L'analisi

La guerra, le sanzioni e le difficoltà della Russia

L'invasione ha riflessi negativi per tutti ma sarà proprio Mosca ad avere maggiori problemi economici
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
13.03.2022 22:50

Vale la pena di sottolineare cinque punti fondamentali per quel che riguarda la guerra in Ucraina e i riflessi di questa sul quadro economico. Il primo punto, che può apparire banale ma che non lo è considerando alcune confusioni presenti purtroppo anche a latitudini nostre o vicine, è che si tratta di un’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina, Paese che ha cercato di sviluppare meccanismi democratici. Imperfetti e migliorabili, ma democratici.

L’aggressione
Tutte le questioni legate alla Storia della Russia (e dell’ex URSS) e dell’Ucraina, che sono oggetto di letture diverse, di fronte a un’invasione militare devono passare ora per così dire in seconda fila. Ciò vale anche per la non risolta questione delle regioni filorusse in Ucraina. Una soluzione ci vorrà anche per queste, ma la via dell’aggressione non è mai accettabile. Lo stesso vale per l’adesione o meno dell’Ucraina alla NATO e all’Unione europea. Si può discutere sull’opportunità dell’adesione di Kiev alla NATO (che Mosca non vuole) e all’UE (che pure Mosca non gradisce, ma che sembra essere il pomo minore della discordia). Ma anche questo tipo di discussioni vanno fatte a bocce ferme, non con bombardamenti e carri armati. Il secondo punto concerne le sanzioni economiche occidentali contro la Russia di Putin. Per contrastare l’aggressione non esistono molti altri strumenti praticabili: ci sono le pressioni politiche e, appunto, le sanzioni economiche. In teoria esiste uno strumento più massiccio, quello dell’intervento militare sul campo, a fianco dell’Ucraina. Ma è uno strumento praticabile, considerando il rischio di un conflitto tra potenze atomiche? (Russia da una parte e USA, Regno Unito e Francia dall’altra). La risposta alla fine è no. I numerosi critici delle sanzioni, che affollano anche da noi giornali, radio e televisioni, non ci dicono quali alternative realistiche ci siano. Perché non ci sono.

La Svizzera
Da questo punto di vista bene ha fatto la Svizzera, e siamo al terzo punto, ad aderire alle sanzioni economiche, pur tenendo sempre presente la sua storica neutralità. Per due motivi principali: perché le sanzioni sono un atto non bellico contro un aggressore; perché si tratta di evitare triangolazioni economiche che sfruttino il campo elvetico per aggirare le sanzioni. Molti critici affermano anche che le sanzioni economiche sono inutili. E siamo al quarto punto. Non è vero che le sanzioni economiche non abbiano mai un vero effetto su chi le subisce, basti pensare al Sudafrica dell’apartheid. Dipende dall’ampiezza, dall’articolazione, dalla durata delle sanzioni. Quelle contro la Russia sono già abbastanza ampie ora, ma potrebbero allargarsi ulteriormente e durare. Non c’è una campagna mediatica occidentale sul fallimento economico della Russia, come qualcuno ha avventatamente scritto; c’è la realtà dei fatti, che indica che Mosca va davvero verso grandi difficoltà. La Russia è un gigante militare ma non è una potenza economica, la sua economia già da anni cresceva meno della media mondiale. E ora le sanzioni occidentali la colpiscono. I crolli del rublo e della Borsa di Mosca sono segnali chiari delle maggiori difficoltà che l’economia russa incontra e ancora incontrerà in futuro, se il Paese manterrà la linea dell’aggressione.

Gas e petrolio
Ma la Russia è grande esportatrice di gas e petrolio, sottolineano critici e scettici; con le sanzioni e con l’accentuarsi dei rincari delle materie prime, da un lato abbiamo problemi e dall’altro diamo denaro all’aggressore russo e ciò vale in particolare per il gas, per quel che riguarda i Paesi europei. E qui siamo al quinto punto, quello dei costi politici ed economici per i Paesi occidentali (Svizzera inclusa, seppur meno di altri). È chiaro che con le sanzioni esiste sempre il rischio che vi siano costi anche per chi le applica. Ma è questione di proporzioni: se i costi sono molto superiori per chi le subisce (in questo caso la Russia), le sanzioni sono efficaci. Rimane in Europa il problema del gas russo, che va gradualmente sostituito. È quello che accadrà certamente in futuro, con le casse russe che avranno meno soldi dai Paesi europei. Gradualmente, perché è chiaro che l’operazione è complessa. Molti critici vogliono interrompere tutto subito, è certo comprensibile, ma così si creerebbero ulteriori difficoltà alle imprese e alle famiglie dei Paesi europei. Se fosse Mosca a bloccare il suo export di gas, con un autogol che le costerebbe peraltro molti soldi, il problema certamente andrebbe affrontato in emergenza. È certo spiacevole, ma è pure comprensibile, che i Paesi europei cerchino di non bloccare tutto l’import di gas russo prima di aver trovato alternative valide, per evitare danni ancora maggiori ai loro cittadini. 

© AP
© AP

Le Borse subiscono il conflitto bellico

L’indice borsistico mondiale Msci Acwi in dollari era quest’ultimo venerdì, in chiusura di giornata, a 342 punti. Dopo un’altra settimana di tensioni legate soprattutto all’invasione russa dell’Ucraina, l’indice globale è un termometro di rilievo delle inevitabili difficoltà dei mercati azionari in questo specifico momento. Inevitabili, perché da inizio 2022, dopo tre anni borsistici di segno nettamente positivo, già erano cresciuti i timori su un rallentamento economico causato dall’aumento dell’inflazione. La guerra scoppiata il 24 febbraio nell’area dell’Europa dell’Est ha poi aggiunto altri timori, provocando alcuni nuovi ribassi dei listini e soprattutto un incremento del grado di volatilità dei mercati azionari mondiali.

Aree geografiche
L’indice mondiale è chiaramente sotto i picchi di fine 2021 (attorno ai 390 punti), ma nonostante uno scenario molto complicato è ancora più o meno ai livelli di un anno fa (in flessione solo dello 0,1%). La guerra in Ucraina scuote in particolare il teatro europeo e non può quindi stupire che l’indice dell’Eurozona Euro Stoxx 50 fosse venerdì sera a -3,8% rispetto a un anno prima; l’indice svizzero SMI, pur avendo a sua volta subito alcuni ribassi, ha tenuto meglio ed era a +6% su un anno. Anche se è vero che la guerra suscita timori che colpiscono l’intera economia mondiale, gli USA sono però un po’ più lontani dal teatro principale dello scontro e l’indice S&P 500 di New York, pur avendo avuto battute d’arresto, ha anch’esso tenuto meglio ed era in positivo per il 6,6% rispetto a un anno prima. L’indice giapponese Nikkei 225 di Tokyo aveva già iniziato a scendere prima della guerra in Ucraina ed era venerdì sera a -15,3% su un anno. L’indice cinese Shanghai Composite limitava il calo su base annua, sempre venerdì, al 4,1%.

Valuta elvetica, lingotto
Mentre le Borse principali restano dentro la volatilità ora causata in larga parte della guerra in Ucraina, una parte consistente degli investitori accentua la richiesta di beni rifugio, come sempre avviene quando aumentano le incertezze geopolitiche e/o economiche. Il franco svizzero, uno dei più tradizionali beni rifugio, è salito venerdì 4 marzo sino all’1 a 1 con l’euro, non accadeva dall’inizio del 2015. Lunedì 7 marzo è poi salito a 0,99 contro euro, prima di cedere un po’ di terreno e tornare quindi sopra la parità. Nei giorni successivi ha lasciato altro terreno, per attestarsi attorno a 1,02. Il dollaro USA è tornato a 0,93 franchi, dopo esser sceso a 0,91 venerdì 4 marzo. Nel complesso la valuta elvetica resta molto forte e rimane nel gruppo dei beni rifugio. Un altro bene rifugio tradizionale è l’oro, che in queste ultime settimane è salito in modo deciso. La quotazione del metallo giallo era venerdì sera a circa 1.992 dollari per oncia, il che significa un progresso del 15,1% rispetto a un anno fa. Sull’onda dei timori legati alla guerra in Ucraina e all’aumento dell’inflazione, l’oro è salito recentemente sopra i 2 mila dollari per oncia e molti analisti ritengono che il metallo giallo avrà ancora quotazioni di buon livello, soprattutto se le tensioni geopolitiche non dovessero diminuire.

Il barile di greggio
I prezzi del petrolio e del gas naturale erano già in aumento, sull’onda della domanda collegata alla ripresa economica, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha impresso un’ulteriore accelerazione. La Russia è infatti esportatrice di queste fonti di energia e le incertezze collegate alla guerra spingono i prezzi. Il petrolio Brent, trattato a Londra, era venerdì attorno ai 112 dollari per barile, il che vuol dire +62% rispetto a un anno fa. Per la verità recentemente il prezzo del greggio Brent è arrivato a 139 dollari, non lontano dal record storico di 147,5 dollari, raggiunto nel 2008. Poi però la quotazione è scesa, sino ai livelli di venerdì. Per cercare di capire il possibile andamento del prezzo del petrolio, occorrerà vedere soprattutto l’evoluzione del conflitto in Ucraina, l’ampiezza delle sanzioni contro le fonti di energia russe, il livello di export da parte degli altri grandi produttori. 

In questo articolo: