L'analisi

Il debito resta un punto centrale nel dibattito economico in Italia

Al Forum The European House-Ambrosetti l’intervento del presidente Sergio Mattarella dedicato soprattutto ai conti pubblici – Ampio consenso sul fatto che l’indebitamento vada ridotto, tuttavia sui parametri da seguire e sul percorso da fare ci sono posizioni diverse
©Luca Bruno
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
09.09.2024 06:00

Le parole del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, proprio in apertura del Forum The European House Ambrosetti (TEHA) svoltosi dal 6 all’8 settembre, hanno riproposto la centralità della questione dei conti pubblici. L’occasione del Forum annuale, che si tiene a Villa d’Este di Cernobbio ed è giunto alla sua cinquantesima edizione, è stata colta in chiave di temi economici dal capo dello Stato italiano che, in collegamento da Roma, ha centrato il suo intervento soprattutto due capitoli: la necessità della riduzione del debito pubblico, l’opportunità di completare l’edificio finanziario dell’Unione europea.

Necessità ineludibile

Abbattere il debito pubblico è una «necessità ineludibile», ha affermato Mattarella. Al tempo stesso, il presidente della Repubblica ha richiamato il fatto che l’Italia paga sui suoi titoli pubblici interessi troppo elevati, che portano ad una penalizzazione eccessiva del Paese. «È evidente - ha detto Mattarella - che molta strada resta da fare ad un mercato dei titoli pubblici che trascura temi come il rapporto tra debito e ricchezza finanziaria delle famiglie e che il termometro della percezione dei mercati sull’affidabilità di un Paese è quantomeno opinabile». Insomma, ha indicato Mattarella, l’Italia deve tagliare il debito pubblico, ma bisogna anche considerare che la ricchezza finanziaria privata nel Paese è notevole e che un’integrazione finanziaria maggiore nell’UE dovrebbe portare anche ad una più equilibrata valutazione dei titoli pubblici.

La prima parte del discorso, cioè la riduzione del debito, fa l’unanimità tra gli esperti; le divergenze sono semmai su come attuarla. La seconda parte, sulla ricchezza finanziaria e sull’integrazione, suscita invece pareri differenziati. Vediamo anzitutto le cifre. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI) il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo (PIL) dovrebbe quest’anno attestarsi in Italia al 139%. Il Paese resta quindi tra quelli a maggiore indebitamento. Tra i pochi Paesi sviluppati che da questo punto di vista stanno peggio ci sono il Giappone (254% quest’anno) e la Grecia (158%, in diminuzione). Ma qual è stato in percorso dell’Italia negli ultimi anni? Nel 2019 il debito italiano era al 134%, poi con la pandemia si è saliti al picco del 154% nel 2020. Quindi una discesa al 147% nel 2021, al 140% nel 2022, al 137% nel 2023. Per l’FMI nel 2024 dovrebbe appunto esserci un rimbalzo al 139% e nel 2025 si dovrebbe arrivare di nuovo al 140%.

Mercati e interessi

La grande massa di interessi da pagare sul debito pubblico costringe di fatto l’Italia, come gli altri Paesi molto indebitati, a destinare qui risorse che potrebbero invece andare alla crescita economica. Elevati indebitamenti e alti deficit pubblici rendono inoltre diffidenti nei confronti di uno Stato i mercati, che chiedono quindi tassi di interesse maggiori per acquistare i suoi titoli. Come si può interrompere questo meccanismo? La risposta basilare è che occorre ridurre il debito pubblico, sia in cifra assoluta sia in rapporto al PIL. E che la via principale per attuare questa riduzione è il taglio delle spese pubbliche improduttive, perché di contro aumentare imposte che sono già consistenti porta a battute d’arresto per l’economia.

Il richiamo di Mattarella alla ricchezza finanziaria come garanzia per la gestione del debito pubblico, già indicata da molti economisti e politici in Italia, si presta invece a valutazioni contrastanti. Questa ricchezza finanziaria è infatti dei privati, mentre il debito di cui si sta parlando è pubblico. Quindi è discutibile porre questa ricchezza a garanzia del bilancio pubblico, a meno che non si pensi che la porta debba rimanere in ogni momento aperta a prestiti obbligatori statali a carico dei cittadini o ad imposte ad hoc. Tra gli esperti ci sono quindi anche pareri contrari all’intreccio tra ricchezza finanziaria privata e debito pubblico.

La via maestra

Quanto ad un mercato dei titoli pubblici più integrato nell’Unione europea o almeno nell’Eurozona, questo potrebbe portare ad alcuni vantaggi per una parte degli Stati membri, ma potrebbe anche non risolvere il problema della diffidenza dei mercati nei confronti dei Paesi più indebitati e dunque degli interessi più alti. Se in teoria ci fosse un unico titolo pubblico in euro, questo risentirebbe comunque della situazione dei Paesi molto indebitati, con danno quindi per i Paesi virtuosi. Se l’integrazione aumentasse ma non arrivasse sino al titolo unico, i Paesi con debito eccessivo continuerebbero a dover pagare interessi maggiori. Giusto dunque il richiamo di Mattarella sul debito. Ma non esistono strade al di fuori della via maestra che ciascun singolo Paese deve seguire.

Da Cernobbio fiducia nello sviluppo

Anche nell’edizione di quest’anno i partecipanti al Forum The European House-Ambrosetti (TEHA) sono stati chiamati ad esprimersi attraverso il televoto. Si tratta ormai di una consuetudine per quanti prendono parte al Forum a Villa d’Este di Cernobbio. I partecipanti, alcune centinaia, sono in larga misura imprenditori e manager e fanno emergere anche così i loro orientamenti, su temi che sono naturalmente in prevalenza di carattere economico. È chiaro che da questi sondaggi rapidi non si possono trarre conclusioni vincolanti, ma è anche vero che il Forum sulle rive del lago di Como è una sede autorevole ed ha una platea qualificata, dunque le valutazioni di imprenditori e manager presenti hanno un peso non secondario. Interessante in particolare ancora una volta è stato il televoto sull’andamento delle imprese. Una maggioranza netta degli interpellati (oltre il 60%) ha indicato che nel 2024 la propria impresa sta performando meglio (40,7%) o molto meglio (20,4%) rispetto ai concorrenti. Il sondaggio analogo di un anno fa aveva fatto emergere una percentuale complessiva simile, ma quest’anno è più bassa la quota dei «meglio» e più alta invece la quota dei «molto meglio». Per completare il quadro, occorre dire che il 29,6% ha indicato che la propria azienda è in linea con le performance dei concorrenti, il 5,6% ha affermato che va peggio e l’1,9% che va molto peggio. Nello stesso televoto c’era un altro quesito: con quale fatturato l’impresa prevede di chiudere il 2024? Anche su questo è emerso un seppur moderato ottimismo, con una percentuale complessiva di oltre il 64% schierata sulla previsione di un aumento del fatturato. È vero che l’anno scorso questa percentuale era leggermente superiore, ma è anche vero che al suo interno quest’anno è cresciuta la quota (32,1%) di quanti prevedono un aumento di oltre il 10%, mentre è calata la quota (pure 32,1% quest’anno) di quanti prevedono un aumento inferiore o pari al 10%. Le previsioni di incremento si sono insomma spostate verso la parte alta. Il 16,1% ha inoltre indicato stabilità, mentre il 7,1% prevede una flessione entro il 10% e il 5,4% una flessione superiore al 10 per cento. Il carattere prevalentemente italiano delle imprese in questione ci collega a quanto sta avvenendo più in generale per l’economia della Penisola. Pur senza brillare, nella prima metà del 2024 l’Italia è comunque riuscita ad esprimere una tenuta leggermente superiore alla media dell’Unione europea. Secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in rapporto agli stessi periodi dell’anno scorso l’economia italiana ha registrato una crescita dello 0,6% nel primo trimestre e dello 0,9% nel secondo trimestre. L’Unione europea ha registrato rispettivamente 0,6% e 0,8%. Siamo certo lontani dal 2,9% e 3,1% degli Stati Uniti ed anche dall’1,7% e 1,8% della media dell’area OCSE (che raggruppa una quarantina di Paesi, Svizzera inclusa), ma una relativa tenuta c’è. Il Fondo monetario internazionale (FMI) in luglio ha peraltro indicato per l’Italia una previsione di crescita nell’intero 2024 pari allo 0,7%, superiore a quella della Germania (0,2%), uguale a quella del Regno Unito e inferiore a quella della Francia (0,9%). Dopo non pochi anni di crescita economica ritenuta da molti insufficiente, l’Italia è ora ad uno snodo di rilievo. Dopo il rimbalzo post pandemia, la Penisola è riuscita ad evitare recessioni annue ed ha ora un’occasione per rafforzare la sua tenuta. Ci sono elementi che giocano a favore di un passo economico meno lento rispetto al passato ed elementi che giocano invece contro. Tra i primi ci sono la dinamicità e la capacità di innovare del largo tessuto di imprese, fatto in gran parte di aziende di piccole e medie dimensioni. Tra i secondi ci sono alcune carenze di fondo dell’apparato pubblico e la situazione del bilancio statale, che nonostante alcune limature continua a registrare deficit e debito di ampia taglia.