«Il franco è la valuta più performante del G10»

Il copione, purtroppo, lo conosciamo: scoppia un conflitto con ricadute geopolitiche importanti e gli investitori «fuggono» verso gli ormai consolidati beni rifugio - dollaro USA, franco svizzero e, di regola, anche obbligazioni di Stato. Riguardo al franco, mercoledì è stato toccato un nuovo record del suo valore contro euro, pari a 0,9449, quasi mezzo centesimo in meno rispetto al record precedente di 0,9497, risalente a fine settembre 2022.
Ma questo nuovo crollo dell’euro è dovuto solo alla forza del franco - sostenuto, come noto, anche dalla Banca nazionale svizzera che, come ha dichiarato il mese scorso Thomas Jordan, intende alleggerire le posizioni in valuta estera comprando franchi - oppure alla debolezza dell’euro (o ad altro ancora?). «Le tensioni geopolitiche (Ucraina e Israele, ndr) hanno alimentato gran parte dell’apprezzamento del franco che, come valuta rifugio, offre interessanti rendimenti reali e nominali», afferma Alim Remtulla, Chief FX Strategist presso EFG Bank a Lugano.
«I flussi di investimenti verso i beni rifugio in generale - continua - hanno inoltre reso il franco svizzero la valuta del G10 più performante dallo scorso 6 ottobre. Nel giro di due settimane il franco si è apprezzato dell’1,47% sull’euro e dell’1,63% sul dollaro. Questa tendenza è stata impressionante e potrebbe continuare per alcune settimane. Ma la forza del franco sembra eccessiva nella prospettiva di breve termine (fine anno) ed è probabile quindi che il franco si deprezzi leggermente, a patto che il conflitto in Medio Oriente sia relativamente contenuto nelle prossime settimane».
Secondo l’esperto, la valuta elvetica potrebbe rafforzarsi anche contro dollaro, il bene rifugio per eccellenza nelle situazioni di conflitto bellico, «se la geopolitica s’inasprisse e gli Stati Uniti entrassero in recessione - osserva Remtulla - ma entrambi questi scenari sono improbabili nel breve termine».
Il repentino rimbalzo dell’oro
Dai massimi di maggio attorno a 2.050 dollari l’oncia, l’oro è progressivamente sceso fino a quota 1.810 (-11% circa). Da venerdì 6 ottobre, però, ha subito un repentino rimbalzo fino agli attuali 1.950 dollari l’oncia (+7,5%). «Come per il dollaro, se il conflitto in Medio Oriente sarà contenuto e l’economia statunitense mostrerà una certa resistenza fino alla fine dell’anno, l’oro potrebbe finire per tornare sotto quota 1.900», afferma l’esperto, che ricorda come il mercato del metallo giallo - al netto delle tensioni belliche - tende ad avere un andamento inversamente proporzionale a quello dei rendimenti reali che, sul dollaro in particolare, sono in ulteriore aumento.
Treasury in controtendenza
Di solito, quando gli investitori cercano investimenti sicuri, le obbligazioni, in particolare quelle statali, sono la scelta migliore. Tuttavia, con la convinzione da parte dei mercati che i tassi d’interesse rimarranno ancora a lungo sugli attuali livelli alti - possibilità sostenuta anche dalla prospettiva di possibili ulteriori strette da parte delle principali banche centrali per attenuare la persistente inflazione di fondo - i prezzi dei «Treasury» statunitensi sono in caduta libera, in particolare quelli a dieci anni che rendono adesso attorno al 5%, il livello più alto da 16 anni a questa parte.
«Il rendimento a 10 anni del Treasury è salito dall’estate, un movimento dovuto più alle aspettative di crescita che alle preoccupazioni per l’inflazione», afferma Remtulla. «Tuttavia, la rapidità del movimento ha suscitato le preoccupazioni dei responsabili politici, poiché i mutui, i prestiti auto, le obbligazioni e i prestiti societari sono tutti legati al tasso d’interesse decennale. Queste preoccupazioni hanno spinto i funzionari della Federal Reserve a dichiarare che l’aumento dei rendimenti a 10 anni equivale a un rialzo di 25 punti base del tasso d’interesse dei Fed funds, il che lascerebbe intendere che la Fed non dovrebbe aumentare nuovamente i tassi quest’anno», conclude l’analista.
La Cina sta riducendo le posizioni in T-bond
La Cina ha tagliato ancora in agosto, per il quinto mese di fila, i titoli del Tesoro USA in portafoglio: il volume è sceso a 805,4 miliardi di dollari, ai minimi da maggio 2009.
Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro americano, i «T-bond» posseduti da Pechino sono calati da agosto 2022 a febbraio 2023, con una leggera ripresa a marzo di 20,3 miliardi, prima di crollare nuovamente da aprile.
Se la tendenza dovesse continuare, la quota totale potrebbe presto toccare gli 800 miliardi, seguendo una tendenza di lungo termine poiché la Cina ha bisogno di diversificare le sue partecipazioni in attivi esteri.