L'analisi

Germania, la fase di transizione della terza economia mondiale

La locomotiva ha registrato battute d’arresto, ma ha ancora molti punti di forza che possono fare da base per la ripresa – Gli scossoni della geopolitica si sono fatti sentire e tuttavia i dati sono di buon livello per i prezzi, la disoccupazione, i conti pubblici
© AP/Martin Meissner
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
02.02.2025 19:30

Mentre si avvicinano le elezioni del 23 febbraio, che naturalmente ci diranno qualcosa di più sugli attuali assetti politici tedeschi, vale la pena fotografare alcuni dati economici rilevanti della Germania. Di quella che è la terza economia mondiale per dimensioni, alle spalle dei due giganti USA e Cina, attualmente si parla soprattutto per descriverne le difficoltà. Ora, che l’economia tedesca negli ultimi due anni abbia avuto il segno negativo è oggettivo, ma ciò non significa che il Paese sia completamente a terra e non abbia alcuna prospettiva di risalita. Già in passato la Germania è stata più volte data per spacciata in economia e poi si è invece ripresa. Vediamo dunque le ombre ma anche le luci della realtà tedesca, in questa fase di transizione del Paese.

La crescita economica

Secondo i dati del Fondo monetario internazionale (FMI), la Germania tra il 2006 e il 2015 ha avuto una crescita media annua dell’1,4%, contro lo 0,8% dell’insieme dell’Eurozona; ha avuto in seguito altri due anni di crescita maggiore rispetto all’area dell’euro e poi, in coincidenza con la guerra dei dazi varata da Trump contro la Cina e altri, ha cominciato a rallentare. Nel 2020 pandemico ha contenuto più di altri la discesa del PIL e nei due anni seguenti ha avuto buoni rimbalzi.

La svolta negativa è arrivata solo nel 2023, con il PIL a -0,3%, a causa anche del cumularsi degli effetti negativi dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia (la Germania era sin lì forte importatrice di energia russa) e dell’acuirsi delle tensioni Cina-Occidente (l’export tedesco verso la Cina resta notevole ma prima era maggiore). È chiaro che la locomotiva germanica deve diversificare e pagare di più l’energia (ancor più di altri Paesi) e metter nel conto che una parte dell’ingente export verso la Cina (che tra l’altro ha anche incrementato le sue tecnologie) deve andare in direzione di altri mercati, in parallelo con innovazioni nei prodotti. Nel 2024 per il PIL tedesco c’è stato un -0,2%. L’FMI prevede ora per il 2025 e per il 2026 crescite rispettivamente dello 0,3% e dell’1,1%. Una ripresa moderata, ma se così sarà verrà quantomeno superato il segno negativo, provocato in larga misura da eventi geopolitici esterni.

Inflazione, lavoro, debito

Per quel che riguarda l’inflazione la tendenza al calo su base annuale è abbastanza chiara, al di là di alcuni rimbalzi mensili, e la percentuale in Germania secondo l’Ufficio di statistica tedesco nel gennaio 2025 è stata del 2,3% calcolata con l’indice CPI e del 2,8% calcolata con l’indice armonizzato HICP; nel gennaio 2023 le rispettive percentuali erano 8,7% e 9,2%. Nonostante le recessioni annue registrate nel 2023 e nel 2024, il mercato del lavoro tedesco ha mostrato resilienza; secondo Eurostat, l’Ufficio di statistica dell’Unione europea, il tasso di disoccupazione nel dicembre 2024 in Germania era del 3,4%, in lieve aumento rispetto al 3,2% di un anno prima ma comunque ancora ad un livello contenuto.

Quanto ai conti pubblici, la Germania resta nei Paesi a basso indebitamento nel raffronto internazionale. Gli ultimi dati Eurostat disponibili, relativi al terzo trimestre 2024, indicano un rapporto debito pubblico/PIL pari al 62,1%. Il rapporto deficit pubblico/PIL per lo stesso periodo è 2,3%. Anche in Germania, come più in generale nell’area UE, c’è un dibattito aperto sull’opportunità di lasciar salire l’indebitamento pubblico, per poter fare più investimenti, in particolare nelle infrastrutture. I favorevoli all’allentamento del rigore nei conti pubblici ritengono che ciò sia necessario, per l’ammodernamento del Paese e per favorire la ripresa economica. I contrari all’allentamento sostengono che le risorse economiche vanno trovate senza aumentare l’indebitamento e aggiungono che la linea del rigore ha già dimostrato la sua validità negli anni della buona crescita economica.

La Borsa in alto

Un capitolo spesso non sottolineato è quello del forte rialzo della Borsa tedesca. A Francoforte l’indice DAX è a livelli da record; alla chiusura di quest’ultimo venerdì il progresso rispetto a un anno prima era pari al 28%. È vero che molte tra le Borse principali sono in netto rialzo, ma tanti non si aspettavano che quella tedesca fosse così in alto. Sul mercato la spiegazione prevalente dell’ascesa del DAX è che questo contiene parecchi titoli di gruppi e società germanici con ampie attività all’estero, dunque poco o nulla frenati dalla recessione interna. Il che è in effetti oggettivo, ma mostra anche che una parte non secondaria dei gruppi tedeschi ha ancora buoni risultati. Le loro attività hanno d’altronde ricadute anche in patria, concorrono dunque a contrastare l’andamento recessivo e contribuiscono a formare le basi per la risalita.

Josef Nierling: «La ripartenza ci sarà, ora occorre ridurre la burocrazia»

«Resto positivo. Con lentezza, ma la Germania sta reagendo». Josef Nierling, CEO del ramo italiano della tedesca Porsche Consulting, esprime un ottimismo di fondo sull’economia germanica, pur indicando in modo netto i problemi che questa deve affrontare. La Porsche Consulting è una società di consulenza strategica e operativa con una storia particolare. Dopo una sua ristrutturazione interna, la casa automobilistica Porsche aveva acquisito un’esperienza tale da far nascere l’idea di mettere quel know how a disposizione di altre imprese. E così nel 1994 ha preso il via la società di consulenza. A cavallo tra Germania e Italia, Josef Nierling ha un punto di osservazione privilegiato su quanto accade nei due Paesi e più in generale in Europa. Nierling era a Davos nei giorni scorsi, per presentare a lato del World Economic Forum il “Nature-Factory Manifesto”, ideato dalla stessa Porsche Consulting e dalla società di consulenza paesaggistica Land guidata da Andreas Kipar, con l’obiettivo di contribuire al passaggio dal consumo di riserve planetarie alla produzione di risorse. Abbiamo colto l’occasione per parlare con Nierling anche dell’economia tedesca. «Nel corso degli anni - dice il manager - la Germania ha avuto un’ottima crescita economica, con un percorso legato all’industria tradizionale ma non solo, ci sono stati anche l’impiego di molti nuovi talenti e la creazione di molte startup. Settori industriali rilevanti, soprattutto quelli dell’auto e della chimica, in questi ultimi anni hanno registrato alcuni problemi. Devono affrontare una serie di questioni, tra le quali il maggior costo dell’energia e la diversa situazione della Cina, che da un lato fa più concorrenza e dall’altro assorbe un po’ meno export. Tutto ciò va considerato, è giusto preoccuparsi del futuro. Ma bisogna anche tener conto dei punti di forza tedeschi, ad esempio delle capacità di investimento e della bassa disoccupazione». Per Nierling la Germania mantiene tutte le possibilità di uscire dalla recessione e di ripartire, come d’altronde ha già fatto altre volte in passato, ma deve attuare alcuni cambiamenti. «Si tratta di un’economia che è grande - afferma - e che al tempo stesso ha una sua lentezza, collegata anche a meccanismi del sistema Paese. Uno dei passaggi più importanti da attuare per la Germania è quello di una sburocratizzazione, per avere una maggiore velocità anche in campo economico. Un altro punto centrale è la necessità di accelerare nell’innovazione; la Germania ha una lunga e positiva storia su questo versante ma il quadro adesso è cambiato e c’è bisogno di prodotti ancor più innovativi e di un ulteriore allargamento della cultura tecnologica». Quanto all’Italia, Nierling vede da un lato i persistenti legami economici con la Germania, dall’altro una situazione nazionale per alcuni aspetti rovesciata. «In economia l’Italia non è lenta, si adatta velocemente - spiega - e questo è uno dei suoi punti di forza. D’altro canto ha problemi strutturali complessi, che contribuiscono a frenare la crescita. Pensiamo ad esempio al debito pubblico elevato e alle difficoltà nel ribilanciare la spesa pubblica. Comunque, in Italia ci sono molti segmenti industriali che crescono ancora bene». Il ritorno di Trump alla presidenza degli Stati Uniti comporta anche nuovi dazi USA nei confronti della Cina e dei vicini Canada e Messico, con l’Europa che resta nel mirino. A fronte di ciò, per Nierling la linea da seguire da parte dell’Unione europea e di altri Paesi del Vecchio continente dovrebbe basarsi su due capitoli principali: negoziati commerciali con gli USA, ma anche intese con altre aree economiche, soprattutto in Asia. «Certamente non sarà facile - dice - negoziare con l’Amministrazione Trump, ma occorre farlo. Nel contempo, non bisognerebbe adottare dazi di ritorsione nei confronti degli USA. Sarebbe molto meglio agire con forza per cercare sbocchi con molti Paesi di altre aree, in particolare in Asia, ponendosi l’obiettivo di raggiungere nuovi accordi di libero scambio».