L'analisi

I metalli per la transizione, cari e difficili da trovare

Il rame e altri materiali fondamentali per la svolta tecnologica sono ricercati e spesso soggetti a speculazioni di mercato – E alcune Big Tech americane, per evitare la Cina, intanto siglano accordi con alcuni Paesi africani
© Reuters
Gian Luigi Trucco
26.09.2024 06:00

Analisti economici e finanziari lo hanno considerato, non sempre a ragione, un leading indicator, anticipatore della futura evoluzione degli scenari: un aumento della domanda di rame indicherebbe una fase di crescita e una contrazione farebbe prevedere un rallentamento congiunturale. Ciò grazie all’impiego del metallo rosso in molti settori diversi. Al momento la sua quotazione è del 25% inferiore rispetto ai massimi raggiunti nel marzo 2022, segnando tuttavia un +13,5% negli ultimi 12 mesi e +10% circa da inizio 2024.

Quanto al suo ruolo quale indicatore dell’andamento azionario, il livello di correlazione è alquanto basso se non negativo su periodi estesi. Basti pensare che fra il 2011 ed il 2016 il prezzo del rame è sceso del 60% a fronte di un raddoppio dell’indice S&P500 nei quattro anni successivi, pur ammettendo un progressivo decoupling fra andamenti dei mercati finanziari e dell’economia reale.

Tra geopolitica e scarsità

Ora il rame torna sotto i riflettori quale protagonista della transizione tecnologica ed energetica insieme ad altri metalli quali oro, platino, metalli delle terre rare, scandio, cobalto, litio, nickel, titanio, zirconio... Si tratta, in molti casi, di materiali costosi, di estrazione e lavorazione complessa, reperibili in aree concentrate e soggette a condizioni particolari per ragioni geopolitiche o ambientali, oltre che soggetti a condizionamenti «strategici», manipolazioni speculative e difficoltà lungo la loro catena di fornitura. Il rinnovato interesse per il metallo rosso ha indotto Bill Gates e Jeff Bezos a promuovere un nuovo centro minerario in Zambia, nel cosiddetto Copperbelt, che si estende alla Repubblica Democratica del Congo, altro importante produttore. È notizia recente l’intenzione della Russia, che detiene enormi riserve soprattutto nell’area artica, di limitare l’export di uranio, titanio e nickel.

Per quanto riguarda in particolare il rame, essenziale per molte attività tecnologiche sia tradizionali (ogni auto ne contiene mediamente 30 chili), sia di ultima generazione grazie alla sua eccezionale conduttività (al pari dell’argento) e ad altre caratteristiche, un recente rapporto della società britannica di analisi Wood Mackenzie evidenzia come far fronte alla crescente domanda potrebbe risultare difficile.

Domanda in forte crescita

Secondo l’agenzia di Edimburgo la domanda di rame è destinata a crescere del 30% nel prossimo decennio e del 75% entro il 2050, raggiungendo i 56 milioni di tonnellate. Investire in nuove miniere potrebbe non bastare, viste le strozzature nelle lavorazioni a valle e nella raffinazione del prodotto estratto prevalentemente in Africa ed in Sud America, in gran parte condotte dalla Cina, non facile da sostituire quale fornitore finale.

Secondo il rapporto un debole o ritardato «decoupling» - disaccoppiamento - dalla dipendenza cinese, sia nel caso del rame, sia degli altri metalli rilevanti, porterà inevitabilmente a una transizione energetica più lenta e costosa, oltre che a volatilità dei prezzi e forti turbolenze sui mercati finanziari. Gli analisti riconoscono come il disallineamento con l’economia cinese possa risultare difficile, ma evidenziano anche i rischi di natura geopolitica con cui l’industria è confrontata, guerre commerciali, sanzioni, interruzione delle catene logistiche, il tutto in settori strategicamente vitali.

Quali che siano le evoluzioni geopolitiche, la domanda di metalli high-tech è destinata a crescere sensibilmente. Il settore minerario si muove con cautela nei nuovi investimenti, frenato dalla volatilità dei prezzi e dalle incertezze finanziarie, ma i tecnici ci dicono anche che rendere efficiente una nuova miniera richiede oltre 15 anni. Altri dati vengono dall’International Energy Agency (IEA): nei prossimi 30 anni si dovranno estrarre risorse naturali pari a quelle che l’uomo ha estratto dall’inizio della sua storia. Se ciò sia materialmente possibile è tutto da vedere. Il fabbisogno di litio crescerà di 42 volte entro il 2040, quello di grafite 25 volte, di cobalto 21 e di nickel 19.

La diplomazione mineraria

Per l’Europa la sfida della transizione è particolarmente critica, viste le condizioni geopolitiche globali e le sue divisioni interne. Al momento dipende ampiamente dal Cile per le forniture di litio e rame, dal Congo per il cobalto, dal Sud Africa per il platino, dalla Russia soprattutto per il palladio, nonché dalla Cina per molti di questi ed essenzialmente per terre rare, antimonio, tungsteno e altri metalli. Se gli Stati Uniti sono preoccupati della supremazia cinese in questo ambito e della loro dipendenza da Pechino, simili timori serpeggiano in Europa, che ha avviato un piano di «diplomazia dei metalli» rivolto soprattutto ad Africa, America Latina e Canada, puntando al contempo sullo sviluppo della propria attività mineraria e su programmi di riciclaggio.

Quanto poi all’identificazione dei metalli tecnologici quali «petrolio del nuovo secolo» come strumento di evoluzione, non va dimenticato che il fulcro dello sviluppo sarà costituito dalla nuova enorme rete cablata di trasmissione energetica e di dati, in cui i cavi di rame aerei, sotterranei e sottomarini, sono rivestiti di materiale di origine petrolchimica, che le reti stesse operano con centrali alimentate da carburanti fossili, al pari delle turbine eoliche e di molti altre strutture cosiddette alternative.