ETF «tematici»: più rischiosi, meno redditizi e sopravvalutati
Un segmento della finanza che incarna bene il concetto di «democratizzazione» dei mercati è quello degli «Exchange Traded Funds» (ETF), i fondi d’investimento negoziabili in Borsa che in origine, negli anni Novanta, si limitavano a «replicare» passivamente l’andamento di indici azionari. Gli ETF sono un’innovazione della finanza che ha riscosso un enorme successo. Oggi, infatti, con questi fondi si può replicare praticamente qualsiasi bene finanziario, come valute, obbligazioni e materie prime. E ora anche «temi» d’investimento (o settori specifici), come la legalizzazione della marjuana, i prodotti vegani, il telelavoro e i vaccini COVID-19.
Da tempo i cosiddetti «ETF tematici» (e «settoriali») riscuotono molto successo: si possono comprare e vendere in Borsa anche in giornata, consentono una maggiore diversificazione del portafoglio d’investimento e, soprattutto, «catturano» le tendenze di mercato. Il mercato globale degli ETF oggi vale circa 9 mila miliardi di dollari, con afflussi netti di 856 miliardi nel solo 2022. Esistono attualmente oltre 10 mila prodotti ETF, quotati su ottanta borse in 63 Paesi.
Rendimenti inferiori
La popolarità degli ETF presenta tuttavia qualche elemento critico. «Negli ultimi due decenni, gli ETF tematici e settoriali rendono meno rispetto al rendimento del mercato nel suo insieme, in media -5,4 punti percentuali l’anno (su una base aggiustata per il rischio) nei primi cinque anni della loro vita», afferma Francesco Franzoni, professore di Finanza all’USI e Senior Chair allo Swiss Finance Institute, che da tempo studia questo fenomeno e che ha da poco pubblicato uno studio empirico che analizza un migliaio di ETF tematici quotati sulle borse americane dal 1993 al 2020.
«Questi ETF tematici tendono inoltre a contenere titoli “di tendenza” e sopravvalutati, i cui prezzi è probabile che scenderanno e che quindi non creano particolare valore per gli investitori».
Da fondi passivi ad attivi
La necessità di attirare l’attenzione degli investitori ha portato gli emittenti di ETF a cavalcare le ultime tendenze, trasformando un prodotto «passivo» in una scommessa «attiva» sul tema del giorno. Gli ETF su singoli titoli azionari sono solo l’ultimo passo nell’evoluzione della specie, ma oggi troviamo emissioni di ETF anche su bitcoin, auto elettriche e addirittura sul metaverso.
Come osserva Franzoni, «i costi di negoziazione contenuti e la facilità con cui si possono comprare o vendere in Borsa ispirano gli investitori al trading a “frequenze” relativamente elevate e ciò non è indicato per le masse, oltre al fatto che così facendo si “tradisce” l’idea originale degli ETF quale fondi d’investimento passivi».
Commissioni più elevate
Negli anni la concorrenza nel mercato degli ETF si è intensificata e le commissioni sono diminuite e per contrastare questo sviluppo sono stati ideati nuovi tipi di prodotti, ovvero gli ETF tematici, che applicano commissioni più elevate e seguono segmenti più piccoli, o di nicchia, del mercato.
Con le migliaia di prodotti già presenti sul mercato, infatti, per avere successo i nuovi ETF devono essere unici e attirare l’attenzione degli investitori. «E se un ETF suscita “emozione” nell’investitore che vuole scommettere su un determinato tema “preferito”, sarà meno sensibile al prezzo che pagherà per il prodotto», chiosa il professore.
«Ma le commissioni non sono la ragione principale della sottoperformance lorda. Il nostro studio ha rilevato infatti che gli ETF tematici sono di fatto sopravvalutati già al momento del lancio e sottoperformano negli anni successivi».
Tre dimensioni di rischio
Gli investitori dovrebbero quindi fare attenzione quando prendono in considerazione l’investimento in ETF tematici. «Rischiano di perdere su tre dimensioni: sacrificano la diversificazione del portafoglio, è probabile che investano in attività sopravvalutate e pagano commissioni più elevate», conclude il nostro interlocutore.