Guerra in Ucraina

«Lavorare con la Russia oggi è una corsa a ostacoli»

L’Intervista a Monica Zurfluh, responsabile Commercio internazionale della Camera di commercio
©Gabriele Putzu
Roberto Giannetti
15.03.2022 06:00

I rapporti con la Russia si sono fatti difficili a causa delle sanzioni. Con Monica Zurfluh, responsabile Commercio internazionale della Camera di commercio, facciamo un giro d’orizzonte sugli ostacoli che le aziende ticinesi devono affrontare in questo momento.

Quante sono le aziende ticinesi  attive in Russia? Esistono dati sugli scambi commerciali?
«I dati esistono e riportano un picco dell’export dal Ticino verso la Russia nel 2018 con 58,2 milioni di franchi per poi diminuire a 54,4 milioni nel 2019 e in seguito a 51,4 milioni nel primo anno pandemico, pari allo 0,9% dell’export ticinese. Per quanto riguarda l’import, il picco è stato raggiunto nel 2017 con 5,4 milioni di franchi per poi diminuire negli anni successivi a 4,9 milioni nel 2020. I dati del 2021 non sono ancora stati pubblicati. Dal nostro osservatorio rileviamo oltre una sessantina di aziende – principalmente provenienti dai settori chimico-farmaceutico e MEM, ma anche alimentare, orologiero e del tessile-abbigliamento – che con intensità diverse esportano o importano merci verso o dal Paese. Non disponiamo per contro di dati in merito alle aziende di servizi».

Quali sono i problemi con i quali ora sono confrontate e quali strategie adottano?
«Le misure adottate dalla Svizzera sono imponenti e ad ampio spettro, sia commerciali che finanziarie. Le aziende sono confrontate con molti aspetti e verifiche da effettuare. Per molte di esse si tratta innanzitutto di capire se i loro prodotti o servizi così come i loro partner commerciali sono toccati dalle disposizioni. Le verifiche principali riguardano in particolare i beni a duplice impiego, ossia quei beni che possono essere utilizzati sia a fini civili sia militari e le cui esportazioni sono ora vietate indipendentemente dallo scopo e dal destinatario. Non va inoltre dimenticato che anche i servizi ad essi connessi, come ad esempio la consulenza tecnica e la manutenzione, sono vietati».

Ma ci sono scambi possibili?
«Sì, perché contro la Russia sono in vigore sanzioni e non un embargo e talune operazioni commerciali con il Paese sono quindi ancora possibili. Tuttavia subentra la questione della fattibilità del trasporto e del transito attraverso l’UE in quanto molte grandi aziende di logistica hanno sospeso i trasporti verso la Russia e alcuni uffici doganali dell’UE non trattano più le spedizioni destinate al Paese».

Ma i pagamenti funzionano?
«Ci sono problemi: non parliamo unicamente delle numerose persone fisiche, entità e banche sanzionate o dell’esclusione dallo swift di alcune di queste, ma anche del fatto che al momento è difficile identificare una banca che accetti di effettuare operazioni con la Russia. Attualmente assistiamo a merci ferme da una parte e a lettere di credito bloccate dall’altra. Anche dal lato assicurativo è tutto fermo. Nei giorni scorsi la stessa Assicurazione svizzera contro i rischi delle esportazioni SERV ha aggiornato la sua prassi di copertura per le nuove transazioni e non copre nuove operazioni con la Russia. Infine, con un decreto emanato la scorsa settimana, Mosca prevede il pagamento di tutti i debiti esterni in rubli e l’impossibilità di cambiare questi ultimi in valuta straniera, tutto ciò costituisce una nuova fonte di preoccupazione per le nostre aziende».

Come si adattano le aziende?
«Si è ormai innescata una spirale da cui è difficile uscire. Per quanto riguarda eventuali strategie, non credo che in questa fase si possa già parlare di strategie quanto piuttosto di limitare i danni laddove possibile».

Quali sono i rischi che devono affrontare queste aziende, sia in Occidente, sia in Russia?
«Ci sono rischi di diversa natura: finanziaria, legale, di reputazione. Vi sono casi di merce pronta per la spedizione e che rimane in stock o, ancora peggio, di merce ferma al porto con le relative conseguenze finanziarie. Per alcune aziende si tratta ora di analizzare i contratti in essere e valutare se è possibile rinegoziarli o se, nell’impossibilità di adempiere agli obblighi, si configura una causa di forza maggiore. Se la situazione persisterà, si aprirà sicuramente la via della ricerca di nuovi canali d’approvvigionamento e di sbocco. Operazione, tuttavia, che molte aziende ticinesi sembrano al momento non voler prendere in considerazione, da un lato vista l’incertezza della durata della situazione e delle sanzioni, dall’altro visti i buoni rapporti, e molto spesso di lunga durata, con i loro partner russi».

Quali sono i rischi maggiori?
«Oltre alle sanzioni e agli aspetti legati al controllo delle esportazioni, alcune aziende si trovano ora a dover affrontare anche questioni legate alla reputazione: per loro non si tratta solo di capire se è ancora possibile fare affari, ma se devono rispettivamente vogliono ancora farlo. In tal senso abbiamo già letto che grossi nomi svizzeri hanno cessato, se non altro temporaneamente, le attività con la Russia. Secondo un rapporto dell’Ambasciata svizzera a Mosca del giugno 2020 all’epoca vi erano almeno duecento aziende svizzere in Russia, principalmente attive nei settori farmaceutico, macchine, orologi e servizi. Il Governo russo si è già espresso in merito ad un potenziale sequestro e persino alla nazionalizzazione delle aziende di proprietà straniera che stanno lasciando il mercato, allo stesso tempo sta pianificando misure per convincere altre a rimanere. Per chi ha deciso di rimanere si prospettano le difficoltà legate ad esempio agli approvvigionamenti o al pagamento dei salari dei dipendenti e al finanziamento delle infrastrutture in loco».

In cosa consiste la vostra consulenza?
«Innanzitutto devo fare una premessa, ovvero che il servizio Commercio internazionale in questa sua nuova veste è operativo da dicembre 2021, quando sono stata chiamata a dirigerlo. In un contesto generale di incertezza degli scambi internazionali e delle regole degli stessi, le condizioni quadro si fanno sempre più complesse anche per quanto riguarda le importazioni. Ecco quindi che, per la prima volta, alle aziende della Svizzera italiana (la Camera di commercio e dell’industria serve anche il Moesano) si offre quindi un servizio a 360 gradi sui temi internazionali. Il nostro supporto nel contesto delle sanzioni è in primis di informazione e consulenza e sulle verifiche da effettuare, ivi compresa la fattibilità delle spedizioni. Non dimentichiamo ad esempio che le sanzioni imposte dall'UE alla Russia e alla Bielorussia stanno causando difficoltà anche per quanto riguarda i trasporti verso Paesi dell’Asia centrale, come ad esempio il Kazakistan o l’Uzbekistan, che richiedono il transito su strada o su ferrovia attraverso queste Nazioni. Laddove necessario facciamo anche da intermediari con la Segreteria di Stato dell’economia. Di concerto con le Camere di commercio e dell’industria svizzere abbiamo inoltre preparato una scheda informativa sugli obblighi contrattuali e le condizioni che consentono di invocare la forza maggiore. La sessantina di aziende menzionate all’inizio sono state informate direttamente. Il nostro servizio giuridico è inoltre a disposizione degli affiliati per delle consulenze mirate».

Quali sono le altre organizzazioni attive nel loro sostegno, e che tipo di aiuto forniscono?
«Vi sono diverse organizzazioni: possiamo innanzitutto citare la SECO, che è il primo contatto per quanto riguarda la portata delle sanzioni e i controlli alle esportazioni (dual use, beni militari) e si occupa del rilascio delle autorizzazioni all’esportazione. Vi sono poi l’organizzazione svizzera per la promozione delle esportazioni e della piazza economica Switzerland Global Enterprise, e le associazioni nazionali di categoria, come ad esempio Swissmem».

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