Italia ancora in mezzo al guado tra punti di forza e debolezze

Un Paese che conserva un’economia molto importante, l’ottava nel mondo e la quarta in Europa per PIL nominale, ma che ancora non è riuscito a superare due problemi di fondo come la crescita mediamente bassa e il debito pubblico troppo alto. In estrema sintesi, è la fotografia dell’Italia sul versante economico. Paese che è membro del G7 ed è stato tra i fondatori del primo nucleo di quella che sarà poi l’Unione europea, l’Italia prosegue il suo cammino in un intreccio di luci e ombre. Partner rilevante per la Svizzera e per il Ticino, la Penisola continua a viaggiare tra i punti di forza del suo ampio tessuto economico, fatto in gran parte di piccole e medie imprese, e le questioni strutturali del sistema Paese.
Le cifre
Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), la crescita media dell’Italia tra il 2006 e il 2015 è stata di -0,5%. Per l’Eurozona, di cui l’Italia è membro, nello stesso periodo la crescita media è stata dello 0,8%. Il passo dell’economia italiana era già frenato. Negli anni successivi, sino al 2019, il PIL italiano ha sempre avuto il segno positivo, ma sotto la media dell’area euro. Nel 2020 la caduta del PIL dovuta alla pandemia è stata forte, ma nel 2021 il rimbalzo è stato altrettanto forte e nel 2022 la crescita è stata buona. Nel 2023 e nel 2024 c’è stato il ritorno a crescite inferiori all’1% annuo, nel primo caso sopra la media Eurozona e nel secondo sotto. L’Italia ha evitato la recessione, ciò è positivo, ma il passo si è nuovamente affievolito. A parere di tanti, si sono fatti sentire le burocrazie e gli investimenti non sempre sufficienti in innovazione e produttività.
Un Paese che viene da lunghi periodi di crescita bassa (a parte la pandemia, che ha colpito tutti) dovrebbe puntare ad una crescita più robusta rispetto ad altri. Ma la robustezza si è vista solo a sprazzi. Siamo di nuovo a percentuali basse e le previsioni dell’FMI sono per uno 0,7% nel 2025 e per uno 0,9% nel 2026, sotto la media Eurozona. È vero che il quadro geopolitico ed economico è difficile per tutti, ma è anche vero che Paesi europei che pure dovevano recuperare terreno – come Spagna, Portogallo, la stessa Grecia – rispetto all’Italia stanno avendo una maggior velocità. Se si considera che l’Italia è il Paese che più beneficia (con oltre 190 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni, in parte già riscossi) del piano dell’UE Next Generation (PNRR sul versante italiano), secondo molti ci si deve chiedere quali inefficienze interne impediscano alla Penisola di trarre maggior spinta da questo maxi sostegno da parte dell’UE.
Inflazione, lavoro, conti
Nei capitoli inflazione e mercato del lavoro l’Italia può quantomeno registrare alcuni miglioramenti, come mostrano i dati Eurostat. Dopo le impennate che si sono viste in tutto mondo tra il 2022 e il 2023, l’inflazione in Italia sin qui è rientrata in modo più consistente rispetto ad altri Paesi dell’area euro, tanto che nel febbraio di quest’anno era all’1,7%, contro il 2,4% dell’Eurozona. Per quel che riguarda la disoccupazione, l’Italia ha seguito il movimento di miglioramento di tutta l’area, con però un passo più veloce rispetto ad altri Paesi. Nel gennaio di quest’anno la disoccupazione in Italia era al 6,3%, non distante dal 6,2% della media dell’Eurozona.
Nei conti pubblici per l’Italia le note invece rimangono in sostanza dolenti. Il rapporto debito pubblico/PIL italiano (136% nel 2024 per l’FMI) rimane il secondo più alto nel G7, dietro quello del Giappone (251%) e davanti a quello degli Stati Uniti (121%). È un problema che il Paese registra da molto tempo, conseguenza anche di una mancanza di equilibrio tra entrate e spese pubbliche (queste ultime sono sopra il 50% del PIL per il 2024) e concausa della crescita economica frenata, perché almeno una parte delle ingenti risorse che vanno al pagamento degli interessi sul debito potrebbero invece andare (se si riducesse nettamente il debito) a investimenti produttivi.
I margini
In una fase in cui i Paesi dell’Eurozona e dell’Unione europea sembrano volersi muovere verso un aumento dell’indebitamento pubblico – per sostenere maggiori investimenti per Difesa, infrastrutture, innovazione – l’Italia ha scarsi margini nazionali. Al di fuori dell’eventuale nuovo debito comune dell’UE, i Paesi che possono avere maggiori margini per ulteriori investimenti pubblici sono quelli che hanno oggi un rapporto debito pubblico/PIL contenuto, come la Germania (62%) e altri Paesi del Nord Europa. Le nazioni che ora possono agire più ampiamente sono quelle che hanno messo fieno in cascina quando era possibile farlo, anche utilizzando lo strumento del freno all’indebitamento pubblico, che in Svizzera si conosce bene.
La vicina Spagna ha recuperato terreno e ora cerca di mantenere un buon passo
L’economia spagnola, quinta in Europa e quattordicesima a livello mondiale, non è in prima fila per dimensioni ma ha comunque una sua buona posizione. Il suo ruolo è cresciuto negli ultimi decenni e in questi ultimi anni, in particolare, la Spagna ha confermato un passo apprezzabile quanto ad aumento del PIL. Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), tra il 2006 e il 2015 l’economia spagnola ha avuto una crescita annua media dello 0,5%, ponendosi così al di sotto dello 0,8% dell’Eurozona, di cui fa parte, ma conservando il segno positivo.
I numeri
Tra il 2016 e il 2019 la crescita annua spagnola è poi sempre stata tra il 2% e il 3%, superiore alla media dell’area euro. Dopo la caduta del 2020 pandemico e i rimbalzi del 2021 e del 2022, la Spagna è ritornata al passo precedente, con il 2,7% del 2023 e il 3,1% del 2024. Le previsioni FMI indicano un 2,3% per il 2025 e un 1,8% per il 2026. L’economia spagnola tende, al di fuori delle situazioni di eccezionalità, a mantenere una velocità abbastanza buona. È vero che, per il post pandemia, la Spagna può contare su circa 70 miliardi di euro di sovvenzioni del piano Next Generation dell’Unione europea. Ma è anche vero che già prima del 2020 il Paese aveva manifestato un trend di crescita non debole.
Per quel che concerne inflazione e disoccupazione, la Spagna ha registrato alcuni miglioramenti, ma ha piazzamenti nettamente meno buoni rispetto a quello della crescita. I dati Eurostat mostrano che l’inflazione spagnola nel febbraio di quest’anno era al 2,9%, superiore al 2,4% dell’Eurozona. Quanto alla disoccupazione, tradizionale punto di debolezza per la Spagna, nel gennaio di quest’anno era al 10,4%, in effetti inferiore all’11,9% di un anno prima ma comunque sempre alta e ben superiore al 6,2% dell’Eurozona.
Guardando ai dati dell’FMI, nel rapporto debito pubblico/PIL la Spagna non ha una posizione pesante come quella della vicina Italia (136% per il 2024), ma con il suo 102% indicato per l’anno passato non ha neppure un buon piazzamento. Nonostante i miglioramenti che si sono effettivamente visti dal 2021, la Spagna resta per ora ancora sopra la soglia del 100% del PIL per l’indebitamento pubblico, contro una media dell’Eurozona pari all’88% per il 2024.
È interessante vedere anche qual è la situazione di altri due Paesi del Sud Europa che fanno parte dell’UE e dell’Eurozona. Parliamo di Portogallo e Grecia, che insieme a Italia e Spagna erano finiti sotto i riflettori (vedi l’acronimo PIGS) nel primo decennio degli anni Duemila, accusati di eccessiva debolezza in economia e nei conti pubblici. Per la crescita, il Portogallo ha gradualmente risalito la china e, a parte il 2020 pandemico, ha ritrovato un ritmo apprezzabile, con aumenti del PIL del 2,3% nel 2023 e dell’1,9% nel 2024. La disoccupazione portoghese in febbraio era nella media dell’Eurozona e lo stesso dicasi per l’inflazione. Il debito pubblico/PIL portoghese è al 94% per il 2024, ancora alto ma molto sotto il 131% del 2015.
Alcuni miglioramenti ci sono stati anche per la Grecia, Paese che era stato al centro di grandi controversie per via della sua pesante situazione economica e per via del piano di risanamento proposto e sostenuto da UE, BCE, FMI. Dopo molte polemiche su una eccessiva austerità finanziaria (secondo gli oppositori) o su un opportuno rigore nei conti pubblici (secondo i sostenitori del piano), la Grecia ha adottato le misure proposte, affrontando le difficoltà e poi risalendo, seppur gradualmente.
Lisbona e Atene
Come già Lisbona, anche Atene ha accettato la linea del risanamento ed ha ottenuto alcuni risultati. Caduta e rimbalzi pandemici a parte, la crescita economica greca tra il 2016 e il 2023 si è collocata nella fascia 2%-3% e dovrebbe esser stata dell’1,9% nel 2024. Inflazione e disoccupazione, pur restando nettamente sopra la media Eurozona, sono scese. Il debito pubblico/PIL della Grecia è al 159% per il 2024, certo ancora troppo elevato, ma decisamente inferiore al 179% registrato da Atene nel 2015.