Il caso

La sconfitta di Robinhood

Il crollo delle Borse nel 2022, unito a ciò che sta succedendo nel resto del mondo, ha fatto perdere ai piccoli trader non soltanto soldi ma anche quell’entusiasmo che ai tempi di GameStop sembrava potesse battere la grande finanza
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Stefano Olivari
28.10.2022 13:00

Nessuno è in grado davvero di dire se l’era COVID sia finita, mentre è certo che sia terminata quella del trading finanziario da COVID, inteso come attività semiprofessionistica. Una moda nata con milioni di persone di media cultura finanziaria tappate in casa per il lockdown e morta adesso con il crollo del mercato azionario: gli ultimi dati delle varie piattaforme dicono di un meno 20% di operatività quotidiana rispetto a un anno fa. Il popolo di Robinhood si sta quindi leccando le ferite, pare che ancora una volta i ricchi veri abbiano vinto.

La moda di Robinhood

È relativamente recente, con inizio nel 2013, la storia della piattaforma simbolo del piccolo investitore che armato soltanto del suo computer e dei consigli raccolti nei forum specializzati ha operato su azioni, materie prime, obbligazioni, valute, indici, con una frequenza più che compulsiva. Il modello ‘zero commissioni’ ha subito fatto presa, inducendo a una operatività che mai si era vista nella storia degli investitori privati. E proprio Vladimir Tenev, l’amministratore delegato di Robinhood, ha dichiarato che in questo scorcio di 2022 i clienti parlano più dell’inflazione e del prezzo del gas che delle azioni da cavalcare, come invece avveniva nel pieno della pandemia. In altre parole le azioni sono un po’ passate di moda, anche nelle conversazioni da bar virtuali. Reali sono stati invece i tagli di Robinhood, con una reattività davvero all’americana: nel solo agosto è stato messo alla porta, con il non metaforico scatolone, il 23% dei dipendenti. Il nuovo fronte è quello delle criptovalute, che Robinhood permette di trattare senza un proprio wallet, ma anche il mondo crypto sta subendo i danni di questo cambio di gusti del pubblico.

Solo rialzisti

La crisi del trading online e in generale dell’investimento in Borsa è difficile da spiegare in termini razionali, perché la maggior parte delle piattaforme evolute permette di vendere allo scoperto (scommettendo sul ribasso di un titolo) e quindi per vivere di trading non è necessario un mercato rialzista, anzi, è sufficiente un mercato vivace e pieno di cambi di direzione. La verità, che i grossi investitori conoscono bene, è che quando il mercato inizia a essere popolato da piccoli trader allora diventa implicitamente rialzista. Per motivi culturali, perché non tutti sanno come guadagnare da un titolo che scende, ma anche psicologici: il brivido di scegliere un’azione sottovalutata dal mercato e di cavalcarla ha pochi eguali, per chi è appassionato di finanza. Va da sé, quindi, che la testa del trader fai-da-te sia rialzista e che spesso non sappia gestire i cali delle azioni in suo possesso. Anzi, proprio non li accetta, tenendosi in portafoglio titoli morti perché «saliranno». Sta di fatto l’indice S&P 500, che inizio gennaio era 4.796, ieri era 3.818: meno 20,3%.

Tradimento tech

I titoli tecnologici sono quelli più sensibili a un periodo di rialzo dei tassi e quest’anno per loro è stato un disastro, che è entrato nella testa degli investitori visto che queste aziende, da Apple a Tesla, sono quelle che interessano anche a chi non investe nemmeno un dollaro. Meta meno 70,4% (il metaverso non ha portato bene) rispetto a inizio gennaio, Tesla meno 43,6, Alphabet-Google meno 36,1, Amazon meno 34,7, Microsoft meno 32,3, Apple meno 20,3: un massacro, e stiamo parlando di aziende che vanno bene. Sono state soprattutto loro e mettere in crisi la strategia delle strategie, quella chiamata buy-the-dip, cioè comprare un titolo nelle fasi di suo ribasso nella certezza, se l’azienda è sana, che presto tornerà in alto. Ecco, nel 2022 questa strategia non ha funzionato: a rimbalzi di breve respiro sono seguiti ribassi ulteriori, con un calo medio che non si riscontrava dal 1931: in altre parole, per trovare una situazione peggiore bisogna risalire agli anni della Grande Depressione. Male per gli investitori, che però possono sempre sperare in un orizzonte temporale più lungo, malissimo per i day-trader che nella gran parte dei casi hanno avuto rimbalzi inferiori alle perdite. Non sono opinioni: secondo gli analisti di Vanda Research il trading intragiornaliero dei privati, definito dal volume giornaliero di dollari, è sceso a livelli che non si vedevano dal gennaio 2020, prima della pandemia. E secondo Deutsche Bank l'attività dei singoli trader nelle opzioni call rialziste, per trarre profitto da un'impennata dei titoli, è crollata ai livelli più bassi degli ultimi due anni.

GameStop

La Borsa, l’economia e il mondo non sono certo finiti, mentre non esiste più quello spirito ribelle che fino a pochi mesi fa aveva portato i piccoli trader e lottare contro il sistema. Uno spirito alla base della clamorosa storia di GameStop del gennaio 2021, di recente raccontata da un documentario su Netflix (Eat the rich, la saga GameStop). In breve: un’azienda in crisi, come può esserlo una che nel mondo di oggi vende videogiochi in negozi fisici, che viene messa nel mirino dai grandi speculatori attraverso vendite allo scoperto, attirando l’interesse di tanti piccoli trader in contatto fra di loro attraverso gruppi di Reddit. Alcuni popolarissimi come WallStreetBets, altri che sono la nicchia della nicchia, ma tutti accomunati dalla voglia di vendicarsi di tutte le perdite causate loro dalle manovre sporche della grande finanza. Questi trader piccoli si passarono parola per acquistare un titolo su cui i trader grandi speculavano al ribasso ed in pochi giorni le azioni passarono da un valore di 5 dollari ad uno di 483, causando potenziali perdite astronomiche ai ribassisti, che così furono indotti ad acquistare il titolo facendolo quindi correre ancora di più. La fine è nota: Robinhood tradì il suo popolo, bloccando improvvisamente il tasto buy per Gamestop visto che non aveva liquidità per compensare tutte le operazioni (che ai nostri occhi sono istantanee, ma che in realtà sono differite), e da lì iniziò la discesa e poi il crollo delle azioni. Certo chi le aveva prese a pochi dollari e poi vendute oltre i 400 ci guadagnò tantissimo, ma per la maggioranza non è andata così. Comunque GameStop non è fallita ed oggi vale 25,6 dollari ad azione, il quintuplo rispetto al gennaio 2021 nonostante tutto ciò che è successo quest’anno. I piccoli trader dal punto di vista contabile hanno perso (tutti quelli che hanno comprato a più di 25,6 e non hanno venduto in tempo) ma in un certo senso hanno anche vinto. Ma quell’epoca, cronologicamente così vicina, è ormai lontanissima.