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La lettera aperta di Sergio Ermotti: «UBS e la Svizzera possono giocare entrambi in Champions League»

Due anni dopo il salvataggio di Credit Suisse, il CEO ha condiviso alcune riflessioni sulla banca e sul suo mercato domestico
©URS FLUEELER
Red. Online
19.03.2025 17:31

Due anni dopo il salvataggio di Credit Suisse, in vista del trasferimento della clientela in Svizzera e del dibattito politico in Svizzera sulle future regolamentazioni del settore bancario, l'amministratore delegato di UBS, Sergio Ermotti, ha condiviso alcune riflessioni sulla banca e sul suo mercato domestico, spiegando come può essere creata una situazione vantaggiosa per la Svizzera e UBS. Vi riportiamo, di seguito, il testo integrale della missiva.

Due anni fa, il 18 marzo 2023, stavo assistendo alla partita di calcio tra FC Collina d’Oro, la mia squadra, e lo Zugo 94 al nostro campo sportivo a Gentilino, Lugano. Entrambe le squadre erano in buona posizione in classifica e speravano di vincere il campionato della Seconda Lega interregionale svizzera. Improvvisamente, il mio cellulare ha iniziato a vibrare. Alla fine del primo tempo ho controllato i messaggi e ho appreso che le autorità svizzere avevano cercato di contattarmi. Stavano elaborando diversi scenari per stabilizzare Credit Suisse e mi chiedevano se fossi disposto a dare una mano.

La partita si è conclusa con un pareggio, e alcune ore dopo ho accettato in linea di principio di diventare presidente di un Credit Suisse da ristrutturare, nel caso in cui l’acquisizione da parte di UBS non si fosse concretizzata. Avendo trascorso la mia carriera nel settore bancario, incominciando a 15 anni come apprendista, ho sentito un senso di responsabilità verso il settore finanziario. E ho anche pensato che questo fosse un momento critico in cui la Svizzera doveva unire tutte le sue forze per mostrare al mondo la sua capacità di risolvere i problemi in modo pragmatico evitando costi e danni alla reputazione del Paese e non solo. Ero anche fermamente convinto che le riforme successive alla crisi finanziaria del 2008, introdotte quando ero CEO di UBS, potessero garantire un solido piano di risanamento per grandi banche e che anche Credit Suisse avrebbe potuto essere ristrutturata.

Due anni dopo quel fatidico weekend, mentre siamo nell’ultima tappa importante dell’integrazione, ossia il trasferimento dei nostri clienti in Svizzera su un’unica piattaforma, desidero condividere con voi alcune mie riflessioni su quella che ritengo essere la direzione del nostro percorso. Voglio anche darvi la mia prospettiva non filtrata sul dibattito politico in corso in Svizzera sulle future regolamentazioni bancarie, poiché c’è molto rumore, spesso mal informato, e immagino che molti di voi ricevano domande da clienti, amici e familiari sull’argomento. Voi siete i volti di UBS in Svizzera e sono convinto che siate i migliori ambasciatori per la nostra azienda. Insieme, possiamo contribuire a far sì che la Svizzera e UBS possano emergere entrambe vincenti dopo la sfortunata scomparsa di Credit Suisse.

Non è più questione del «too big to fail»

È ovvio che Credit Suisse non era “troppo grande per fallire”, perché, beh, è fallita. Se UBS non fosse intervenuta, oltre agli azionisti e ai detentori di bond AT1, che hanno subito il colpo, anche i detentori di obbligazioni subordinate – con CHF 48 miliardi in gioco – avrebbero dovuto assorbire ulteriori perdite per tutelare i contribuenti. La nuova banca sarebbe emersa dal weekend con circa quattro volte il capitale necessario per soddisfare le già stringenti regole svizzere, secondo le stime del Financial Stability Board.

Lasciatemi sottolineare che oggi sono ancora più certo di quanto non fossi due anni fa che Credit Suisse avrebbe potuto essere ridotta ad una banca svizzera molto più piccola e ben capitalizzata, con alcune attività di gestione patrimoniale internazionali.

Che Credit Suisse avrebbe potuto essere messa in risoluzione è una conclusione a cui molti veri esperti bancari e organismi di regolamentazione, come la Banca dei Regolamenti Internazionali, sono giunti esaminando i fatti emersi negli ultimi due anni. Ed è effettivamente ciò che UBS ha fatto dal momento del salvataggio.

Questo è il motivo per cui sembra un po’ anacronistico definire la discussione che attualmente stiamo affrontando in Svizzera un dibattito sul «too big to fail», poiché questo non tiene conto né dei significativi progressi compiuti dopo la crisi finanziaria, né dell’investimento di USD 1,5 miliardi effettuato da UBS tra il 2014 e il 2019 per adeguare la propria struttura giuridica e rafforzare i piani di risoluzione.

UBS è stata parte della soluzione

A marzo del 2023, le autorità hanno scelto un’altra via, che io reputo migliore. Ero sollevato per il fatto che non mi fosse stato chiesto di liquidare Credit Suisse, e allo stesso tempo molto soddisfatto che in Svizzera siamo stati in grado di risolvere un problema fatto in casa senza aiuto esterno. Mi aveva fatto comunque molto piacere sapere che UBS fosse parte della soluzione, grazie al suo modello di business efficace e alla sua solida posizione patrimoniale.

Pochi giorni dopo, è stato un onore essere richiamato al mio precedente ruolo a UBS per gestire l’integrazione e mettere la nuova banca nella migliore posizione per il futuro. Sapevo che il compito di ristrutturazione non sarebbe stato semplice e avrebbe richiesto duro lavoro e pazienza da parte di tutti noi nonché il supporto dei nostri azionisti che avrebbero dovuto rinunciare a oltre USD 15 miliardi di utili prima di ricevere qualsiasi beneficio. Questo, oltre ai USD 3,2 miliardi che abbiamo pagato per Credit Suisse, rappresenta il costo reale dell'acquisizione, un aspetto che in alcuni casi viene volutamente o opportunamente trascurato quando si analizza la transazione. Ma è stata la cosa giusta da fare, non solo per UBS e il nostro settore, ma soprattutto per la Svizzera. Riflettendo sul passato, devo dire che non mi aspettavo che il più grande ostacolo sarebbe provenuto dalle stesse autorità che ci avevano chiesto di risolvere un problema che non avevamo causato.

Chiaramente, il collasso della seconda più grande banca svizzera merita un dibattito rigoroso. È per questo che UBS, e io personalmente, a partire dall’autunno del 2023, abbiamo contribuito con analisi e proposte su come riformare il quadro normativo alla luce di quanto appreso dalla vicenda di Credit Suisse. Ma dobbiamo prendere anche atto che un irrigidimento normativo eccessivo avrebbe conseguenze di vasta portata, ben oltre il risultato economico di una singola banca.

Le raccomandazioni che il Consiglio federale pubblicherà nelle prossime settimane, incorporando i suggerimenti di autorità come la FINMA e la Banca nazionale svizzera, potrebbero avere ripercussioni sulle famiglie e i cittadini svizzeri, la competitività delle nostre imprese e il benessere nazionale. E non solo nel presente: le decisioni prese ora saranno determinanti per le future generazioni di famiglie, proprietari di aziende e professionisti del nostro settore i in Svizzera. Tali decisioni dovrebbero pertanto basarsi sui fatti piuttosto che su emozioni, ideologie o tentativi di sminuire la responsabilità delle istituzioni.

Prima di riscrivere le leggi esaminiamo i motivi per cui quelle esistenti non sono state applicate

Per fortuna l’opinione pubblica dispone oggi di numerose fonti di informazione per sviluppare un proprio punto di vista. Il Gruppo di esperti sulla stabilità delle banche incaricato dal governo svizzero ha formulato un’analisi che, a mio avviso, meriterebbe maggiore attenzione nel dibattito pubblico e politico. Abbiamo anche il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta (CPI) sulle origini della crisi. Entrambe le fonti spiegano che il crollo di Credit Suisse non è stato causato da lacune nel regime normativo. Le loro 600 e oltre pagine descrivono un istituto che ha perseguito troppo a lungo un modello di business e una strategia insostenibili. Le analisi rilevano inoltre come alcune significative concessioni regolamentari abbiano permesso a Credit Suisse di tirare avanti, sfuggendo alla disciplina imposta dal mercato.

I fatti dimostrano che i requisiti patrimoniali svizzeri sono abbastanza robusti, ma solo quando applicati effettivamente – cosa che non è avvenuta nel caso di Credit Suisse. È per questo che non ha senso discutere di nuove regole, se non si comprendono i motivi per cui quelle in vigore non sono state applicate.

Ciò che possiamo evincere dal rapporto della CPI e da altre analisi, è che se queste concessioni fossero state vincolate a limiti temporali appropriati e condizioni più rigorose, e se la banca e le autorità le avessero costantemente comunicate al pubblico, Credit Suisse sarebbe stata costretta a modificare il proprio modello di business in tempo utile e probabilmente oggi avremmo ancora due grandi banche in Svizzera.

I fatti dimostrano che i requisiti patrimoniali svizzeri sono abbastanza robusti, ma solo quando applicati effettivamente – cosa che non è avvenuta nel caso di Credit Suisse. È per questo che non ha senso discutere di nuove regole, se non si comprendono i motivi per cui quelle in vigore non sono state applicate. Usiamo un’analogia e siamo onesti con noi stessi, non parliamo di cambiare le leggi ogni volta che viene commesso un reato. Piuttosto ci domandiamo: «Com’è potuto succedere? Dov’era la polizia?». Dovrebbe essere così anche nel settore bancario.

Pur dimostrandosi critica verso alcuni elementi del quadro normativo dopo la crisi del 2008, UBS ha implementato tutte le misure richieste, senza eccezioni. Molti di voi nei colloqui con i clienti spesso evidenziano l’importanza della solidità patrimoniale di UBS, un pilastro centrale della nostra strategia. La prova per eccellenza della solidità del regime regolamentare svizzero, se applicato con coerenza, è stata la capacità di UBS di intervenire e risolvere il primo caso di fallimento di una banca di importanza sistemica a livello globale nel giro di pochi mesi.

UBS e il PIL svizzero – e altre affermazioni da prima pagina che mancano di fatti

Le commissioni parlamentari e i gruppi di esperti hanno evidenziato le cause del problema. Ciò nonostante, girano ancora voci che alimentano miti e confondono la discussione sulla riforma del quadro normativo. Alcune di queste, come l’idea che UBS goda di una garanzia implicita da parte dello stato, non riflettono i fatti. A questo proposito, i tassi di interesse che UBS deve pagare sul mercato sono nettamente superiori a quelli delle obbligazioni della Confederazione, a dimostrazione che si tratta di un’affermazione con scarso fondamento. In sostituzione della garanzia statale, UBS paga 250 punti base all’anno, pari a circa USD 3 miliardi, in costi di finanziamento aggiuntivi netti sopra il tasso delle obbligazioni della Confederazione.

Allo stesso modo, è fondamentale evitare informazioni selettive o valutazioni su misura che favoriscono finalità specifiche o non tengono conto delle condizioni economiche uniche della Svizzera. Un esempio classico in questo ambito è il raffronto semplicistico tra il bilancio di UBS e il prodotto interno lordo svizzero.

Capisco che questi dati possano sollevare perplessità se presi fuori contesto. Il medesimo effetto lo avrebbe un raffronto tra il bilancio della Banca nazionale svizzera e il PIL della Confederazione nel suo complesso. E come molti di voi forse sanno, la Svizzera ha il debito privato pro capite più alto al mondo. Questi aspetti costituiscono forse una minaccia alla stabilità economica? Certo che no. Sono solo il riflesso di alcune peculiarità svizzere. Informazioni di questo tipo, se decontestualizzate, possono essere usate come un’arma per alimentare timori ingiustificati.

la Svizzera è approssimativamente la 20esima maggiore economia al mondo, secondo il Fondo Monetario Internazionale. C’è forse da stupirsi che UBS sia la 20esima banca più grande al mondo?

La verità è che la Svizzera sovraperforma in molti parametri economici. Ciò è notevole, ma non dovremmo darlo per scontato. Siamo più ricchi delle nazioni limitrofe e il nostro PIL pro capite è il doppio di quello tedesco o francese. La capitalizzazione della nostra Borsa supera quelle di Italia, Spagna e Austria messe insieme. Ancora una volta, questi non sono motivi di preoccupazione. Un numero preso da solo non può raccontare tutta la verità – serve un’analisi più approfondita. Ciò vale anche quando si rapportano le dimensioni di UBS al PIL svizzero.

E, per inciso, la Svizzera è approssimativamente la 20esima maggiore economia al mondo, secondo il Fondo Monetario Internazionale. C’è forse da stupirsi che UBS sia la 20esima banca più grande al mondo? Se la Svizzera eccelle, perché non dovremmo giocare entrambi in Champions League?

Sostegno a una riforma mirata, proporzionata e allineata con gli standard internazionali

Anche se credo che le attuali regolamentazioni per il settore bancario siano efficaci, sono convinto che dinanzi a eventi come quelli di marzo 2023 siamo chiamati a evolverci. In quest’ottica sosteniamo le proposte del Consiglio federale, a condizione che siano mirate, proporzionate e allineate con gli standard internazionali. Più importante ancora, dobbiamo eliminare la flessibilità con cui le diverse parti, incluse le banche e chi vigila su di esse, possano interpretare queste norme in modo unilaterale.

Come accennato, è dall’autunno 2023 che elogio gli adeguamenti normativi volti a rafforzare ulteriormente la resilienza della piazza finanziaria svizzera.

Bisogna prima di tutto chiarire i doveri e rafforzare le responsabilità dell’alta dirigenza e dei consigli di amministrazione. In questo caso, sosteniamo azioni che non solo comportano l'annullamento, ma anche il recupero delle compensazioni oltre a facilitare la possibilità di azioni legali contro individui che si dimostrano negligenti nei propri doveri. Così facendo, la Svizzera si allineerebbe con altri importanti paesi.

In secondo luogo, dobbiamo riuscire a individuare più in anticipo le possibili debolezze. Gli stress test pubblici, come quelli usati negli Stati Uniti e in altri Paesi, aiutano a identificare meglio i punti deboli e di forza degli istituti finanziari.

Per esempio, una comunicazione più coerente da parte della Banca nazionale svizzera nel suo rapporto annuale sulla stabilità finanziaria negli anni precedenti al crollo di Credit Suisse, indicando che la banca capogruppo di Credit Suisse soddisfaceva i requisiti patrimoniali solo grazie ad ampie concessioni, avrebbe probabilmente costretto la banca ad adeguare la propria posizione patrimoniale o il proprio modello di business. Rafforzando la disciplina di mercato, possiamo ridurre anche il rischio che si ripetano gli errori da parte delle autorità di vigilanza.

Questo è fondamentale, perché non importa solo quanto sia il patrimonio regolamentare dichiarato, ma soprattutto come le regole vengano applicate e la qualità stessa del quadro regolamentare generale. Noi siamo favorevoli, ad esempio, a modifiche nel metodo di valutazione del valore delle controllate, come pure al rafforzamento di alcuni elementi del capitale a disposizione per l’assorbimento di perdite straordinarie.

Ma dobbiamo prendere atto anche del fatto che i requisiti patrimoniali imposti oggi in Svizzera sono già tra i più severi al mondo. La capacità di UBS di stabilizzare Credit Suisse e di ripristinare la stabilità finanziaria nel giro di pochi giorni ne è la prova. La nostra successiva analisi interna ha dimostrato anche che l’applicazione sistematica delle regole attuali sulla capitalizzazione, combinata a una valutazione prudente delle controllate estere, sarebbe stata sufficiente a coprire le forti perdite di Credit Suisse.

Inoltre, la Svizzera ha dato attuazione all’ultima serie di riforme Basilea III prima e in maniera più estesa rispetto all’UE, al Regno Unito e agli Stati Uniti, dove si osserva una tendenza ad allentare piuttosto che a irrigidire i vincoli normativi. Ad oggi, noi deteniamo all’incirca il 10% di capitale in più a parità di rischio rispetto alla concorrenza internazionale, il che è già uno svantaggio per noi e per l’economia svizzera.

Ripristinare la credibilità senza ostacolare la prosperità

In sostanza, una lezione importante che si può trarre dal crollo di Credit Suisse è che una banca può essere liquidata senza danneggiare l’economia e i contribuenti e che dobbiamo aiutare i cittadini a convincersi di questo fatto. I piani di risanamento e risoluzione di UBS sono già stati valutati e confermati dalla FINMA. Ma è chiaro che noi, e le autorità svizzere, dobbiamo continuare i nostri sforzi per informare meglio la popolazione che la risoluzione di una banca funzionerebbe nella pratica e che non avrebbe costi per i contribuenti.

È per questo motivo che, da quando sono tornato a ricoprire la carica di CEO sono stato particolarmente esplicito sul tema e mi sono confrontato in ogni occasione con i portatori d’interesse a tutti i livelli, non solo con molti di voi, con gli amici e i familiari, ma anche con i clienti, i politici e i media. In qualità di banca, abbiamo condiviso, di nostra iniziativa, quanto appreso dalla crisi di Credit Suisse con il Dipartimento delle finanze e le altre autorità, allo scopo di rilevare i rischi nelle fasi iniziali, applicando misure di risanamento preparate a priori e valutando opzioni credibili di risoluzione.

A tal fine, stiamo inoltre adottando altri provvedimenti per rafforzare la nostra resilienza, con un buffer di USD 185 miliardi, vale a dire la nostra intera capacità di assorbimento delle perdite totali. Per darvi un’idea dell’ordine di grandezza, si tratta di quasi il quadruplo delle perdite subite da UBS nei tre anni successivi alla crisi finanziaria del 2008, quando l’investment bank rappresentava quasi tre quarti del nostro bilancio, contro l’attuale 29% per la banca combinata, e un tetto massimo del 25% dei nostri attivi totali ponderati per il rischio attribuibili all’investment bank. Inoltre, la UBS di oggi ha un modello di business completamente diverso con circa il 60% dei ricavi provenienti dalla gestione patrimoniale e il 20% dalla nostra banca svizzera, oltre a un bilancio diversificato, unico tra le banche di rilevanza sistemica al mondo.

Nell’eventualità remota di una risoluzione, è fondamentale estendere il ruolo della banca centrale come prestatore di ultima istanza. Siamo quindi favorevoli all’introduzione in Svizzera di un «public liquidity backstop» (PLB) in linea con le buone prassi internazionali, che migliorerebbe la resilienza del nostro sistema bancario. Un PLB permetterebbe di procedere a una liquidazione ordinata – solo dopo che gli azionisti, i detentori di bond AT1 e TLAC e i compensi differiti del management siano stati cancellati. A queste condizioni, il PLB non può essere considerato alla stregua di una garanzia per la banca o di un invito all’azzardo morale.

Infine, sosteniamo il rafforzamento della FINMA. L’autorità dispone già di ampi poteri che andrebbero però meglio definiti, in particolare per quanto riguarda il suo ruolo nel rafforzamento dei requisiti normativi e il Senior Manager Regime. La FINMA ha a disposizione un’ampia gamma di strumenti d’intervento. Ad esempio, ha limitato il pool di bonus di alcuni ambiti di UBS in diverse occasioni negli ultimi 15 anni, ordinato la chiusura di varie banche, proibito a una banca privata di medie dimensioni di accettare alcuni clienti stranieri e ridotto le attività d’affari di una banca estera. Rientra nelle sue competenze anche limitare le retribuzioni variabili, i dividendi e i riacquisti di azioni proprie se una banca non soddisfa i requisiti patrimoniali in maniera sostenibile. Come abbiamo appreso dal rapporto della CPI, nel caso di Credit Suisse la FINMA aveva approvato le proposte di retribuzione e di distribuzione agli azionisti, permettendo che concessioni regolamentari non sostenibili creassero una posizione di capitale regolamentare debole.

Un modello di business forte è la fonte di stabilità più affidabile

È dal 2012 che UBS persegue un modello di business incentrato sull’attività di gestione patrimoniale che è perfettamente allineato con la visione strategica del Consiglio federale per la piazza finanziaria svizzera. È per questo che gli azionisti attribuiscono a UBS una valutazione eccellente. Non abbiamo intenzione di discostarci da questa strategia vincente – e in ogni caso, gli azionisti sarebbero i primi ad accorgersene e a penalizzarci. Ciò dovrebbe rassicurare anche chi si preoccupa di possibili decisioni assunte dalle prossime generazioni che dirigeranno la nostra banca come pure i giovani talenti che arrivano in UBS con l'obiettivo di una carriera lunga e appagante.

Uno dei pilastri della nostra strategia è la solidità patrimoniale e un bilancio per tutte le stagioni. Questo resterà un elemento importante della nostra strategia e permetterà a UBS di continuare ad assistere le economie domestiche e le imprese svizzere con prestiti che oggi ammontano a CHF 350 miliardi.

L’innalzamento dei requisiti patrimoniali minimi non farebbe che rendere più costosi questi servizi e interferire nel tempo con la nostra capacità di competere a livello globale. Ciò avrebbe anche ripercussioni su di noi come terzo maggiore datore di lavoro nel settore privato in Svizzera, sulle imposte versate da UBS e il suo personale (CHF 2,5 miliardi nel 2023), sulla nostra capacità di istruire giovani talenti (2300 tirocinanti attuali) e sul nostro impegno per la collettività. Le affermazioni secondo cui avere più capitale sia sempre meglio sono semplicistiche. E per quanto ci risulta, in Svizzera non è stata condotta alcuna seria analisi di costi-benefici sull’impatto di requisiti patrimoniali più elevati, contrariamente a quanto asserito da numerosi fautori di questa idea. Uno studio di questo tipo, per essere credibile, richiederebbe molti dati e altri input da parte di UBS che saremmo lieti di fornire.

Un altro timore è che, se i nostri rendimenti sul capitale non sono competitivi rispetto a quelli dei nostri concorrenti globali, saremo anche meno attraenti per gli azionisti. Verrebbe meno la loro motivazione a fungere da prima linea di difesa in caso di bisogno durante una grave crisi macroeconomica a livello globale o in Svizzera. Dalla crisi di Credit Suisse possiamo trarre anche un’altra lezione: il punto di non ritorno è stato raggiunto quando gli investitori hanno smesso di credere nella sopravvivenza della banca.

La fine di Credit Suisse ha anche dimostrato in maniera lampante che non c’è niente di peggio di una banca che non genera profitti sostenibili per anni, che si impegna in attività rischiose e la cui reputazione è stata anche compromessa.

Garantire un futuro a vantaggio di tutti

Sul tema, è necessario avere un dibattito vigoroso. Guardando al futuro, però, dobbiamo abbracciare il coraggio piuttosto che la paura come ho scritto l’anno scorso sulla NZZ. Dopo quello che è successo a Credit Suisse, e a UBS durante la crisi finanziaria del 2008, capisco che molti vedano il pericolo di una sola grande banca nel nostro Paese. Troppo spesso le opinioni basate su fatti selettivi ignorano i numerosi vantaggi di una piazza finanziaria dinamica con una banca competitiva a livello internazionale al suo centro. I nostri clienti mi dicono che beneficiano notevolmente dei vantaggi di una banca in Svizzera che fornisce una connettività globale, prodotti e servizi all'avanguardia. E affermano che è essenziale per l'ecosistema delle imprese, dell'innovazione e dell'imprenditorialità avere una banca come UBS a cui rivolgersi.

Ma credo anche che questo sia un momento in cui la Svizzera può brillare, in cui non dovremmo mettere a rischio la nostra reputazione come faro di stabilità, dove il processo decisionale politico è caratterizzato dalla praticità e dal buon senso, piuttosto che da soluzioni estreme.

Ma credo anche che questo sia un momento in cui la Svizzera può brillare, in cui non dovremmo mettere a rischio la nostra reputazione come faro di stabilità, dove il processo decisionale politico è caratterizzato dalla praticità e dal buon senso, piuttosto che da soluzioni estreme. In questo contesto, sono molto motivato a continuare a impegnarmi per la piazza finanziaria svizzera, anche nell'interesse delle future generazioni. Immagino UBS al centro di una piazza finanziaria vivace e diversificata, in grado di soddisfare le esigenze delle numerose start-up innovative che spuntano dai nostri eccellenti istituti di ricerca, una tendenza destinata a rafforzarsi con il progredire dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie. Grazie alla combinazione tra radici svizzere e una rete globale, UBS sarebbe ben posizionata per rafforzare ulteriormente il suo ruolo di pilastro di un centro finanziario capace di generare posti di lavoro, entrate fiscali e innovazioni per decenni a venire.

Sostanzialmente, la decisione su come saranno i requisiti normativi per UBS in futuro spetta al Parlamento. Noi continueremo a partecipare costruttivamente al dibattito con tutte le parti coinvolte, in modo che le opportunità e i rischi di un centro finanziario svizzero di rilevanza internazionale possano essere valutati attentamente. Spero che nella questione della regolamentazione del settore bancario dimostreremo ancora una volta un approccio ai problemi pragmatico e tipicamente svizzero.

In ogni caso, non lasceremo che queste discussioni ci distraggano dal preparare la nostra banca per il futuro. La nostra priorità è l'integrazione completa di Credit Suisse, compreso il trasferimento di tutti e tutte le clienti su un’unica piattaforma. Allo stesso tempo, dobbiamo affrontare le sfide che ci pongono le innovazioni dirompenti come l’intelligenza artificiale per far sì che UBS e la piazza finanziaria svizzera rimangano leader e all’avanguardia dell’innovazione a livello globale.

Sono molto grato a tutti voi per essere rimasti sempre focalizzati sulle nostre e i nostri clienti durante questa prima fase dell’integrazione. Il vostro impegno rimane estremamente importante nella prossima fase, che sarà delicata.

Grazie al vostro sostegno e al vostro costante impegno, care colleghe, cari colleghi, sono convinto di restare fermamente fedele alla promessa che il nostro Presidente del Consiglio di amministrazione Colm Kelleher ed io abbiamo fatto al momento della conclusione dell'acquisizione di Credit Suisse il 12 giugno 2023: «Ci concentreremo su ciò che realmente conta: garantire la sicurezza del patrimonio della nostra clientela e aiutarla a realizzare i suoi obiettivi. Lavoreremo insieme, unendo le nostre forze e capacità. Prenderemo decisioni basate sui fatti e tenendo sempre in mente il quadro più ampio. Non arretreremo di un passo sulla cultura forte di UBS, l’approccio conservativo al rischio o la qualità del servizio». Sono sicuro che anche voi condividete questo impegno.

Sono passati due anni da quando ho ricevuto quella telefonata sulle gradinate del campo sportivo. Quel giorno, FC Collina d’Oro e Zug 94 pareggiarono 1-1. Alla fine della stagione nessuno di noi ha vinto il campionato. In Svizzera pensiamo spesso che un pareggio o un compromesso siano un risultato accettabile. Ma non è sempre così. Infatti, è stata una terza squadra a vincere il campionato. Per il bene dell’economia svizzera, della piazza finanziaria e di UBS, così come per le generazioni future, questa volta, non permettiamo che le cose vadano così. Questo richiede una mentalità da «Team Svizzera», insieme per il nostro Paese.