La politica fiscale svizzera si prepara alla fase due

Per sostenere imprese e lavoratori alle prese con le chiusure forzate legate alla pandemia, il Consiglio federale ha stanziato finora un pacchetto di aiuti da circa 65 miliardi di franchi che, grazie alla sua rapidità ed efficacia, ha fortemente contribuito ad arginare l’aumento della disoccupazione e dei fallimenti aziendali. Tuttavia, con la riapertura delle attività, aiuti straordinari come la garanzia sui prestiti per le imprese (che hanno assorbito 42 miliardi) o l’orario di lavoro ridotto verranno gradualmente meno. Nascono diversi interrogativi riguardo a come Confederazione e Cantoni dovrebbero gestire la politica fiscale nei prossimi mesi. Proprio di questi temi si è occupata una conferenza virtuale organizzata dalla SUPSI con diversi esperti. La spesa pubblica infatti è un importante strumento per rilanciare l’economia in momenti di crisi, e la maggior parte degli economisti sono convinti che la ripresa del 2021 non basterà a coprire i buchi di quest’anno. D’altra parte l’aumento del debito prima o poi andrà gestito e compensato.
La Svizzera ha dieci anni di crescita alle spalle, con conti statali e un debito pubblico invidiabile (attorno al 32% del PIL - la media UE supera l’80%). Quindi in teoria i margini di manovra per ulteriori aiuti al settore privato non mancano. I dubbi nascono sulle modalità migliori da utilizzare. Come sottolineato da Christian Vitta, consigliere di Stato e direttore del DFE, l’accresciuta necessità di risorse finanziarie da parte di tutti gli Stati porterà probabilmente a un rinnovato dibatto internazionale sulle riforme fiscali secondo il principio che «si tassa dove si consuma», il che avrebbe delle ripercussioni anche per le grandi imprese elvetiche. Al contempo la Svizzera durante la crisi da COVID-19 ha dimostrato una grande efficienza e resilienza: «Questo, se abbinato ad una fiscalità interessante potrebbe rafforzare la nostra attrattività per le persone facoltose di altri Paesi», ha aggiunto. Infine c’è la questione dei frontalieri: «L’accordo con l’Italia per il periodo di lockdown è pragmatico. Resta aperta la questione della lettera d’intenti per un accordo fiscale firmata nel 2015: Lombardia e Ticino hanno dato un segnale forte, ora sta a Berna e Roma arrivare a una soluzione».
Meno tasse o più tasse?
Guardano alla Svizzera, una delle principali domande è come utilizzare la leva fiscale. Secondo il consigliere nazionale e presidente AITI Fabio Regazzi non ci sono dubbi: la politica fiscale del dopo-COVID deve avere il compito di lasciare maggior margine di manovra alle aziende affinché riescano a fare gli investimenti necessari per garantire l’innovazione, uno degli ingredienti chiave della competitività svizzera nel mondo. Questo ad esempio tramite una riduzione del prelievo fiscale per le aziende su utili e dividendi, o con l’eliminazione della tassa da bollo. A livello di persone fisiche si può pensare a sgravi sulle imposte sul patrimonio (molto elevate in Ticino) oppure a semplificare le imposte di successione.
Anche per il consigliere agli Stati Marco Chiesa bisogna pensare a degli alleggerimenti fiscali per rilanciare l’economia. Ad esempio con una riduzione o esenzione temporanea (come fatto in Germania) dell’IVA, soprattutto per settori come gastronomia e turismo, fortemente colpiti dal virus. Oppure incentivare il turismo in Svizzera con delle sovvenzioni. Oppure ancora allargare le maglie della tassazione globale. «Insomma - ha spiegato Chiesa - obiettivamente i margini di manovra di politica fiscale non ci mancano. C’è una responsabilità individuale e anche nei prossimi mesi sarà necessario dimostrare che siamo una Willensnation».
Per la consigliera agli Stati Marina Carobbio Guscetti invece, gli sgravi fiscali sono da escludersi. «Proprio perchè non sono stati introdotti in passato, le finanze pubbliche oggi ci hanno permesso di affrontare la crisi in modo così solido», ha spiegato. D’altra parte per finanziare i costi dell’intervento pubblico va esclusa una maggiore imposizione delle economie domestiche, che sarebbe controproducente per la ripresa. Piuttosto si potrebbe pensare a una misura temporanea quale un fondo di crisi finanziato dalla tassazione più elevata sui dividenti, sui beni patrimoniali o sulle successioni patrimoniali. Anche una riflessione sul ruolo della BNS è necessaria. «A priori però la politica fiscale si sovrappone con quella finanziaria: da come gestiremo i meccanismi del freno all’indebitamento dipenderanno anche le misure di politica fiscale del breve-medio termine».
Volano per il rilancio
La spesa pubblica tra l’altro, come ha ricordato la docente di economia presso USI e SUPSI Amalia Mirante, ha il vantaggio rispetto ai tagli delle tasse di favorire in modo più specifico le categorie di imprese o di cittadini maggiormente colpiti dalla pandemia, in tempi brevi. «In Ticino l’economia si basa molto su settori colpiti quali ristorazione, commerci e cultura. Sono settori che utilizzano più lavoro che capitale. Da una parte sono i primi a dover essere aiutati, dall’altra è importante prevedere aiuti specifici per investimenti strutturali come in macchinari o tecnologia che nel medio periodo aiutino a creare posti di lavoro».
E infine, per il professore della SUPSI Marco Bernasconi due sono le tematiche fondamentali da non perdere d’occhio. La prima è la tutela delle economie domestiche maggiormente colpite tramite maggiori esenzioni fiscali per redditi bassi, per una elementare questione di solidarietà. Purtroppo infatti le fila per ricevere un pasto caldo si stanno ingrossando. L’altra è pensare a delle misure contingenti per recuperare il gettito fiscale in calo quest’anno e l’anno prossimo. Ad esempio eliminare la riduzione del moltiplicatore cantonale, eliminare la concorrenza fiscale tra cantoni, pensare a un’amnistia fiscale con un recupero di 2-5 anni invece che dieci, e infine, in Ticino, chiedere a Berna di partecipare ai ristorni in materia di frontalieri pagati a Roma.