L'analisi

I rischi di un'America indebitata che è troppo grande per fallire

Il Fondo monetario stima che il debito degli Stati del mondo sia di 100 mila miliardi di dollari - La sola economia statunitense, tra pubblico e privato, ha superato da sola questa soglia
Il cielo non è sempre sereno sopra Washington. © AP/Semansky
Dimitri Loringett
16.10.2024 06:00

Il mondo naviga in un mare di debiti. Nella fattispecie, di debito pubblico, ovvero degli Stati, che entro la fine dell’anno si appresta a superare la soglia psicologica dei 100 miliardi di dollari (circa 86 mila miliardi di franchi) ed è «probabilmente peggio di ciò che sembra». Così scrive il Fondo monetario internazionale (FMI) in un articolo pubblicato online dai toni velatamente allarmistici, indicando come la cifra monstre sia pari al 93% del Prodotto interno lordo (PIL) globale, un rapporto che, sempre secondo il FMI, raggiungerà quota 100% entro il 2030.

Ma c’è un altro dato, restando nell’affascinante mondo delle mega-cifre, che può stupire per grandezza ancora di più: l’indebitamento complessivo degli Stati Uniti (incluso quello privato, quindi) ammonterebbe (il condizionale è d’obbligo perché la componente privata è stimata) a oltre 100 mila miliardi di dollari. Detto altrimenti, l’intero debito a stelle e strisce è grande tanto quanto quello (pubblico) del mondo intero. Il solo debito federale USA, per esempio, è pari al 35% di quello mondiale. E allora, viene spontanea la domanda: la produzione di reddito (PIL) attuale e futura potrà sostenere una simile montagna di debito?

Quesito che si pongono in molti - e da diverso tempo - riguardo al caso USA, economia dal doppio deficit: di bilancio e commerciale. Il saldo della bilancia dei pagamenti è negativa dagli anni Settanta e attualmente si situa attorno ai mille miliardi di dollari l’anno.

Punto di rottura possibile

«Se negli USA si continuerà con le attuali politiche economiche, il debito pubblico non sarà più sostenibile, si arriverà a un punto di rottura», afferma al CdT Giovanni Barone Adesi, professore emerito di Teoria finanziaria all’USI. Sul quando (e se) si arriverà a un punto di rottura non si sa, «perché è una situazione che non abbiamo mai vissuto in un'economia così globalizzata», precisa Barone Adesi. «Per rimanere agli Stati Uniti, non hanno aiutato alcune politiche economiche espansive. L’ultimo pacchetto di stimoli (il terzo in ordine di tempo, ndr) varato dall’amministrazione Biden per sostenere i consumi post-pandemia è stato sostanzialmente inutile dal profilo economico. Ha peggiorato il deficit di bilancio. Anche i consiglieri vicini al presidente Biden erano pubblicamente contrari», ricorda il professor Barone Adesi, che continua: «Anche la decisione di questi giorni di mandare un altro costosissimo sistema antimissile in Israele, che ha già un’ottima difesa balistica, è discutibile». «Siamo però sotto elezioni ed è chiaro che i dem cercano di raccogliere voti in tutti i modi possibili per favorire la corsa alla Casa Bianca della vicepresidente Harris».

La geopolitica conta

Della sostenibilità del debito americano si è occupata in modo approfondito Maria Vassalou, responsabile del Pictet Research Institute, che ha appena pubblicato un corposo studio in merito. «Gli investitori sarebbero pesantemente penalizzati dallo scoppio di una crisi del debito. Il resto del mondo ha infatti finanziato i deficit statunitensi facendo incetta di dollari, titoli di Stato, obbligazioni e azioni che in tal caso perderebbero notevolmente valore», scrive l’esperta della banca privata ginevrina. «Uno dei maggiori rischi per la sostenibilità del debito USA - sostiene Vassalou - è di fatto di natura geopolitica. Ad esempio, a medio termine l’evoluzione della coalizione Brics+ potrebbe compromettere l’architettura finanziaria mondiale esistente. Dall’altra parte, nel breve periodo una forte crisi del debito USA appare a oggi improbabile».

Finché c’è chi compra

L’eccesso di debito (pubblico e privato), come principio generale, ha comunque delle conseguenze quando non è sostenibile. Lo sanno bene le aziende che falliscono, come pure i privati a cui, per esempio, viene negato il mutuo per l’acquisto della casa. Ma il debito pubblico, sotto controllo oppure no, quali conseguenze può avere? Può provocare crisi finanziarie? «Sì, se è mal gestito», afferma ancora Barone Adesi. «Come in qualsiasi bilancio - continua - bisogna fissare delle priorità che possono essere, o meno, condivisibili. Ma c’è comunque ampio spazio per portare avanti situazioni che sembrano quasi surreali. Un esempio è il debito giapponese, notoriamente enorme (oltre 9 mila miliardi di dollari, pari a circa il 260% del PIL del Paese, ndr). Il Giappone, però, non ha mai avuto difficoltà a finanziare questo debito».

In effetti, gli investitori privati (e istituzionali) del Paese del Sol Levante hanno sempre acquistato i titoli di Stato giapponesi, così come il Giappone è il primo «cliente» del Tesoro USA, da cui acquista i Treasury bond (attualmente detiene circa il 14% di tutti quelli emessi, per un valore pari a oltre mille miliardi dollari). Ma se il Giappone (e i giapponesi) cambiassero idea sui bond USA, raggiungeremmo forse il citato «punto di rottura»? Ancora Barone Adesi: «Recentemente ci siamo andati vicini, quando la Bank of Japan ha deciso di abbandonare il regime dei tassi d’interesse negativi. I risparmiatori e investitori giapponesi hanno iniziato a “disertare” gli asset americani (titoli del Tesoro ma anche azionari, ndr), motivo per il quale la banca centrale nipponica ha dovuto fare marcia indietro per evitare di destabilizzare il sistema finanziario (e l’economia) statunitense, che avrebbe avuto ovviamente un forte impatto anche sull’economia giapponese».

Ricordiamoci i subprime

In chiusura, facciamo un accenno a debito privato, di cui si parla poco ma che è altrettanto importante: negli USA, per esempio, il debito dei privati cittadini ammonta a oltre 25 miliardi di dollari, comparabile quindi a quello federale, che è a 35 mila miliardi. «I rilevamenti statistici sono differenti - spiega Barone Adesi - ma il legame abbastanza stretto fra i due generi di debito c’è. Si pensi alla crisi dei subprime scoppiata quindici anni fa, che ha avuto origine nel privato e che ha dimostrato come una cattiva gestione del debito privato investe le banche che, messe in difficoltà necessitano dell’intervento statale per salvarle dall’insolvenza», conclude il professore