Il debito resta un punto centrale nel dibattito economico in Italia
Le parole del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, proprio in apertura del Forum The European House Ambrosetti (TEHA) svoltosi dal 6 all’8 settembre, hanno riproposto la centralità della questione dei conti pubblici. L’occasione del Forum annuale, che si tiene a Villa d’Este di Cernobbio ed è giunto alla sua cinquantesima edizione, è stata colta in chiave di temi economici dal capo dello Stato italiano che, in collegamento da Roma, ha centrato il suo intervento soprattutto due capitoli: la necessità della riduzione del debito pubblico, l’opportunità di completare l’edificio finanziario dell’Unione europea.
Necessità ineludibile
Abbattere il debito pubblico è una «necessità ineludibile», ha affermato Mattarella. Al tempo stesso, il presidente della Repubblica ha richiamato il fatto che l’Italia paga sui suoi titoli pubblici interessi troppo elevati, che portano ad una penalizzazione eccessiva del Paese. «È evidente - ha detto Mattarella - che molta strada resta da fare ad un mercato dei titoli pubblici che trascura temi come il rapporto tra debito e ricchezza finanziaria delle famiglie e che il termometro della percezione dei mercati sull’affidabilità di un Paese è quantomeno opinabile». Insomma, ha indicato Mattarella, l’Italia deve tagliare il debito pubblico, ma bisogna anche considerare che la ricchezza finanziaria privata nel Paese è notevole e che un’integrazione finanziaria maggiore nell’UE dovrebbe portare anche ad una più equilibrata valutazione dei titoli pubblici.
La prima parte del discorso, cioè la riduzione del debito, fa l’unanimità tra gli esperti; le divergenze sono semmai su come attuarla. La seconda parte, sulla ricchezza finanziaria e sull’integrazione, suscita invece pareri differenziati. Vediamo anzitutto le cifre. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI) il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe quest’anno attestarsi in Italia al 139%. Il Paese resta quindi tra quelli a maggiore indebitamento. Tra i pochi Paesi sviluppati che da questo punto di vista stanno peggio ci sono il Giappone (254% quest’anno) e la Grecia (158%, in diminuzione). Ma qual è stato in percorso dell’Italia negli ultimi anni? Nel 2019 il debito italiano era al 134%, poi con la pandemia si è saliti al picco del 154% nel 2020. Quindi una discesa al 147% nel 2021, al 140% nel 2022, al 137% nel 2023. Per l’FMI nel 2024 dovrebbe appunto esserci un rimbalzo al 139% e nel 2025 si dovrebbe arrivare di nuovo al 140%.
Mercati e interessi
La grande massa di interessi da pagare sul debito pubblico costringe di fatto l’Italia, come gli altri Paesi molto indebitati, a destinare qui risorse che potrebbero invece andare alla crescita economica. Elevati indebitamenti e alti deficit pubblici rendono inoltre diffidenti nei confronti di uno Stato i mercati, che chiedono quindi tassi di interesse maggiori per acquistare i suoi titoli. Come si può interrompere questo meccanismo? La risposta basilare è che occorre ridurre il debito pubblico, sia in cifra assoluta sia in rapporto al PIL. E che la via principale per attuare questa riduzione è il taglio delle spese pubbliche improduttive, perché di contro aumentare imposte che sono già consistenti porta a battute d’arresto per l’economia.
Il richiamo di Mattarella alla ricchezza finanziaria come garanzia per la gestione del debito pubblico, già indicata da molti economisti e politici in Italia, si presta invece a valutazioni contrastanti. Questa ricchezza finanziaria è infatti dei privati, mentre il debito di cui si sta parlando è pubblico. Quindi è discutibile porre questa ricchezza a garanzia del bilancio pubblico, a meno che non si pensi che la porta debba rimanere in ogni momento aperta a prestiti obbligatori statali a carico dei cittadini o ad imposte ad hoc. Tra gli esperti ci sono quindi anche pareri contrari all’intreccio tra ricchezza finanziaria privata e debito pubblico.
La via maestra
Quanto ad un mercato dei titoli pubblici più integrato nell’Unione europea o almeno nell’Eurozona, questo potrebbe portare ad alcuni vantaggi per una parte degli Stati membri, ma potrebbe anche non risolvere il problema della diffidenza dei mercati nei confronti dei Paesi più indebitati e dunque degli interessi più alti. Se in teoria ci fosse un unico titolo pubblico in euro, questo risentirebbe comunque della situazione dei Paesi molto indebitati, con danno quindi per i Paesi virtuosi. Se l’integrazione aumentasse ma non arrivasse sino al titolo unico, i Paesi con debito eccessivo continuerebbero a dover pagare interessi maggiori. Giusto dunque il richiamo di Mattarella sul debito. Ma non esistono strade al di fuori della via maestra che ciascun singolo Paese deve seguire.