costo del lavoro basso e rispetto per l’ambiente? Oltre ovviamente all’offerta di modelli che non facciano ribrezzo agli automobilisti. «Il costo del lavoro è un falso problema - spiega Zirpoli -, la realtà è che in Cina c’è molta più automazione e quindi una maggiore produttività. Per quanto riguarda il resto la scadenza del 2035 è realistica se si crea un patto fra la politica europea e i car maker, incentivando una produzione che vada nella direzione giusta».

L’analogia con l’iPhone

Se i produttori hanno sbagliato strategie, sovrastimando il numero di persone disposte a separarsi in scioltezza da un minimo di 50.000 euro, senza contare la scomodità della ricarica, va detto che per quanto riguarda l’auto elettrica, europea, americana o cinese che sia, esiste da parte dei consumatori una certa resistenza ideologica. Traduzione: l’auto elettrica non la vogliono. Zirpoli la vede diversamente: «Dal punto di vista del consumatore il primo problema è l’incertezza. Perché spendere tanti soldi per l’acquisto di un’auto elettrica, con tecnologia, fra batterie e tutto il resto, che sta cambiando a ritmi altissimi? Trovo qualche analogia con il primo iPhone, parliamo del 2007. Ecco, dopo qualche anno, a fare smartphone sono in tanti e ci sono modelli che fanno le stesse cose dell’iPhone costando un quinto. Inevitabile che anche per le auto full electric avvenga questo, solo che le cifre in campo sono superiori. È quindi anche un problema di formule di vendita».

Numeri

L’idea che gli europei comprino sempre meno auto è parzialmente infondata: nei primi 6 mesi del 2024 sono state immatricolate, nei 28 Paesi presi in considerazione, 6.847.842 vetture contro le 6.559.213 del corrispondente periodo del 2023. Un +4,4% inferiore alle attese ma che è comunque un segno più. Questa sorta di Champions League dell’auto, mettendo insieme tutto, in termini assoluti è vinta da Volkswagen con 706.265 auto vendute in Europa da gennaio a giugno 2024, davanti a Toyota (+16%) e BMW (+13%). Quasi tutti in lieve aumento, con cadute percentuali pesanti soltanto per Ford (-17%) e Tesla (-13). Per la cronaca, l’auto più venduta in Europa è la Dacia Sandero, davanti alla Golf della Volkswagen e alla Clio della Renault. Le 12.847.481 auto vendute in Europa in tutto il 2023 sono però meno delle 15.805.752 del 2019, ultimo anno pre-COVID.

Cina

Se la crisi del mercato dell’auto in Europa è da asteriscare e inquadrare in un contesto, non c’è dubbio che il Paese leader stia diventando la Cina. Fra le mille statistiche ce n’è una che dovrebbe far meditare i produttori europei: nel 2024 le auto Made in China (quindi senza sottilizzare su brand apparentemente non cinesi) vendute in Europa rappresentano il 4,2% del mercato, ma nel segmento BEV (cioè il full electric) sono il 18,2%. E ridurre tutto al costo del lavoro, ribadisce Zirpoli, è sbagliato: «Facendo l’esempio dell’industria automobilistica italiana, passata dalla produzione di 2 milioni di auto all’anno ormai a 500.000, si può dire che il grande vuoto sia a livello di progettazione. Discutere dei siti produttivi senza affrontare il nodo legato alla scomparsa delle attività di progettazione delle auto a Torino e a Modena è insufficiente: i Paesi in cui non si genera innovazione e nuova conoscenza sono destinati a diventare marginali e facilmente sostituibili nelle catene globali del valore, corpi produttivi senza una testa».