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Il fenomeno pop sudcoreano supera le barriere commerciali

L’industria musicale e dello spettacolo del Paese asiatico è in piena espansione – Film, serie tv e il genere K-Pop sono diventati un prodotto di esportazione di successo
© AP/Lewis Joly
15.02.2025 06:00

Nel giorno in cui il presidente Donald Trump annunciava dazi del 25% su acciaio e alluminio importati negli Stati Uniti, in Borsa i titoli di JYP Entertainment e HYBE, due attori tra i più importanti dell’industria musicale coreana, registravano aumenti rispettivamente del 6,09% e del 3,15 %. Una coincidenza curiosa, ma considerando che la Corea del Sud è il quarto fornitore di acciaio degli Stati Uniti, la concomitanza non è forse frutto del caso e cela aspetti interessanti dell’economia del Paese asiatico. Un settore, o meglio un’industria, che finora sembra essere al riparo dalla scure trumpiana e che attira capitali è l’entertainment che in Corea del Sud ha una certa vivacità e redditività.

Un’industria florida

«In Corea del Sud la paura dei dazi è fortissima: è infatti uno dei Paesi potenzialmente più esposti alla guerra commerciale di Trump. Alla luce dei recenti sviluppi geopolitici, l’incremento della valutazione dell’industria del K-Pop non giunge dunque come una sorpresa», commenta Marco Milani, docente di Storia e istituzioni dell’Asia all’Università di Bologna.

Il 2024, con un valore delle esportazioni che ha sfiorato il miliardo di dollari, per le imprese legate al K-Pop è stato l’anno di maggiori incassi nella storia. E il 2025 si prospetta essere altrettanto promettente: le Blackpink, uno dei gruppi più popolari del genere, inizieranno un tour mondiale nella seconda metà dell’anno e i BTS, la boyband che ha traghettato la cultura musicale coreana negli Stati Uniti, si riuniranno dopo una pausa forzata per gli obblighi militari dei membri della band.

«L’industria musicale sudcoreana gode di grande salute: è in crescita, esporta moltissimo e addirittura guadagna molto più fuori dai confini rispetto al mercato interno», spiega l’esperto che sottolinea come, per ora, «sembra essere risparmiata dai dazi americani».

L’onda coreana

L’industria musicale è però solo parte di un ben più ampio processo: viene chiamata Korean Wave e allude alla diffusione su scala globale della cultura sud coreana avvenuta negli ultimi decenni. «Si tratta di un fenomeno emerso già nella seconda metà degli anni Novanta e inizialmente aveva come mercati di riferimento quelli dell’Asia orientale, dunque Giappone, Cina, Taiwan e Sud-Est asiatico». «I prodotti esportati erano principalmente serie televisive e, in seconda battuta, anche la musica pop. Il fenomeno si è poi espanso celermente, prima negli Stati Uniti, una quindicina di anni fa e più recentemente in Europa», ci racconta Milani. Due gli elementi decisivi che ne hanno assicurato il successo: «Il primo punto di forza della Korean Wave è stata la capacità dell’industria culturale di adattarsi alle mutate condizioni del mercato. Nel 2010, quando era diventato chiaro che il mondo digitale avrebbe acquisito sempre più importanza, i coreani hanno saputo sfruttare le piattaforme digitali per diffondere i propri prodotti in tutto il mondo. Da quel momento è cambiato tutto perché la distribuzione è diventata rapidissima e con dei costi bassi. Anche i social network sono stati fondamentali da questo punto di vista, soprattutto perché hanno permesso la creazione in tutto il mondo di comunità di appassionati, che hanno a loro volta spinto il fenomeno», spiega il nostro interlocutore.

«Un secondo elemento decisivo è stato sicuramente il supporto dello Stato: la Korean Wave è stata possibile grazie all’unione virtuosa tra gli sforzi delle aziende private, agenzie musicale, emittenti televisive e il governo del Paese», continua Marco Milani. Contrariamente, però, alle interpretazioni che spesso ne vengono date, l’industria dell’intrattenimento coreana non è nata per iniziativa statale: solo recentemente, a metà degli anni 2000, il governo ha iniziato a promuovere attivamente il settore, dopo averne riconosciuto le potenzialità come strumento di politica estera - quello che comunemente viene chiamato soft power.

Un caso unico

Tra i più noti esempi dell’onda coreana giunti fino alle nostre latitudini, possiamo ricordare: Parasite, il primo film non in lingua inglese a vincere l’Oscar come miglior film nel 2020; Squid Game, che nel 2021 è diventata la serie televisiva più guardata su Netflix; o ancora i BTS, il gruppo musicale composto da sette ragazzi sudcoreani che si sono posizionati al primo posto come artisti globali nella classifica ufficiale di settore sia nel 2020, sia nel 2021. Insomma, non sarebbe esagerato se dicessimo che più che di una onda coreana, si tratta di uno tsunami. «Il fatto che questo fenomeno sia cresciuto e sia rimasto rilevante per più di trent’anni è un caso più unico che raro. Circostanze simili coinvolgono solitamente le industrie culturali di potenze egemoni, come ad esempio gli Stati Uniti, che possono però veicolare la cultura anche grazie alla propria potenza economica e militare, elementi su cui la Corea, che è un Paese molto piccolo, non può contare», conclude Milani.