L'analisi

Il prezzo dell’oro spinto dai dazi e dalle tensioni della geopolitica

Dopo una pausa tra ottobre e novembre scorsi, il metallo giallo ha ripreso la sua corsa e in queste ultime settimane ha accelerato – Le ragioni del boom del lingotto probabilmente resteranno in campo, non si può escludere che la quotazione salga ancora nei prossimi mesi
©JLK / Alamy Stock Photo
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
31.03.2025 06:00

Alla chiusura di quest’ultimo venerdì il prezzo dell’oro spot era a 3.084 dollari USA. Un anno prima era attorno ai 2.230 dollari, dunque nell’arco di dodici mesi c’è stato un rialzo del 38% circa. Una parte non secondaria di questo rialzo si è registrata nelle ultime settimane: il prezzo di venerdì rappresenta un +18% circa rispetto all’inizio di quest’anno. A metà marzo è stata raggiunta la soglia record dei 3 mila dollari. Il metallo giallo è stato protagonista di un’ascesa marcata e ora si riaffacciano due domande di fondo. Quali sono le ragioni di questa galoppata del lingotto? Vista la corsa già fatta, quanto è probabile che il prezzo dell’oro cresca ancora nei prossimi mesi?

Trump e dollaro

Tra le ragioni principali dell’ascesa dell’oro ci sono senza dubbio le incertezze geopolitiche ed economiche. Una parte consistente degli investitori cerca beni rifugio e tra questi il lingotto è in primo piano. La grande maggioranza delle economie ha dato prova di resilienza, subendo un rallentamento ma non una recessione. Il peso della geopolitica fa però da freno alle economie. Ci sono conflitti bellici, per i quali si stenta ad arrivare a una pace equilibrata. In altri casi ci sono contrasti politici e non bellici, che però hanno anch’essi riflessi sulle economie. La nuova guerra dei dazi che sta varando il presidente USA Trump è a cavallo tra economia e politica e sta creando altre incertezze. Dopo l’insediamento di Trump in gennaio, e soprattutto dopo le sue dichiarazioni sui dazi nei due mesi successivi, il prezzo dell’oro è ancor più salito.

Un’altra ragione riguarda il dollaro. Si dice che quando scende il dollaro sale l’oro e che quando sale il dollaro scende l’oro. È una regola che non sempre ha trovato conferma, ma spesso sì. Comunque, trova conferma in questa fase. La valuta statunitense su base annua non ha guadagnato in rapporto all’euro, indebolendosi in particolare nelle ultime settimane; sulla sterlina britannica ha perso terreno su base annua; sul franco svizzero, sempre moneta forte, ha pure ceduto terreno su base annua, ancora con un’accentuazione nelle ultime settimane. Una parte degli esperti indica che Trump vuole un dollaro debole, per aiutare l’export americano; un’altra parte ritiene invece che l’indebolimento del biglietto verde segnali la sfiducia di molti investitori nei confronti dei dazi e dell’alto debito pubblico degli USA.

Le banche centrali

Altra ragione: le banche centrali. Una parte di queste, soprattutto nell’area dei Paesi emergenti, compra ancora oro perché vuole diversificare maggiormente le sue riserve. Meno dollari (può darsi che c’entri pure una certa volontà politica di dedollarizzazione) e più lingotti, insomma, anche come polizza contro le incertezze. Un’altra ragione ancora è legata agli utilizzi industriali dell’oro, che viene impiegato in molti settori, tra i quali gioielleria-orologeria (ne sappiamo ben qualcosa in Svizzera), elettronica, dispositivi medici, aerospaziale. Questa domanda di tipo industriale naturalmente ha alti e bassi nelle varie fasi, ma tende nel complesso a rimanere a buoni livelli. Se, tornando al campo finanziario, a tutto ciò si aggiunge che una parte non piccola degli investitori teme che la guerra dei dazi possa anche far risalire l’inflazione, negli USA ma anche altrove, ecco che la spinta ad acquistare oro (fisico o rappresentato da titoli) si fa ancora più forte. Il metallo giallo viene infatti spesso considerato anche come una polizza anti inflazione.

Arriviamo quindi alla seconda domanda, sulle prospettive del prezzo del lingotto. Se si guarda al lungo o al lunghissimo periodo, occorre dire che la relativa rarità dell’oro (le quantità disponibili nel mondo sono abbastanza limitate) e il suo valore intrinseco favoriscono la tendenza alla crescita del suo prezzo nel tempo. Naturalmente, ci sono state e ancora potranno esserci fasi di ribassi, il guadagno dipende dunque da quando si acquista e da quando si vende, ma l’analisi dei dati suggerisce che la tendenza di fondo è al rialzo.

Le previsioni

Ma una parte degli investitori è a questo punto interessata soprattutto all’anno in corso. Sono alte le probabilità che molte delle ragioni alla base della performance dell’oro restino in campo, dunque sono alte anche le probabilità che il lingotto registri altri rialzi nell’arco del 2025. Il passo dell’oro potrebbe essere più lento, considerando la corsa già fatta, o più rapido nel caso peraltro non desiderabile che le incertezze geopolitiche ed economiche aumentassero molto. Se vi fossero miglioramenti grandi nel quadro internazionale, l’ascesa del metallo giallo potrebbe anche fermarsi. Ma ciò appunto sembra al momento poco probabile. La verifica nei prossimi mesi.

Anche l'argento sotto i riflettori

Se l’oro rimane di gran lunga il principale tra i metalli preziosi, è comunque utile anche dare un’occhiata ad altri membri della famiglia. Argento, platino e palladio sono spesso sotto i fari di quanti si occupano di beni da utilizzo industriale. Ma anche, in parte, di quanti si occupano di investimenti di tipo finanziario. A fronte della forte ascesa del prezzo dell’oro nell’ultimo anno, le quotazioni di questi altri tre metalli preziosi hanno registrato andamenti diversi tra loro. Vediamo più da vicino. L’argento è quello che più ha imitato il boom del fratello maggiore, l’oro. Alla chiusura delle contrattazioni di quest’ultimo venerdì un’oncia d’argento spot valeva poco più di 34 dollari USA. Grande è la differenza con la quotazione di 3.084 dollari dell’oncia d’oro spot nello stesso giorno. Ma non è questo il punto, perché è chiaro che il metallo argento, pur essendo apprezzato, non ha le stesse caratteristiche del metallo oro e ha dunque da sempre un prezzo nettamente inferiore. Il punto vero invece è che il prezzo dell’argento rispetto a un anno prima è salito di ben 36%, percentuale molto vicina all’aumento del 38% dell’oro. L’andamento dell’argento è stato insomma molto simile a quello dell’oro, inclusa l’accentuazione del rialzo in queste ultime settimane. Una parte degli analisti sostiene che anche l’argento in quest’ultimo anno ha fatto da bene rifugio, in un’ottica da investimento finanziario. Se il metallo giallo è il rifugio principale contro le incertezze geopolitiche ed economiche, l’argento pure fa la sua parte, una quota di investitori finanziari lo sceglie in altre parole come carta aggiuntiva da giocare nel campo dei metalli preziosi. Per il resto, per l’argento c’è l’utilizzo industriale, che è abbastanza ampio. Oltre che quelli legati alla gioielleria, ci sono gli impieghi in settori come quelli delle energie rinnovabili, dei dispositivi medici, dell’auto, dell’elettronica. L’utilizzo industriale inevitabilmente risente delle oscillazioni dei settori di impiego, ma evidentemente nel complesso la domanda di argento da parte dell’industria sin qui ha mantenuto un certo livello. Il platino è in territorio positivo su base annua, ma ha imitato meno il boom dell’oro. Alla chiusura di quest’ultimo venerdì il prezzo del platino spot era di poco superiore ai 983 dollari l’oncia. L’aumento della quotazione del platino rispetto a un anno prima è dell’8%. Rialzo degno di nota, ma lontano da quelli molto consistenti di oro e argento. In altre epoche il platino valeva più dell’oro, ma da tempo il metallo giallo lo ha superato quanto a quotazioni. L’oro è spinto da un doppio binario - investimento finanziario, bene industriale - che è meno presente nel caso del platino. Soprattutto il primo aspetto, il rifugio finanziario, non è paragonabile a quello di oro e argento. La parte industriale rimane invece rilevante: gioielleria, chimica, vetro, settore elettrico, aeronautica, marmitte catalitiche (queste ora un po’ meno). Il palladio non è invece riuscito sin qui a rimanere in territorio positivo. Quest’ultimo venerdì il prezzo del palladio spot era di poco più di 971 dollari per oncia. In rapporto a un anno prima c’è una flessione del 4%. Non è un grande calo, ma è la conferma di una tendenza già esistente, rotta peraltro da alcuni temporanei rimbalzi. Vedremo se nel corso di quest’anno il palladio riuscirà a risalire, almeno in parte, oppure no. Su questo versante la questione è in sostanza tutta legata alla domanda industriale. Il palladio, che come metallo assomiglia al platino pur non avendo tutte le caratteristiche di questo, in genere viene infatti inquadrato poco come investimento di tipo finanziario. Importante è invece il suo utilizzo in campo industriale, in particolare nei dispositivi medici e nei convertitori catalitici (auto). L’andamento contrastato del settore delle quattro ruote, percorso dal nodo motore tradizionale-motore elettrico, evidentemente ha avuto riflessi anche sul palladio.