L'analisi

La piazza finanziaria elvetica e i dati che mostrano la tenuta

Le sfide e gli ostacoli negli ultimi anni non sono mancati, ma il valore aggiunto nonostante tutto ha registrato un aumento – La finanza è riuscita nel complesso a mantenere uno spazio importante sia nell’ambito dell’economia svizzera sia a livello internazionale
©Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
23.09.2024 06:00

La piazza bancaria e finanziaria svizzera ha tenuto, nonostante le molte sfide e i non pochi ostacoli che si sono presentati negli anni. Alcuni dei nodi principali che la finanza elvetica ha dovuto gestire sono l’aumento della concorrenza di altre piazze, le normative più stringenti, la fine del segreto bancario per i non residenti, l’incremento dei costi, la crescita degli investimenti legati all’adeguamento delle strutture ed alle nuove tecnologie. C’è stato un percorso pluriennale di ampio cambiamento. Quello che molti si aspettavano, soprattutto all’estero ma talvolta anche in patria, era un netto ridimensionamento della finanza rossocrociata. Ma le cose sono andate in un altro modo. Nel complesso c’è stata infatti una marcata resilienza.

Il quadro

Tra i fattori positivi che hanno permesso alla piazza svizzera di tenere ci sono il contenuto di professionalità e di esperienza, un’economia elvetica che è andata meglio di molte altre, la forza del franco (che crea alcuni ostacoli all’export, ma contribuisce all’attrattività della piazza e limita l’inflazione), il buon funzionamento e l’affidabilità del sistema Paese. Nell’insieme, dunque, non ci sono state solo ombre ma anche luci. Una conferma di ciò viene anche dai dati della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI) e della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), aggiornati negli Indicatori 2024. Cifre che forniscono un quadro del percorso della finanza elvetica nel decennio 2013-2023.

Il valore aggiunto creato dalla piazza finanziaria svizzera era di 67,6 miliardi di franchi nel 2013, di 69,5 miliardi nel 2018 e di 72,3 miliardi nel 2023. La SFI divide le attività della piazza in due grandi rami. Si può così vedere come i servizi finanziari siano leggermente scesi nel primo quinquennio considerato - da 37,8 miliardi a 37 miliardi - e come poi siano chiaramente saliti nel secondo quinquennio, a 41,1 miliardi. Le attività assicurative dal canto loro sono invece cresciute nel primo quinquennio - da 29,8 miliardi a 32,5 miliardi - e sono poi scese nel secondo, a 31,2 miliardi. Il risultato complessivo è che il valore aggiunto della piazza elvetica era nel 2023 più alto rispetto sia al 2018 sia al 2013.

Il percorso

La piazza finanziaria svizzera nel suo complesso è cresciuta e non è dunque esatto quanto viene spesso affermato su una sua non crescita. Semmai, è reale che sia la piazza elvetica sia il Prodotto interno lordo svizzero sono cresciuti e che il secondo è salito di più. Il PIL elvetico era infatti di 654,6 miliardi di franchi nel 2013, di 709,5 miliardi nel 2018, di 795,1 miliardi nel 2023. Ne consegue che la piazza finanziaria rappresentava il 10,3% del PIL nel 2013, il 9,8% nel 2018 e il 9,1% nel 2023. La finanza rossocrociata è quindi anch’essa chiaramente cresciuta in termini assoluti, ma non in percentuale sul PIL. Altri versanti dell’economia svizzera, nell’industria o nei servizi, hanno conquistato ancor maggiore terreno nel decennio indicato.

La percentuale del 9,1% sul PIL registrata nel 2023 dalla piazza elvetica in termini generali non è comunque da sottovalutare. Se si prendono in considerazione alcuni Paesi con taglie maggiori, si può vedere come nel 2023 sui rispettivi PIL le loro piazze finanziarie non contavano più di quella svizzera. Secondo la SFI, per il Regno Unito la percentuale è 8,3%, per gli Stati Uniti è 7,3% (2022), per la Germania è 3,8%. Invece, per il Lussemburgo (2022) la percentuale è 24,3% e per Singapore è 13%; queste ultime due sono senza dubbio cifre molto rilevanti, ma bisogna anche considerare che si tratta in entrambi i casi di Paesi di dimensioni molto contenute e con economie che non hanno la stessa diversificazione di quella svizzera.

Gli impieghi

La diminuzione del numero delle banche in Svizzera è tra le ombre. Cambiamenti di strategia, acquisizioni e fusioni, riorganizzazioni interne sono tra gli elementi che hanno contribuito alla riduzione. Le banche erano 283 nel 2013, 248 nel 2018 e 236 nel 2023. Per quel che concerne i posti di lavoro (equivalenti a tempo pieno) della piazza elvetica, nel decennio sono scesi nei servizi finanziari e lievemente aumentati nelle attività assicurative; c’è stata però una netta crescita nelle attività ausiliarie a supporto di entrambi i rami. Questa ridistribuzione ha consentito di risalire, dopo la caduta del primo quinquennio. Il totale degli addetti era di 214.411 nel 2013, di 203.161 nel 2018, di 221.167 nel 2023. Gli impieghi della piazza in rapporto all’occupazione in Svizzera erano il 5,7% nel 2013, il 5,1% nel 2018, il 5,2% nel 2023. Una discesa della percentuale nel decennio c’è, ma come si vede è abbastanza contenuta.

UBS-CS, fari accesi sull’integrazione e sui risultati

Il settore bancario è chiaramente una parte rilevante della piazza finanziaria svizzera e nel settore uno dei temi principali resta inevitabilmente quello dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. La prima banca elvetica per dimensioni che acquista la seconda caduta in crisi è obiettivamente un capitolo destinato ad attirare molta attenzione, sia in patria sia all’estero. Ora i riflettori sono accesi in particolare sull’attuazione dell’integrazione di CS in UBS e sull’andamento dei conti del nuovo gruppo. L’operazione che sta portando all’unione è di grande taglia ed è per forza di cose non facile, ma passo dopo passo il processo si sta concretizzando e sin qui la gran parte degli analisti e degli operatori ha dato pareri in sostanza positivi sul percorso dell’integrazione. Il giudizio del mercato è rintracciabile anche nella quotazione del titolo UBS, che quest’ultimo venerdì ha chiuso a 25,46 franchi. Rispetto ad un anno fa il valore dell’azione è in crescita del 10%. Ma il progresso è più marcato se si parte dall’annuncio dell’acquisizione di Credit Suisse, nel marzo 2023. In quei giorni il titolo UBS era trattato attorno ai 20 franchi e dopo la notizia ci furono discese sino a 17 franchi. La risalita fu però rapida e il prezzo dell’azione è poi cresciuto - pur con oscillazioni - sino ad un picco attorno ai 28 franchi nei mesi scorsi. C’è stata sin qui, quindi, una valutazione sostanzialmente positiva sul cammino del gruppo guidato dal CEO Sergio Ermotti. In collegamento con l’integrazione del CS c’è ovviamente la partita dei risultati, influenzati appunto non solo dall’andamento delle attività ma anche dalle mosse derivanti dalla maxi operazione. In attesa di vedere come è andato il terzo trimestre di quest’anno (i dati relativi ci saranno a fine ottobre), occorre dire che i risultati del secondo trimestre hanno superato le attese della maggior parte degli analisti. UBS ha realizzato nel periodo aprile-giugno un utile netto di 1,13 miliardi di dollari. Nello stesso periodo del 2023 l’utile netto era stato di 27,33 miliardi di dollari, ma quest’ultimo è un risultato non comparabile, in quanto dilatato da effetti contabili legati appunto all’acquisizione di Credit Suisse. Dopo la perdita dell’ultimo trimestre 2023, UBS era tornata ad un profitto netto di 1,75 miliardi di dollari nel primo trimestre di quest’anno. Nel complesso dei primi sei mesi del 2024 UBS ha dunque realizzato un profitto netto di 2,89 miliardi di dollari. I risultati ottenuti sino a metà 2024 hanno avuto in sostanza il gradimento del mercato. E molti operatori hanno valutato positivamente anche il fatto che UBS abbia confermato l’obiettivo di riacquisto di azioni proprie (un modo in più per remunerare gli azionisti) sino ad un massimo di 1 miliardo di dollari nel 2024; al 9 agosto scorso erano già state riacquistate azioni per 467 milioni di dollari. Se a ciò si aggiunge che è stato integralmente rimborsato il sostegno straordinario di liquidità fornito al Credit Suisse dalla Banca nazionale svizzera e che i rischi derivanti da alcune attività dello stesso CS sono stati drasticamente ridotti, come ha precisato Ermotti, si può avere il quadro dei fattori che hanno portato al gradimento del mercato. Un aspetto difficile, e per alcuni aspetti anche doloroso, è quello dei tagli alle strutture e degli organici, motivati dalla necessità di evitare sovrapposizioni e costi eccessivi nel nuovo gruppo. Nel contesto della riorganizzazione complessiva, entro la fine del 2026 in Svizzera dovrebbero rimanere 190 sedi, cioè un numero simile a quello che UBS aveva prima dell’acquisizione; larga parte delle 95 sedi di Credit Suisse uscirà di scena e lo stesso accadrà forse per alcune di UBS. In molte sedi verranno riunite le attività delle due banche. La riduzione graduale degli organici prosegue. A fine giugno di quest’anno gli addetti del nuovo gruppo a livello mondiale erano 109 mila, contro i 119 mila di un anno prima.