L'analisi

La corsa alla Casa Bianca non sconvolge Wall Street

Per ora, secondo il giornalista e saggista Federico Rampini, firma nota del Corriere della Sera, i mercati finanziari sembrano indifferenti tra Donald Trump e Kamala Harris
© CdT / Gabriele Putzu
Gian Luigi Trucco
10.09.2024 23:30

«I mercati finanziari non appaiono particolarmente agitati di fronte all’esito della campagna elettorale americana, e hanno ragione». Ad affemarlo è stato Federico Rampini, giornalista e scrittore, residente a New York e corrispondente del «Corriere della Sera», ospite del convegno «Mercati e geopolitica: il bivio delle elezioni americane», organizzato a Lugano da Banca Generali Suisse e BG Valeur. In effetti, per Rampini, il protezionismo è ormai diventato bipartisan e le politiche economiche presenti nelle agende dei due candidati non sono troppo distanti. Del resto il trapasso dall’amministrazione Trump a quella Biden lo ha indicato. I dazi cinesi del presidente repubblicano non hanno prodotto quell’apocalisse che molti paventavano e il successore democratico ne ha addirittura aggiunti di nuovi. Trump non ha gestito male la fase COVID, elargendo sussidi e aiuti pubblici con provvedimenti che Biden ha copiato con perfetta continuità, portando il livello dei sostegni alla cifra stratosferica di 5.000 miliardi di dollari.

L’Ucraina divide Trump e Harris

Se le differenze strategiche non appaiono rilevanti in campo economico, è semmai sul terreno della politica estera, ha affermato Rampini, che si fanno più evidenti. Per quanto riguarda la crisi ucraina, una vittoria repubblicana porterebbe quanto meno a un ridimensionamento degli aiuti a Kiev e a un piano di pace con concessioni a Putin. In ogni caso sarebbe richiesto da Trump, che non ama la NATO, un maggiore impegno dei Paesi europei e, nel teatro del Pacifico, di Giappone e Corea del Sud. Anche il coinvolgimento degli USA nella difesa di Taiwan verrebbe messo in discussione.

Ripercorrendo la storia delle presidenze USA, che hanno visto lo scoppio di conflitti durante le amministrazioni democratiche e la loro assenza nella fase Trump, Rampini ha citato la strana teoria «dell’uomo pazzo», secondo cui l’indeterminatezza e l’imprevedibilità comportamentale del leader costituirebbero una sorta di deterrente e renderebbero più cauto il potenziale nemico.

Soppesando caratteristiche positive e negative dei due candidati alla Casa Bianca, gioca anche a favore di Donald Trump la sua attività anche politica definibile nei termini di «transazione», cioè di trattiva commerciale «do ut des», quale che ne sia l’oggetto.

A favore di Kamala Harris gioca il fattore età e l’effetto novità favorito dal vento di opposizione che spira un po’ in tutto l’Occidente e che negli USA si fonde con la profonda scontentezza, il pessimismo, il degrado urbano particolarmente pesante nelle aree gestite dalla sinistra, a iniziare da California e New York, la voglia di novità. Ma, si è chiesto Rampini, la Harris rappresenta davvero la novità, vista la sua inazione nel ruolo di vicepresidente, ad esempio riguardo al tema molto sensito dell’immigrazione clandestina?

Una lunga storia di brogli

Un’ampia parte dell’intervento di Federico Rampini è stata dedicata al mondo dell’informazione USA e i suoi squilibri unilaterali a favore della sinistra, nonché al tema dei brogli che hanno caratterizzato precedenti elezioni presidenziali, a iniziare da quella che vide Richard Nixon contro John F. Kennedy, poi risultato vincitore grazie al voto, sembrerebbe, di 40.000 persone defunte. «Gli USA avevano media indipendenti ed equilibrati, a iniziare dal «New York Times», il «Washington Post» e varie emittenti TV fra cui la CNN. Oggi non è più così e vi è stato un declino verso un giornalismo fazioso in favore del Partito democratico». La visione del quadro politico ne risulta distorta e gli stessi dibattiti televisivi non hanno il potere condizionante che i commentatori europei, fra gli altri, attribuiscono loro.

Il dibattito ha evidenziato comunque alcuni punti di dettaglio dei progetti elettorali dei due candidati, che ovviamente non è detto possano trovare attuazione, visto che oltre all’elezione alla Casa Bianca conta poi il livello delle maggioranze nei due rami parlamentari. Se è vero che i mercati finanziari non sono in fibrillazione con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, è pur vero che spiccano i piani fortemente radicali promossi da Kamala Harris (aumento della tassazione dell’utile delle imprese e sui pay-back azionari, ndr), a prescindere dagli effetti di medio e lungo termine su deficit e debito delle due «agende».