«I sette giorni che hanno scosso il mondo» e che rischiano di innescare una recessione

«Una recessione autoinflitta e imposta al resto del mondo è probabilmente già cominciata e andrà contrastata per evitare inutili fallimenti di imprese e licenziamenti di persone; si tratta solo di capire quanto lunga e profonda sarà». Non la manda a dire Luca Paolazzi, economista e advisor di Ceresio Investors, che nell’ultimo «Osservatorio» analizza ciò che negli annali della storia potremo forse leggere un in capitolo intitolato: «I sette giorni che scossero il mondo». Il riferimento è evidentemente ai concitati giorni tra il 2 e il 9 aprile, quando l’Amministrazione Trump ha prima annunciato l’imposizione di «dazi reciproci» tra gli USA e praticamente il resto del mondo e poi «deciso» di sospenderli per 90 giorni - escludendo però la Cina, contro la quale li ha successivamente inalzati a 145%, misura valida da ieri.
Per Luca Paolazzi, «i dazi, grandi o piccoli che siano, sono il minore dei mali. Presa una decisione e fissato un nuovo sistema di regole, l’economia si aggiusta. Continuando a rimanere in moto perché tutti pedalano nella nuova direzione. Se invece l’introduzione di nuovi dazi è uno strumento negoziale e il punto d’arrivo è incognito, allora la bicicletta-economia si ferma in attesa di capire dove andare e cade in recessione. L’incertezza massima, che a gennaio è stata rilevata di tre volte più alta oggi che ai tempi della Grande crisi finanziaria e sopra i livelli del 2020 (anno dello scoppio della pandemia di Covid-19 su scala globale, ndr), è tossica molto più dei dazi».
Andando più nel dettaglio delle possibili conseguenze del «cambio di paradigma» in atto, l’analisi si sofferma in particolare sulle imprese che, date la paura e la sfiducia davanti all’ignoto «vanno in direzione di tenere in sospeso investimenti, anche in capitale circolante (ordini) e acquisti di beni durevoli (auto in primis), per avere liquidità nel caso in cui la situazione peggiori notevolmente. In altre parole, tutti cercano di risparmiare, con il risultato di far accadere ciò che temono». Cioè di andare incontro a una fase di recessione.
La «cartina tornasole» di questo scenario, come spesso accade, è l’andamento delle Borse. Tuttavia, nonostante il forte calo dei listini azionari, soprattutto negli USA (lo S&P 500 è tuttora sotto del 10% rispetto a inizio anno) nell’Osservatorio Ceresio Investors si osserva che i mercati finanziari ancora non scontano la recessione visto che nessuno delle aziende ha rivisto le previsioni di aumento degli utili. «D’altra parte - scrivono - il crollo delle azioni c’è stato, accompagnato insolitamente da quello delle obbligazioni. Con il duplice effetto di far rincarare il costo del capitale di rischio e di debito e di ridurre la ricchezza finanziaria, penalizzando così sia le imprese e i loro investimenti sia le famiglie e i loro consumi».
Non da ultimo, sulla brusca caduta del dollaro gli esperti parlano di ragioni economico-politiche: «La valuta americana non ha più il vento in poppa di una maggior crescita e subisce il vento contrario della perdita di credibilità degli USA sul piano militare ed economico (Washington non è più il faro del libero scambio) e nella politica economica. Anche questa perdita è una potente scossa tellurica che cambia gli equilibri».
Come andrà a finire? Per Paolazzi non ci sarà un lieto fine: «Riavvolgere i dazi e far sparire l’incertezza richiede tempo e rare abilità diplomatiche, perché nessuno vuole perdere la faccia. Nel frattempo, le forze recessive agiranno, penalizzando le azioni (utili in calo), mentre per le obbligazioni è probabile che quelle americane rimangano azzoppate e quelle europee traggano giovamento dalle prospettive di allentamento monetario».