In Germania la crisi dell’industria automobilistica accende il conflitto sociale
La crisi industriale della Germania arroventa il conflitto sociale e dà un ulteriore scossone al fragilissimo governo «semaforo» del cancelliere Olaf Scholz. Mentre decine di migliaia di operai metalmeccanici tedeschi aderivano ieri agli scioperi proclamati dalla IG Metall per chiedere salari più alti e difendere i posti di lavoro minacciati dalle annunciate ristrutturazioni aziendali, a Berlino la coalizione SPD, Liberali (FDP) e Verdi andava letteralmente in confusione. Con Scholz che incontrava da solo i vertici di Volkswagen dopo che, in tarda mattinata, il ministro delle Finanze e leader della FDP, Christian Lindner, aveva ricevuto il presidente degli industriali tedeschi (BDA) Rainer Dulger e il presidente dell’associazione federale delle libere professioni (BFB) Stephan Hofmeister. Assente dai colloqui della Cancelleria anche il ministro dell’Economia e copresidente dei Verdi, Robert Habeck.
«Abbiamo raccolto e valutato le proposte provenienti dal mondo dell’economia», ha detto Lindner ai giornalisti, aggiungendo subito dopo: «Colloqui congiunti su questo tema sono previsti con l’SPD e i Verdi». Il leader dei liberali tedeschi ha quindi, in qualche modo, tentato di smorzare i rumors, ormai sempre più insistenti, di una possibile fine anticipata della coalizione semaforo. Senza però riuscirci completamente. «C’è anche un obbligo del Governo ad agire - ha chiarito Lindner - È meglio per la Germania se un Governo individua e combatte per un obiettivo comune». Secondo quanto riportato dall’agenzia DPA, il ministro delle Finanze ha comunque sottolineato i «problemi fondamentali» che oggi attanagliano l’economia tedesca, prime tra tutti «le politiche climatiche ed energetiche e l’enorme regolamentazione normativa che causa costi elevati alle imprese». Punti in evidente conflitto con le scelte e gli indirizzi politici degli alleati, in particolare degli ecologisti.
Scioperi di «avvertimento»
Come detto, mentre la politica federale cercava difficili vie d’uscita da una crisi che si fa sempre più forte, gli scioperi «di avvertimento» dei lavoratori sindacalizzati delle quasi 4 milioni di industrie elettriche e metallurgiche hanno colpito duro sin da ieri, anche in grandi aziende come Porsche, BMW e Mercedes. Oltre, naturalmente, alla Volkswagen. Il colosso di Wolfsburg è alle prese con la prima, vera grande crisi in 87 anni di storia, così come detto ieri a chiare lettere dalla presidente del Consiglio di fabbrica, la 49 enne Daniela Cavallo, figlia di un Gastarbeiter calabrese arrivato in Germania con la prima ondata di immigrazione frutto dell’accorto tra il Governo di Konrad Adenauer e quello di Roma. «Vogliono chiudere tre fabbriche, licenziare decine di migliaia di lavoratori e tagliare il salario del 10% a chi manterrà il proprio posto», ha spiegato Cavallo.
Così, in attesa di conoscere, stamattina, i dati della trimestrale del gruppo, che si annunciano comunque molto negativi, la IG Metall, ha organizzato proteste in molti stabilimenti. A Osnabrück, uno dei siti produttivi a rischio chiusura, la produzione si è fermata sia durante il turno di notte sia nel primo turno di ieri mattina. Il round iniziale dei colloqui tra Volkswagen e i rappresentanti dei lavoratori, previsto per oggi, resta quindi a forte rischio. IG Metall chiede aumenti salariali del 7%, il doppio rispetto al 3,6% (diluito in 27 mesi) offerto dalla Confindustria tedesca, che a proposito delle rivendicazioni sindacali parla di richieste non realistiche. «Servono profonde riforme. In Germania, non abbiamo a che fare solo con una crisi ciclica, ma con un’ostinata crisi strutturale - ha detto ieri Martin Wansleben, amministratore delegato della Camera di Commercio e dell’Industria tedesca (DIHK) a margine di un incontro con la stampa per commentare l’ultima indagine congiunturale condotta dalla stessa DIHK - Siamo molto preoccupati per quanto il nostro Paese stia diventando un peso economico per l’Europa e non possa più svolgere il suo ruolo di traino economico».
Un altro rapporto, questa volta dell’associazione dell’industria automobilistica (VDA), apre scenari pessimi: la trasformazione del comparto potrebbe portare alla perdita di 186 mila posti di lavoro entro il 2035. «Sta diventando sempre più chiaro che non c’è spazio per un’interpretazione: l’Europa -e in particolare la Germania - sta perdendo sempre più competitività internazionale - si legge nel rapporto VDA – In particolare, il prezzo dell’elettricità per le aziende tedesche è fino a tre volte superiore a quello dei concorrenti internazionali, ad esempio USA o Cina. Inoltre, la Germania è il Paese con le tasse più alte e gli oneri burocratici sono in costante aumento».
Un’analisi che i sindacati respingono in blocco. «La moderazione salariale non crea posti di lavoro. La nostra difficile situazione ha cause completamente diverse dai salari elevati», ha detto all’agenzia DPA Harald Buck, presidente del consiglio di fabbrica di Porsche AG dello stabilimento di Zuffenhausen, a Stoccarda. E la stessa Daniela Cavallo ha minacciato di interrompere subito la trattativa se le premesse non saranno diverse da quelle annunciate dai vertici aziendali: «Non siamo noi la causa della crisi - ha detto - Ci siamo guadagnati la nostra parte e stiamo lottando per il 7% di aumento».
L’indiscrezione
Dall’incontro di ieri di Scholz con i leader della Volkswagen, tra cui il presidente Oliver Blume, non sono emersi elementi in grado di fare chiarezza. Lo stesso cancelliere aveva minimizzato le aspettative di risultati rapidi ancora prima di vedere i manager di Wolfsburg.
Nel tardo pomeriggio, però, il quotidiano economico-finanziario Handelsblatt, citando un documento del consiglio di amministrazione di Volkswagen, ha rivelato che il colosso tedesco dell’automobile sarebbe intenzionato a raggiungere la maggior parte dei suoi risparmi miliardari attraverso i tagli ai salari e ai bonus. La proposta di ridurre del 10% gli stipendi del personale impiegato nelle fabbriche del solo marchio principale farebbe economizzare quasi 800 milioni di euro all’anno. Con la cancellazione di vari bonus, indennità e aumenti salariali, i risparmi potrebbero invece salire a circa 2 miliardi di euro in totale, la metà dei 4 miliardi previsti dal piano annunciato lunedì da Daniela Cavallo. L’indiscrezione non è stata confermata da Volkswagen. Nella nota di Handelsblatt si fa notare, tuttavia, come la chiusura e la vendita degli impianti porterebbe in ogni caso a risparmi «significativamente inferiori. Volkswagen vuole adeguare le capacità, ma evitare di chiudere i siti, se possibile, con l’obiettivo di trovare in futuro nuovi proprietari per gli impianti interessati dalla ristrutturazione».
L’elenco delle proposte di risparmio comprenderebbe anche «misure che influiscono sulla produzione di componenti e sullo sviluppo tecnico». Il documento, aggiunge Handelsblatt, non conterrebbe invece alcuna informazione «sul numero totale possibile di posti di lavoro a rischio».