I tassi salgono e le azioni pure, le Borse «apprezzano» le politiche restrittive
I tassi d’interesse in calo sono positivi per i mercati azionari, quelli in aumento no. Questa regola d’oro della Borsa viene però ogni tanto smentita. Lo vediamo da almeno tre-quattro mesi a questa parte con il rialzo dei tassi da parte delle principali banche centrali voluto per attenuare le aspettative inflazionistiche: l’indice americano S&P500 per fare un esempio, è salito di quasi il 15%, mentre da questa parte dell’Atlantico l’indice Euro Stoxx 50 ha segnato un +24% circa.
Appare paradossale, ma i mercati sembrano quindi apprezzare le politiche monetarie restrittive. Ma sarà davvero così? «I rialzi borsistici a cui assistiamo da alcuni mesi sono dovuti principalmente alle aspettative - positive - degli investitori», ci spiega Giovanni Barone Adesi, professore emerito di Teoria finanziaria all’USI. «I rialzi dei tassi, tutto sommato su livelli ancora accettabili, sono di fatto già calcolati nei prezzi delle azioni. Tuttavia, il fatto che l’inflazione sia cominciata a scendere ha dato forse anche troppo “combustibile” ai mercati».
A inizio febbraio, in occasione dell’ultimo intervento della Federal Reserve che alzò il tasso guida di ulteriore 25 punti base, il governatore Jerome Powell aveva lasciato intendere di voler continuare con i rialzi per poi fermarsi. «Questo è ciò che si attendono i mercati oggi. Se poi i dati economici non dovessero essere quelli desiderati, ovviamente cambierà tutto. La preoccupazione che hanno gli investitori è che la politica della Fed, che alcuni vedono come troppo aggressiva, possa portare a una recessione», spiega il professore.
Da qualche settimana, invece, si sente parlare sempre meno di recessione, specie negli Stati Uniti. Anzi, a guardare i più recenti dati sui consumi, che rappresentano una parte importante del PIL, si direbbe che gli americani abbiano tutte le intenzioni di continuare a spendere anche nei prossimi mesi, nonostante siano già piuttosto indebitati. Ma questo «gioco» potrebbe «rompersi», come ci spiega Barone Adesi. «Presto o tardi vedremo gli effetti della ripresa della domanda, specie di materie prime, da parte della Cina e questo avrà un impatto sulla domanda negli USA con il rialzo dei prezzi al consumo. C’è un rischio quindi che Powell non possa più fermarsi dove intende. Poi c’è anche un problema di finanza internazionale: dopo oltre due decenni la Bank of Japan potrebbe finalmente cambiare politica monetaria e alzare i tassi sullo yen, il che drenerà liquidità dai mercati internazionali, in particolare nei Paesi fortemente indebitati. È probabile che poi i tassi d’interesse aumentino molto, in Europa almeno, con ripercussioni anche negli USA. Insomma, l’equilibrio è delicato e ci sono certamente dei rischi all’orizzonte, ma in questa fase prevale l’ottimismo», conclude il nostro interlocutore.