Editoriale

La crescita resta debole e il futuro è incerto

La stima flash del PIL del 2024 resa nota dalla Segreteria di Stato per l’economia è stata di solo lo 0,8%, inferiore rispetto all’1,2% dell’anno precedente e al di sotto della media storica dell’1,8% fatta registrare dal 1981
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Generoso Chiaradonna
19.02.2025 06:00

Per definire una crescita del PIL, il Prodotto interno lordo, come «veramente espansiva», bisogna considerare diversi fattori, tra cui il tasso di crescita storico, la popolazione e la produttività. In generale, stando alla teoria, si definisce moderata una crescita tra l’1,5 e il 2% l’anno; solida e sostenibile tra il 2 e il 3%, mentre è forte con un tasso di crescita sopra il 3%. Nel caso della Svizzera, che ha un’economia avanzata e matura, una crescita sopra il 2% sarebbe considerata più che solida. La stima flash del PIL del 2024 resa nota dalla Segreteria di Stato per l’economia è stata invece di solo lo 0,8%, inferiore rispetto all’1,2% dell’anno precedente e al di sotto della media storica dell’1,8% fatta registrare dal 1981.

Inoltre, se si considera il PIL pro-capite, si scopre che l’anno scorso è diminuito dello 0,2%. Questo indica che la crescita dell’economia si è avuta in prevalenza grazie all’aumento della popolazione e non perché ci sia stato un aumento sensibile della produzione e dei servizi. Non siamo in una situazione di crisi o di arretramento dell’economia in generale, ma la dinamica non è brillante ed è condizionata da una serie di fattori che ci accomunano ad altri Paesi europei. La Svizzera è già un’economia altamente sviluppata, con un PIL pro capite molto elevato.

A differenza delle economie emergenti, che possono crescere rapidamente grazie alla modernizzazione e agli investimenti infrastrutturali, per esempio, la Svizzera ha meno margini per crescite rapide in questo senso. La popolazione, inoltre, cresce lentamente, con un tasso di natalità basso. Senza un aumento significativo della forza lavoro, è difficile generare una crescita sostenuta del PIL. L’immigrazione aiuta, ma non è sufficiente.

C’è poi l’imponderabile che può sempre accadere al di fuori dei confini nazionali e che si riflette giocoforza sul PIL. L’economia svizzera è fortemente orientata all’export, con settori chiave come farmaceutico, finanza e orologeria che guidano le statistiche. A questi si aggiunge l’industria cosiddetta MEM (Meccanica, Elettrotecnica e Metallurgica) - la seconda voce dell’export - molto interconnessa con il resto del mondo e per questo più sensibile ai rallentamenti economici globali o crisi settoriali. Pensiamo semplicemente alla crisi europea dell’automotive (Germania su tutti ferma da ormai due anni) che ha riverberi negativi anche in Svizzera con forti riduzioni dell’organico in singole aziende legate al comparto. Il caso della Mubea Fabbrica Molle SA di Bedano, per rimanere al Ticino, è un esempio lampante di questa dinamica. Alla fine di marzo il sito ticinese dell’azienda attiva da 50 anni e che produce valvole per l’industria automobilistica chiuderà i battenti. Saranno una settantina i lavoratori che perderanno il proprio impiego. Anche nella sua sede di Arbon, nel Cantone di Turgovia, Mubea eliminerà 130 posti di lavoro. Ma questo è solo un caso tra i tanti che non emergono dai dati aggregati - comunque molto positivi – sulla produzione industriale (+2,3% in generale, con punte del 13% per la farmaceutica nel quarto trimestre del 2024).

Tornando alla crescita debole e alle sue cause, l’industria svizzera è altamente specializzata e avanzata, ma i servizi - che costituiscono gran parte del PIL - hanno un aumento della produttività più lenta rispetto al settore manifatturiero. Inoltre, altri fattori esterni come le tensioni commerciali globali, riassumibili nella minaccia di dazi da parte del presidente statunitense Donald Trump, e le immancabili incertezze geopolitiche (dalla guerra in Ucraina, al conflitto in Medio Oriente) influenzano negativamente la crescita che rimarrà, almeno in Europa, Svizzera compresa, fiacca e al di sotto delle attese ancora a lungo.