Conferenza

In mezzo ai conflitti del mondo il commercio è più complicato

La comunità dei «commodity traders» si è riunita questa settimana a Lugano per guardare con occhio critico e analitico alle attuali dinamiche geopolitiche, alla transizione energetica e al loro impatto sui mercati globali delle materie prime
La circumnavigazione dell’Africa «costa» quasi un mese di tempo in più. © Reuters
Dimitri Loringett
05.07.2024 06:00

«Dove non passano le merci, passano gli eserciti», scriveva nell’Ottocento l’economista francese Frédéric Bastiat. Ma non tutti concordano sul fatto che il libero commercio fra le genti e i Paesi sia una garanzia di pace. Uno di questi è Yves Rossier, già ambasciatore svizzero a Mosca, intervenuto all’evento inaugurale della Global Commodities Conference organizzato dalla Lugano Commodities Trading Association (LCTA) e svoltasi al LAC Lugano lo scorso 2 luglio. Il pensiero dell’ex diplomatico svizzero era rivolto naturalmente al conflitto in Ucraina, ma anche a quello scoppiato nell’ottobre scorso nella Striscia di Gaza tra Hamas e Israele. Ed è proprio sulla complessa situazione mediorientale che si è focalizzata la prima parte della Conferenza, poiché la guerra israelo-palestinese preoccupa molto la comunità dei trader di materie prime per via dell’impatto che ha sul commercio globale, un sesto del quale, ricordiamo, passa dal Mar Rosso e dal choke point (strettoia) di Bab el-Mandeb (Golfo di Aden) – afflitta dagli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi – verso il Canale di Suez e quindi ai porti del Mediterraneo. E preoccupa pure il rischio che il conflitto si estenda al Golfo Persico, per via dell’altro choke point, quello dello Stretto di Hormuz, vitale per il trasporto di petrolio, prodotti petroliferi e gas naturale liquido che gli Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Iran e Qatar producono per l’equivalente di circa il 20% del consumo globale.

A fornire il quadro geopolitico sul nuovo scacchiere mediorientale e ai vari pezzi che lo compongono ai numerosi partecipanti della Conferenza è stato Matthew Bryza, già ambasciatore USA in Azerbaijan, che ha offerto una riflessione sul tema della volatilità e della stabilità, con la prima che è generalmente utile per i trader, ma non per chi si occupa di politica estera. Ma alla «sana» volatilità dei mercati si aggiunge ora quella «destabilizzante» della politica. Il riferimento di Bryza è naturalmente alle prossime presidenziali USA, Paese che è oltretutto considerato «indispensabile» per ripristinare una certa stabilità in Medio Oriente, dopo anni di «trascuratezza politica e deriva strategica». Tuttavia, ha rimarcato l’ex diplomatico, il concetto di stabilità resta ancora poco chiaro, tra desiderio di evitare la violenza e la guerra, di cambiamento politico, o ancora di scongiurare le turbolenze sui mercati delle materie prime. Su queste, tra l’altro, Bryza ha notato che nonostante l’allarme lanciato all’indomani dello scoppio del conflitto nell’ottobre scorso, il prezzo del greggio è rimasto relativamente stabile e comodamente sotto la soglia psicologica dei 100 dollari il barile. A salire, invece, sono i costi del commercio, specie dei trasporti marittimi.

E proprio di trasporti – ma non solo – si è parlato alla successiva tavola rotonda, con Marco Galimberti, CEO della società luganese attiva nel commercio dell’acciaio DP Trade, che ha spiegato come la circumnavigazione del Continente africano, che molte società di trasporto marittimo fanno per evitare il rischioso passaggio dal Mar Rosso, costa in termini di lunghezza – tipicamente 20-25 giorni per le navi che devono poi raggiungere i porti del Mediterraneo – e, conseguentemente, per il maggior consumo di carburante. Ma per le compagnie che scelgono invece di attraversare il Canale di Suez, a incidere sono i maggiori costi assicurativi: stando all’esempio spiegato da Galimberti, al premio standard di un dollaro per una tonnellata di acciaio si aggiungono ora altri quattro, un rapporto che si applica similarmente per assicurare anche tutta la nave. Ma la preoccupazione maggiore dei trader è legata all’incertezza della situazione complessiva, che si traduce in minore competitività, con i mercati e le industrie in Europa a essere i più toccati. Dal canto suo, l’analista di Allianz Trade Ano Kuhanathan ha spiegato che la situazione instabile significa più richieste di copertura assicurativa e più cifra d’affari grazie ai supplementi di premio, ma anche che i premi non possono aumentare all’infinito, tant’è che si osservano operatori che optano per assumersi i rischi in proprio oppure scelgono di usare le navi di compagnie cinesi – «risparmiati» dagli attacchi degli Houthi – o addirittura affidarsi alle flotte fantasma russe, che per via delle sanzioni internazionali inflitte a Mosca non possono essere assicurate.

Mosca non è spettatrice

Non poteva mancare nella discussione il tema Russia, Paese tutt’altro che assente in Medio Oriente, come ha ribadito la studiosa di politica estera Anna Borschchevskaya, secondo cui Mosca approfitterebbe del caos nella regione per distogliere l’attenzione dal suo principale obiettivo di politica estera, ovvero «l’operazione speciale» tuttora in corso in Ucraina (v. anche intervista sul CdT del 28 giugno scorso). Ma Mosca ha naturalmente molti interessi commerciali nella regione, a partire dalla sua alleanza strategica con l’Iran. Come ha osservato però il responsabile dell’analisi strategica di Duferco James May, il crescente attrito negli scambi commerciali attraverso il protezionismo, le sanzioni, la chiusura di rotte ecc. gioca a favore di fenomeni quali nearshoring o friendshoring, che rischiano di rendere il commercio globale più complesso (e costoso) nel lungo periodo.

La seconda parte della Conferenza era dedicata alle prospettive del settore, in particolare alla transizione energetica e il suo impatto sui mercati globali delle materie prime. Nel suo intervento, l’esperta in trade finance presso Société Générale, Deia Markova, ha perorato la causa dell’«ecologizzazione» delle materie prime e sulla «decommoditizzazione» del settore, guidate dalla transizione energetica, evidenziando come clienti e istituti finanziari richiedano sempre più materie prime provenienti da fonti sostenibili e responsabili.