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Il dollaro mostra i muscoli, ma ci sono nubi all'orizzonte

Sull'onda delle previsioni di una vittoria di Trump il biglietto verde da fine settembre si è rafforzato del 4% – Cribari: «La sua valutazione non rispecchia il vero valore intrinseco, i BRICS spingono e la fiducia è sempre più a rischio»
© REUTERS/Photo by CFOTO/Sipa USA
Roberto Giannetti
30.10.2024 06:00

Il dollaro sta vivendo un momento di forza: da fine settembre si è rafforzato del 4% rispetto a un paniere di altre monete, sull’onda, secondo il «Financial Times», di dati economici positivi e della percezione degli investitori che le possibilità di Donald Trump di vincere le elezioni presidenziali sono in aumento. Da fine settembre il dollaro si è rafforzato, passando da circa 1,12 a 1,08 contro la moneta europea. Per acquistare un dollaro ieri occorrevano 0,8662 franchi, contro 0,8420 franchi di fine settembre. 

Fra i dati economici che hanno sostenuto il dollaro vi è anche quello sul mercato del lavoro. Infatti l’economia americana ha registrato 254 mila nuovi posti di lavoro in settembre, un dato superiore alle aspettative degli economisti intervistati da Reuters di 140 mila nuovi posti e migliore anche dell’aumento di 159 mila posti di lavoro di agosto. Il tasso di disoccupazione è sceso al 4,1%, dopo essersi avvicinato al livello più alto degli ultimi tre anni al 4,3%. Questo dato ha portato gli operatori a ritenere che la Federal Reserve abbasserà i tassi di interesse a un ritmo più lento dopo il taglio di mezzo punto effettuato a settembre. Le aspettative di minori tagli dei tassi da parte della Fed con la vittoria di Trump hanno portato anche ad un aumento dei tassi sui bond governativi americani al 4,22%, il massimo da luglio. 

I dazi spingono prezzi e tassi

Trump ha indicato che vorrebbe un dollaro più debole, ma gli analisti pensano invece che le sue politiche lo potrebbero rafforzare, anche a causa delle strategia di aumentare i dazi, che dovrebbe fare salire l’inflazione e quindi i tassi di interesse, avvantaggiando gli investimenti in dollari. Ma la situazione del biglietto verde a lungo termine è incerta, vista anche la volontà dei Paesi BRICS, anche se per ora solo in nuce, di creare un proprio sistema di pagamenti alternativo e in futuro di lanciare anche una loro moneta. Come considerare il rafforzamento del dollaro? Lo abbiamo chiesto a Mario Cribari, partner e responsabile della strategia di investimento di BlueStar Investment Managers a Lugano.

Fondamentali pessimi

«Il prezzo del dollaro - afferma - non rispecchia il suo valore intrinseco. Quest’ultimo, come per tutte le altre valute nel mondo, dovrebbe dipendere esclusivamente dai suoi fondamentali che nel caso del dollaro sono pessimi. Gli Stati Uniti sono ormai arrivati a un debito complessivo (debito federale, ndr) di 36 mila miliardi di dollari, pari al 120% del PIL, con un deficit pubblico stabilmente sopra il 5-7% e un perenne disavanzo della bilancia commerciale. Solo la spesa per gli interessi sul debito esistente rappresenta il 44% del nuovo debito emesso ogni anno». 

«Non è un Paese sano»

«Questi numeri - sottolinea - non sono tipici di un Paese sano e peggiorerebbero pericolosamente nello sfortunato caso di una recessione. Inoltre, Trump e Harris sono in disaccordo su tutto, tranne su una cosa: “Spend, baby, spend”…». «Per giunta, la recente riunione dei Paesi BRICS+ - nota - ha finalmente aperto un contraddittorio proponendo, almeno a parole, una parziale de-dollarizzazione degli scambi commerciali e delle riserve in valuta estera. Tali Paesi, che rappresentano quasi il 50% del PIL mondiale e che dovrebbero di fatto sedersi al G7 al posto di altri, si oppongono allo strapotere e alla sudditanza psicologica di un “dollaro-armato”, soprattutto dopo la confisca arbitraria delle riserve russe in dollari detenute all’estero». «Nel breve-medio termine - conclude Mario Cribari - poco cambierà, ma senza un contenimento del deficit, un brusco rialzo dei tassi di interesse o un’importante svalutazione del dollaro sarà sempre più difficile per gli USA finanziare i propri squilibri fondamentali, tra cui una mole enorme di debito. Qualcosa deve cedere, il caso dello yen giapponese insegna. In assenza di valute sviluppate particolarmente “virtuose”, ad eccezione del franco svizzero (fin troppo forte) e poche altre, tale svalutazione non potrà che avvenire nei confronti di valute emergenti (fin troppo deboli) con fondamentali nettamente migliori, beni reali (come le azioni non americane), alcune materie prime e ovviamente contro il bene reale per eccellenza, l’oro. Il suo movimento potrebbe essere la prima chiara avvisaglia che la fiducia illimitata è finita».