I dazi frenano la crescita globale e fanno rallentare anche gli USA

Quanto può incidere la guerra dei dazi sulla crescita economica mondiale? Sulla base della situazione ai primi di aprile, secondo il Fondo monetario Internazionale (FMI) il mondo quest’anno potrebbe crescere 0,5 punti percentuali in meno rispetto a quanto previsto nel gennaio scorso. L’anno prossimo, poi, il PIL globale potrebbe crescere 0,3 punti in meno in rapporto a quanto previsto in precedenza. Le dimensioni limitate di queste percentuali non devono trarre in inganno, in ballo ci sono valori grandi e scostamenti di questo tipo non sono secondari. Senza contare poi il fatto che se la guerra dei dazi varata dal presidente USA Trump si facesse più dura nei prossimi mesi, allora la crescita mondiale potrebbe subire ulteriori rallentamenti.
Le cifre
Quello delineato dall’FMI nell’Outlook reso noto nei giorni scorsi è insomma uno scenario di riferimento basato sulle informazioni sin qui disponibili. Anche se Trump ci ha abituato a cambiamenti repentini in corso d’opera, le previsioni dell’autorevole FMI possono comunque essere utili per avere un’idea di massima di quello di cui si sta parlando. Dunque, supponendo che il quadro dei dazi nei prossimi mesi non sia distante da quello che è stato prefigurato da Trump, la crescita globale annua dovrebbe passare dal 3,3% del 2024 al 2,8% del 2025. Nel gennaio scorso, prima degli annunci sui dazi, l’FMI prevedeva una crescita del 3,3% anche per quest’anno, ecco quindi lo scarto di 0,5 punti. Ma il 3,3% era previsto dall’FMI anche per il 2026, per il quale invece ora viene indicato un 3%, cioè 0,3 punti in meno. Si tratta di un aggregato complessivo di 0,8 punti in meno nel biennio 2025-26. Non è proprio poco. Questa possibile minor crescita economica è tutta conseguenza della guerra dei dazi? Se non tutta, per la gran parte comunque sì, visto che le tensioni geopolitiche e altre incertezze economiche in gennaio erano già presenti nello scenario. La novità negativa è stata la quantificazione dei nuovi dazi USA, in parte già applicati (soprattutto contro la Cina, che ha risposto con controdazi) e in parte solo sospesi.
PIL e inflazione
L’FMI abbraccia di fatto pienamente la tesi dei dazi che danneggiano tutti, anche chi dà il via alla nuova spirale di protezionismo, come gli USA. Tanto che per gli Stati Uniti dopo la crescita del 2,8% nel 2024 ne viene indicata una dell’1,8% per il 2025 (ben 0,9 punti in meno rispetto alle stime di gennaio). La Cina dovrebbe passare dal 5% dell’anno scorso al 4% di quest’anno (0,6 punti in meno rispetto al 4,6% indicato prima). L’Eurozona dovrebbe passare dallo 0,9% del 2024 allo 0,8% del 2025 (0,2 punti in meno), la Svizzera dovrebbe scendere dall’1,3% dell’anno passato allo 0,9% di quest’anno (0,4 punti in meno rispetto all’ottobre scorso), il Regno Unito dovrebbe registrare nel 2025 un 1,1% (0,5 punti in meno su gennaio), la stessa percentuale peraltro archiviata per il 2024. Per quel che riguarda ancora il versante asiatico, da notare che l’FMI indica per il Giappone 0,1% per il 2024 e 0,6% per il 2025 (-0,5 punti) e per l’India 6,5% per l’anno scorso e 6,2% per quest’anno (-0,3 punti). Uno dei timori più diffusi riguarda l’aumento dei prezzi dovuto alla guerra dei dazi, ma su questo l’FMI va abbastanza controcorrente. Evidentemente l’FMI valuta che la crescita economica più contenuta possa legarsi anche ad una domanda più moderata di beni e servizi, con effetti di freno sulle dinamiche dei prezzi. Bisognerà vedere se davvero la minor crescita bilancerà la spinta al rialzo dei prezzi creata dai dazi. Fatto sta che l’istituzione ora indica un’inflazione media per il 2024 del 2,6% per le economie avanzate e del 7,7% per le economie emergenti e in via di sviluppo; le prime dovrebbero nel 2025 attestarsi al 2,5%, le seconde al 5,5%. Da notare che gli USA per l’FMI dovrebbero rimanere quest’anno tra i Paesi avanzati a maggior inflazione (3%, come l’anno scorso), mentre l’Eurozona dovrebbe scendere al 2,1% (dal 2,4% del 2024).
La disoccupazione
Della minor crescita economica dovrebbero risentire negativamente i mercati del lavoro, in modo chiaro anche se non devastante secondo il Fondo monetario internazionale. Il tasso di disoccupazione medio per le economie avanzate è stato del 4,6% nel 2024 e dovrebbe salire al 4,7% nel 2025. Gli Stati Uniti dovrebbero passare dal 4% dell’anno scorso a un 4,2% quest’anno. L’Eurozona dovrebbe mantenere nel 2025 lo stesso tasso di disoccupazione registrato nel 2024, cioè il 6,4%. Il Giappone a sua volta dovrebbe essere stabile, con il 2,6%. Il Regno Unito dovrebbe invece avere una dinamica più simile a quella degli Stati Uniti e dovrebbe quindi passare dal 4,3% dell’anno scorso al 4,5% di quest’anno.
La Svizzera affronta il protezionismo e cerca di mantenere la sua resilienza
Anche sulla Svizzera peseranno gli effetti negativi della guerra dei dazi, che si stanno aggiungendo a quelli delle tensioni geopolitiche e delle incertezze economiche già esistenti. Salvo colpi di scena al momento imprevedibili, l’ulteriore rallentamento dei commerci mondiali e della crescita economica globale si farà sentire pure sulla Confederazione, l’economia elvetica infatti dipende non poco dagli scambi internazionali. La Svizzera è però anche tra i Paesi che hanno mostrato una buona adattabilità e una buona resilienza. Le battute d’arresto ci saranno quasi certamente anche per noi, ma è possibile che alle latitudini elvetiche si riesca più che altrove a limitare i danni.
I dati
Secondo le stime rese note nei giorni scorsi dal Fondo monetario internazionale (FMI), la crescita economica svizzera è stata dell’1,3% nel 2024 e dovrebbe essere - sulla base dello scenario oggi definibile - dello 0,9% nel 2025; nel 2026 dovrebbe poi risalire all’1,6%. Le previsioni attuali su quest’anno risentono inevitabilmente del contesto creato dalla guerra dei dazi varata dal presidente USA Trump e sono inferiori di 0,4 punti percentuali rispetto alle previsioni dell’ottobre scorso. Già si vede il danno della spirale protezionistica, dunque. Tuttavia, è anche vero che il livello della crescita economica svizzera resta nel complesso migliore di quello di altri importanti Paesi europei.
Se si guarda in particolare alle tre maggiori economie dell’Eurozona - nell’ordine Germania, Francia, Italia - si può vedere come i rallentamenti registrati e previsti siano di taglia più ampia. Per l’FMI l’economia della Germania ha avuto un -0,2% nel 2024 e dovrebbe avere uno 0% nel 2025 (-0,3 punti rispetto alle previsioni del gennaio scorso); nel 2026 l’economia tedesca dovrebbe poi risalire allo 0,9%. La Francia ha registrato un 1,1% l’anno scorso e dovrebbe avere quest’anno uno 0,6% (-0,2 punti); l’anno prossimo l’economia francese dovrebbe registrare un 1%. L’Italia dal canto suo ha avuto nel 2024 uno 0,7% e dovrebbe avere nel 2025 uno 0,4% (-0,3 punti); nel 2026 l’economia italiana dovrebbe riportarsi allo 0,8%. Certo, la cosa migliore sarebbe che sia la Svizzera sia queste economie di partner confinanti e rilevanti crescessero meglio e di più. Ma è anche interessante, pur in un quadro che è difficile per tutti, osservare il diverso grado di resilienza. Quanto all’inflazione, la Svizzera resta uno dei Paesi meglio messi, con un rincaro molto basso. Secondo l’FMI, la Confederazione nel 2024 ha avuto una media annua di inflazione dell’1,1% e nel 2025 ne avrà una dello 0,2%. Le percentuali della Germania sono rispettivamente 2,5% e 2,1%, quelle della Francia 2,3% e 1,3%, quelle dell’Italia 1,1% e 1,7%. La Svizzera si conferma Paese allergico all’inflazione e ciò resta un punto positivo e di rilievo. La forza della valuta rimane importante, se da un lato il super franco crea alcuni ostacoli all’export elvetico, dall’altro rende meno caro per la Svizzera l’import e contribuisce alla bassa inflazione. Per la Banca nazionale svizzera (BNS) il bilanciamento non è facile: il franco forte va bene ma non deve essere troppo forte. Ora è molto forte, vedremo cosa farà la BNS. In buona sostanza, è comunque meglio avere i problemi di una moneta forte che non quelli di una moneta debole.
Il lavoro
Sul versante della disoccupazione, la Svizzera mantiene buone posizioni nel raffronto internazionale, nonostante gli oggettivi peggioramenti di questa fase, dovuti principalmente agli effetti del rallentamento economico, sia mondiale sia nazionale. Per l’FMI il tasso medio annuo di disoccupazione in Svizzera è stato del 2,4% nel 2024 e dovrebbe essere del 2,8% nel 2025. Per la Germania le percentuali sono rispettivamente del 3,4% e del 3,5%; per la Francia sono 7,4% e 7,7%; per l’Italia sono 6,6% e 6,7%. Di nuovo, sarebbe meglio che per tutti non ci fossero i peggioramenti che si vedono, ma occorre valutare anche la tenuta di fondo del mercato del lavoro elvetico.