Convegno

La sostenibilità, una necessità e opportunità economica

Il tema dell’impatto delle politiche per moderare il riscaldamento climatico al centro della 21.edizione di «confronti» - I cambiamenti dei modi di consumare e produrre avranno delle conseguenze anche sulle professioni del futuro
I relatori della conferenza organizzata ieri all’USI di Lugano. ©Tipress/Crinari
Generoso Chiaradonna
04.12.2024 00:00

Lo sviluppo ambientalmente sostenibile ed economicamente equilibrato non è una moda passeggera. È una necessità per garantire un futuro adeguato alle generazioni presente e future. La transizione energetica implica anche dei cambiamenti dal punto di vista in primis dei modelli di consumo, ma anche dei processi produttivi. Dalla trasformazione in atto scaturiranno vincitori e vinti ma anche delle opportunità imprenditoriali e lavorativi. E proprio su questo tema - quello dei green jobs - si è incentrata la 21.ma edizione di «confronti 2024», organizzata dall’IRE, l’Istituto di ricerche economiche dell’Università della Svizzera italiana (USI). Il tema era su «quali strategie per un Ticino sostenibile, competitivo e inclusivo?».

«Uno spazio di discussione pubblica con il territorio e i suoi attori istituzionali su temi rilevanti dell’economia», l’ha definito la professoressa Luisa Lambertini, rettrice dell’USI. «La transizione ecologica e tecnologica», ha proseguito la professoressa Lambertini, «è un motore di sviluppo». E il cambiamento in questo senso «non è un’opzione, ma una necessità condivisa per garantire un futuro prospero alle generazioni future».

La professoressa Barbara Antonioli Mantegazzini, vicedirettrice dell’IRE, ha ricordato come l’obiettivo di contenere i riscaldamento climatico tra 1,5° C. e 2° C. rispetto all’epoca pre-industriale (fissata al 1850, ndr) porta con sé anche la necessità di adeguare la struttura produttiva. L’economia mondiale, ha sottolineato la professoressa Antonioli Mantegazzini, consuma ancora troppi combustibili fossili per la produzione primaria di energia. A livello globale l’81% dell’energia primaria è prodotta da derivati del petrolio o dal carbone. Nell’Unione europea il consumo di fonti fossili, ha precisato, è in diminuzione (si è 68% del totale) ma ancora non basta. La Svizzera è bene integrata nella politica europea con la cosiddetta strategia 2050, ovvero l’azzeramento delle emissioni di CO2 nell’ambiente. «È ben posizionata rispetto agli obiettivi europei anche grazie a una quota importante di energia prodotta dalle centrali idroelettriche.

La sfida però non è solo quella di creare posti di lavoro, «ma sviluppare professioni sicure, stabili e in grado di generare valore in un contesto responsabile e inclusivo».

Al centro del cambiamento emergono le professioni verdi (green jobs), destinate a diventare la spina dorsale di un’economia dove crescita e sostenibilità avanzano insieme. Un processo che inevitabilmente lascerà per strada anche dei perdenti. Alcune professioni tradizionali definite dal professore Francesco Vona, dell’Università statale di Milano, «brown» andranno incontro a declino progressivo e inesorabile. Quali professioni sopravvivranno? E quali quelle che emergeranno nel prossimo futuro?

Chi vince e chi perde

Francesco Vona ha ricordato al pubblico intervenuto ieri mattina presso l’Aula Magna del Campus Ovest dell’USI la necessità di calcolare un indice di qualità che definisca in modo il più possibile oggettivo cosa è verde e cosa no. Un indicatore, ha spiegato, in grado di calcolare quali professioni verranno impattati dalla transizione verde e soprattutto quali competenze sviluppare per permettere anche una transizione di carriera. Se un minatore di carbone, per esempio, ha il destino segnato, non è così per l’impiegato amministrativo di un’acciaieria che ha più possibilità di riorientarsi verso il settore verde. Un’altra domanda di fondo è anche quella dell’attrattività salariale dei mestieri legati alla green economy. Anche la politica economica, quindi le scelte pubbliche, ha un ruolo importante per evitare «un rischio di populismo contrario alla transizione verde». Da qui la necessità di una reindustrializzazione europea su basi green.

La riflessione è poi proseguita con Moreno Baruffini, ricercatore post-doc all’IRE, che ha portato il discorso sulla misurabilità dell’impatto della transizione verde a una scala nazionale. «Molto probabilmente settori come l’edilizia e l’energia vedranno una forte crescita della domanda di lavoro, grazie all’aumento degli investimenti in efficienza energetica e nelle energie rinnovabili. Tuttavia, la graduale eliminazione delle fonti di energia fossile potrebbe ridurre l’occupazione in alcuni ambiti che richiedono molta manutenzione, come quello dei combustibili fossili».

Una tavola rotonda con Nicola Bagnovini (SSIC-TI); Daniela Farrace, CIO di AEM; Tatiana Lurati Grassi, Ufficio della formazione continua e dell’innovazione e Gianluca Pagani, CSR manager presso la Camera di Commercio ha chiuso la giornata con uno sguardo locale sulle dinamiche globali.