«Lavorare con la Russia oggi è una corsa a ostacoli»

I rapporti con la Russia si sono fatti difficili a causa delle sanzioni. Con Monica Zurfluh, responsabile Commercio internazionale della Camera di commercio, facciamo un giro d’orizzonte sugli ostacoli che le aziende ticinesi devono affrontare in questo momento.
Quante
sono le aziende ticinesi attive in Russia? Esistono dati sugli scambi
commerciali?
«I
dati esistono e riportano un picco dell’export dal Ticino verso la Russia nel
2018 con 58,2 milioni di franchi per poi diminuire a 54,4 milioni nel 2019 e in
seguito a 51,4 milioni nel primo anno pandemico, pari allo 0,9% dell’export
ticinese. Per quanto riguarda l’import, il picco è stato raggiunto nel 2017 con
5,4 milioni di franchi per poi diminuire negli anni successivi a 4,9 milioni
nel 2020. I dati del 2021 non sono ancora stati pubblicati. Dal nostro
osservatorio rileviamo oltre una sessantina di aziende – principalmente
provenienti dai settori chimico-farmaceutico e MEM, ma anche alimentare,
orologiero e del tessile-abbigliamento – che con intensità diverse esportano o
importano merci verso o dal Paese. Non disponiamo per contro di dati in merito
alle aziende di servizi».
Quali
sono i problemi con i quali ora sono confrontate e quali strategie adottano?
«Le
misure adottate dalla Svizzera sono imponenti e ad ampio spettro, sia
commerciali che finanziarie. Le aziende sono confrontate con molti aspetti e
verifiche da effettuare. Per molte di esse si tratta innanzitutto di capire se
i loro prodotti o servizi così come i loro partner commerciali sono toccati
dalle disposizioni. Le verifiche principali riguardano in particolare i beni a
duplice impiego, ossia quei beni che possono essere utilizzati sia a fini
civili sia militari e le cui esportazioni sono ora vietate indipendentemente
dallo scopo e dal destinatario. Non va inoltre dimenticato che anche i servizi
ad essi connessi, come ad esempio la consulenza tecnica e la manutenzione, sono
vietati».
Ma
ci sono scambi possibili?
«Sì,
perché contro la Russia sono in vigore sanzioni e non un embargo e talune
operazioni commerciali con il Paese sono quindi ancora possibili. Tuttavia
subentra la questione della fattibilità del trasporto e del transito attraverso
l’UE in quanto molte grandi aziende di logistica hanno sospeso i trasporti
verso la Russia e alcuni uffici doganali dell’UE non trattano più le spedizioni
destinate al Paese».
Ma
i pagamenti funzionano?
«Ci
sono problemi: non parliamo unicamente delle numerose persone fisiche, entità e
banche sanzionate o dell’esclusione dallo swift di alcune di queste, ma anche
del fatto che al momento è difficile identificare una banca che accetti di
effettuare operazioni con la Russia. Attualmente assistiamo a merci ferme da
una parte e a lettere di credito bloccate dall’altra. Anche dal lato
assicurativo è tutto fermo. Nei giorni scorsi la stessa Assicurazione svizzera
contro i rischi delle esportazioni SERV ha aggiornato la sua prassi di
copertura per le nuove transazioni e non copre nuove operazioni con la Russia.
Infine, con un decreto emanato la scorsa settimana, Mosca prevede il pagamento
di tutti i debiti esterni in rubli e l’impossibilità di cambiare questi ultimi
in valuta straniera, tutto ciò costituisce una nuova fonte di preoccupazione
per le nostre aziende».
Come
si adattano le aziende?
«Si
è ormai innescata una spirale da cui è difficile uscire. Per quanto riguarda
eventuali strategie, non credo che in questa fase si possa già parlare di
strategie quanto piuttosto di limitare i danni laddove possibile».
Quali
sono i rischi che devono affrontare queste aziende, sia in Occidente, sia in
Russia?
«Ci
sono rischi di diversa natura: finanziaria, legale, di reputazione. Vi sono
casi di merce pronta per la spedizione e che rimane in stock o, ancora peggio,
di merce ferma al porto con le relative conseguenze finanziarie. Per alcune
aziende si tratta ora di analizzare i contratti in essere e valutare se è
possibile rinegoziarli o se, nell’impossibilità di adempiere agli obblighi, si
configura una causa di forza maggiore. Se la situazione persisterà, si aprirà
sicuramente la via della ricerca di nuovi canali d’approvvigionamento e di
sbocco. Operazione, tuttavia, che molte aziende ticinesi sembrano al
momento non voler prendere in considerazione, da un lato vista l’incertezza
della durata della situazione e delle sanzioni, dall’altro visti i buoni
rapporti, e molto spesso di lunga durata, con i loro partner russi».
Quali
sono i rischi maggiori?
«Oltre
alle sanzioni e agli aspetti legati al controllo delle esportazioni, alcune
aziende si trovano ora a dover affrontare anche questioni legate alla
reputazione: per loro non si tratta solo di capire se è ancora possibile fare
affari, ma se devono rispettivamente vogliono ancora farlo. In tal senso
abbiamo già letto che grossi nomi svizzeri hanno cessato, se non altro
temporaneamente, le attività con la Russia. Secondo un rapporto dell’Ambasciata
svizzera a Mosca del giugno 2020 all’epoca vi erano almeno duecento aziende
svizzere in Russia, principalmente attive nei settori farmaceutico, macchine,
orologi e servizi. Il Governo russo si è già espresso in merito ad un
potenziale sequestro e persino alla nazionalizzazione delle aziende di
proprietà straniera che stanno lasciando il mercato, allo stesso tempo sta
pianificando misure per convincere altre a rimanere. Per chi ha deciso di
rimanere si prospettano le difficoltà legate ad esempio agli approvvigionamenti
o al pagamento dei salari dei dipendenti e al finanziamento delle
infrastrutture in loco».
In
cosa consiste la vostra consulenza?
«Innanzitutto
devo fare una premessa, ovvero che il servizio Commercio internazionale in
questa sua nuova veste è operativo da dicembre 2021, quando sono stata chiamata
a dirigerlo. In un contesto generale di incertezza degli scambi internazionali
e delle regole degli stessi, le condizioni quadro si fanno sempre più complesse
anche per quanto riguarda le importazioni. Ecco quindi che, per la prima volta,
alle aziende della Svizzera italiana (la Camera di commercio e dell’industria
serve anche il Moesano) si offre quindi un servizio a 360 gradi sui temi
internazionali. Il nostro supporto nel contesto delle sanzioni è in primis di
informazione e consulenza e sulle verifiche da effettuare, ivi compresa la
fattibilità delle spedizioni. Non dimentichiamo ad esempio che le sanzioni
imposte dall'UE alla Russia e alla Bielorussia stanno causando difficoltà anche
per quanto riguarda i trasporti verso Paesi dell’Asia centrale, come ad esempio
il Kazakistan o l’Uzbekistan, che richiedono il transito su strada o su
ferrovia attraverso queste Nazioni. Laddove necessario facciamo anche da
intermediari con la Segreteria di Stato dell’economia. Di concerto con le Camere
di commercio e dell’industria svizzere abbiamo inoltre preparato una scheda
informativa sugli obblighi contrattuali e le condizioni che consentono di
invocare la forza maggiore. La sessantina di aziende menzionate all’inizio sono
state informate direttamente. Il nostro servizio giuridico è inoltre a
disposizione degli affiliati per delle consulenze mirate».
Quali
sono le altre organizzazioni attive nel loro sostegno, e che tipo di aiuto
forniscono?
«Vi sono diverse organizzazioni: possiamo innanzitutto
citare la SECO, che è il primo contatto per quanto riguarda la portata delle
sanzioni e i controlli alle esportazioni (dual use, beni militari) e si occupa
del rilascio delle autorizzazioni all’esportazione. Vi sono poi
l’organizzazione svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza
economica Switzerland Global Enterprise, e le associazioni nazionali di
categoria, come ad esempio Swissmem».