La «tempesta» sui bond è segno di un ritorno alla «normalità»
Negli scorsi giorni sul mercato delle obbligazioni di Stato si è abbattuto ciò che gli operatori non esitano a definire un «bond storm». Al centro della «tempesta» si trovano i Gilt del Regno Unito, il «sell-off» dei quali ha fatto salire i rendimenti sulla scadenza a 10 anni ai massimi del 2008, poco sotto il 5%. La situazione è simile anche sull’altra sponda dell’Atlantico, con i rendimenti sui Treasury a 10 anni che hanno raggiunto quota 4,80%, registrando una salita di oltre 100 punti base nello spazio di pochi mesi e nonostante i tre tagli consecutivi, per totali 100 punti base, dei tassi sui Fed Funds effettuati dalla Federal Reserve. «Per molti aspetti, stiamo tornando alla normalità sui mercati obbligazionari, dove la curva dei rendimenti è inclinata positivamente (cioè i tassi d’interesse a breve termine sono più bassi rispetto a quelli a lungo, ndr). In questo contesto stiamo assistendo anche a un ritorno a rendimenti reali positivi, nel senso che la differenza tra il rendimento effettivo delle obbligazioni e l’inflazione è positiva», commenta in prima battuta Daniel Murray, CEO di EFG Asset Management Switzerland e Global Head of Research del gruppo bancario zurighese. «Dopo la crisi finanziaria globale del 2008 ci siamo abituati a un mondo in cui i tassi di riferimento stabiliti dalle banche centrali erano pari o inferiori allo zero in molte parti del mondo e le curve dei rendimenti erano piatte o invertite. Tutto ciò era semplicemente anormale», aggiunge, osservando che «se la Fed riuscirà a far scendere l’inflazione al 2%, ci si aspetta che il tasso a breve si assesti intorno al 3,5%».
Tornando alla «tempesta» che stanno vivendo i mercati finanziari d’oltre Manica, l’analista di EFG spiega che«c’è stato sicuramente un premio richiesto dal mercato per l’acquisto di Gilts, in parte perché l’inflazione nel Regno Unito è piuttosto persistente ed elevata, soprattutto nei servizi. La Bank of England (BoE) ha dichiarato di volersi concentrare su questa e ciò aiuta a spiegare perché la BoE è più allineata alla Fed che alla BCE, cioè meno propensa a tagliare i tassi d’interesse». Si prevede che la Banca centrale europea, confrontata con una situazione congiunturale nella zona euro di sostanziale stagnazione, se non di rallentamento (in Germania, soprattutto), possa effettuare almeno tre riduzioni dei tassi sull’euro quest’anno. In Gran Bretagna, invece, la previsione attuale è per un massimo due interventi, come negli USA. Nel 2024, Banca d’Inghilterra ha effettuato «solo» due tagli, per un totale di 50 punti base, all’attuale livello di 4,75%.
Sullo sfondo, i mercati temono la (debole) crescita economica e l’aumento del debito pubblico nel Regno, una situazione che molti analisti paragonano al crollo del mercato dopo il bilancio di Liz Truss nel 2022. Ancora Murray: «Il premier Keir Starmer e la ministra delle Finanze Rachel Reeves stanno imparando in fretta che non possono limitarsi a proporre una serie di politiche mal definite che “vagano” nella direzione di sostenere la crescita. E allo stesso tempo parlano di aumentare le imposte e di aumentare la spesa per tutti i tipi di servizi, ciò che i governi laburisti amano fare. Devono effettivamente presentare piani credibili e che diano fiducia al mercato».
Dollaro forte, sterlina ai minimi
Tra le «vittime» del bond storm troviamo la sterlina inglese, che continua a perdere terreno sul dollaro: ieri la valuta britannica quotava attorno a 1,21, il valore più basso da ottobre 2023. «A guidare la sterlina a ribasso - oltre all’attuale fase di forza del dollaro, naturalmente - sono sostanzialmente gli stessi fattori che guidano il mercato dei Gilt e quello azionario: gli investitori stranieri stanno ritirando i capitali perché sono preoccupati per lo stato dell’economia britannica ed esprimono una minore fiducia nel governo per portare a termine il lavoro», spiega l’esperto.
A proposto di Borse, chiediamo infine a Daniel Murray un breve parere sul mercato USA, che nel 2024 ha «battuto» quelle di altri Paesi ma i cui indici in questi primi giorni dell’anno stentano a mostrare il segno più: «Negli Stati Uniti assistiamo a un’insolita combinazione fra crescita economica robusta e tassi d’interesse sostenuti, ma ciononostante questo rimane favorevole ai titoli azionari in quanto la dinamica di crescita tende a essere dominante nel medio-lungo periodo».