L'analisi

Le banche svizzere ancora in alto sul versante gestione patrimoniale

La piazza elvetica sta confermando la sua leadership, le masse amministrate sono a livelli molto elevati anche nel 2024 – I nodi degli anni scorsi e la caduta di Credit Suisse hanno creato ostacoli, che non hanno tuttavia bloccato il cammino rossocrociato
©Gabriele Putzu
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
20.10.2024 23:15

Da anni si parla, all’estero ma talvolta anche in Svizzera, di declino delle attività della piazza bancaria elvetica. Ma i dati indicano al contrario una tenuta di fondo, soprattutto per quel che riguarda il business principale, la gestione di patrimoni. Le cifre mostrano il livello elevato delle masse amministrate dalle banche elvetiche, che stanno conservando la loro leadership internazionale. Questo, nonostante gli ostacoli registrati nei primi due decenni Duemila, ai quali si è sommata tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 la caduta del Credit Suisse, seconda banca svizzera. Caduta che ha portato poi all’acquisizione del CS da parte di UBS, che è ora ancor più prima banca elvetica. La crisi del CS ha creato certo difficoltà, ma nemmeno questo capitolo ha sin qui bloccato il cammino della piazza.

La tenuta

Si diceva dei molti ostacoli degli anni passati. Tra i principali vanno ricordati la fine del segreto bancario per i non residenti, l’incremento della concorrenza di altre piazze, le normative più stringenti, l’aumento dei costi legati alle tecnologie e alle riorganizzazioni. Sono fattori che hanno reso più complicato il quadro per il private banking e per la piazza, ma che non li hanno fermati. La tenuta è stata per alcuni aspetti superiore alle attese. A favore della piazza bancaria elvetica hanno giocato le professionalità qui presenti, un’economia svizzera più resiliente di molte altre, l’affidabilità del sistema Paese, l’attrattività del franco. La crisi di Credit Suisse è stata una battuta d’arresto, ma l’efficienza con cui è stata affrontata, almeno dal marzo 2023 in poi, ha permesso di procedere. Il CS ha registrato ingenti deflussi, ma questi in una serie di casi sono con ogni probabilità diventati afflussi per altre banche rossocrociate.

I dati

Dal Barometro bancario 2024 dell’Associazione svizzera dei banchieri (Swiss Banking) emerge che a fine maggio di quest’anno i patrimoni gestiti dalle banche elvetiche erano pari a circa 9 mila miliardi di franchi, circa l’8% in più rispetto a fine 2023. Il buon andamento dei mercati finanziari ha favorito l’aumento, ma senza una tenuta nella capacità di gestione e nell’affidabilità sarebbe stato difficile raggiungere questi livelli. Il meccanismo d’altronde era già emerso negli anni precedenti. Nel 2011 i patrimoni gestiti erano calati a 5.245 miliardi, come conseguenza sia delle frenate dei mercati sia degli attacchi internazionali alla piazza elvetica. Ma dal 2012 è iniziata una risalita che ha portato sino ai 7.286 miliardi del 2017. Quindi la discesa a 6.908 miliardi nel 2018 e la nuova ascesa sino al picco degli 8.833 miliardi nel 2021. Poi una flessione a 7.846 miliardi nel 2022, a seguito di turbolenze sui mercati, con una successiva risalita sino a 8.391 miliardi nel 2023 e un’ulteriore avanzata nella prima metà di quest’anno.

Alla fine del 2023 i patrimoni dei clienti stranieri erano circa il 45% del gestito totale, con circa il 55% invece della clientela svizzera. Nel 2013 la percentuale della clientela straniera era del 51%, c’è stata dunque una discesa di questa quota. Ciò non vuol dire peraltro che la massa gestita dei clienti stranieri non sia cresciuta in valori assoluti. Il punto è che la massa gestita con targa elvetica è cresciuta di più. Il motivo principale è l’effetto valutario, in altre parole il rafforzamento del franco che ha eroso gli attivi in altre monete, in particolare euro e dollari USA, che sono più rilevanti per i clienti stranieri. Bisogna poi tenere in conto che ci sono stati scudi e amnistie fiscali, che hanno determinato rimpatri di attivi. Nonostante tutto questo, la quota dei patrimoni stranieri resta importante, seppur limata. Occorre anche rilevare che nel wealth management transfrontaliero, che tocca la gestione di patrimoni privati stranieri di dimensioni rilevanti, la piazza elvetica rimane prima al mondo, nonostante una riduzione della sua quota di mercato.

Le monete

Rimanendo sul terreno delle valute, può essere interessante anche vedere più nel dettaglio il peso delle singole monete nella gestione di patrimoni delle banche svizzere. Le cifre del Barometro bancario indicano che al termine del 2023 il franco svizzero contava nei portafogli in deposito per più della metà, per l’esattezza per il 53,4%, in aumento rispetto al 51,1% del 2018. Il dollaro statunitense per la sua parte contava per il 26,7%, in lieve flessione in rapporto al 26,8% di cinque anni prima. L’euro contava per il 13,1%, in discesa rispetto al 14,8% del 2018. Altre valute contavano nel complesso per il 6,8% alla fine dell’anno passato, contro il 7,3% di cinque anni prima. La quota del franco aumenta ancora, seppur con gradualità.

Quella forza di fondo della valuta che caratterizza la Confederazione

Tra analisti ed operatori ora ricompare la domanda: sino a quale livello salirà il franco? È un quesito che riemerge periodicamente e che adesso trae nuovo alimento dall’ulteriore prova di forza della valuta elvetica negli ultimi mesi. La domanda ha risvolti diversi a seconda di chi la pone. Può essere segno di preoccupazione per le imprese elvetiche esportatrici, che vedono i loro beni costare di fatto di più. Può invece essere segno di soddisfazione per gli investitori, svizzeri e/o esteri, che in un modo o nell’altro hanno puntato le loro carte sul rafforzamento del franco. Se si prendono i cambi con le due monete principali, euro e dollaro USA, le cifre sono chiare. Alla chiusura di venerdì scorso, per 1 euro ci volevano 0,93 franchi, un rapporto che per la moneta unica europea è molto vicino al minimo degli ultimi dodici mesi, a 0,92 franchi. In un anno l’euro ha perso sul franco lo 0,5%. Una percentuale piccola, che però non deve trarre in inganno: già un anno fa la moneta svizzera era molto forte e quindi la speranza di molti esportatori elvetici era che scendesse un po’, ma questo non è avvenuto. La soglia di cambio dell’1,20, abbandonata ad inizio 2015, è un lontano ricordo e l’ultima volta che si è visto un cambio attorno a 1,10 è stato nella primavera del 2021. Il discorso è analogo per il dollaro USA. Questo venerdì per 1 dollaro ci volevano 0,86 franchi, un cambio vicino al minimo dell’ultimo anno, a 0,83. Negli ultimi dodici mesi la valuta statunitense ha perso il 3% sul franco. Una discesa non enorme che però, di nuovo, è avvenuta partendo da valori che erano già alti per la moneta elvetica. Anche qui, speranza delusa per l’export svizzero e soddisfazione invece per gli investitori pro franco. L’ultima volta che si è visto un cambio dollaro/franco attorno all’1 a 1, considerato in anni passati un possibile equilibrio tra le due valute, è stato nell’autunno del 2022. Per cercare di capire cosa potrebbe accadere di qui in poi, occorre tenere in conto gli elementi principali che giocano a favore o contro un ulteriore rafforzamento del franco. A favore ci sono fattori di fondo: la solidità del sistema Paese e dell’economia svizzeri, i conti pubblici in ordine della Confederazione, le incertezze a livello internazionale, soprattutto sul versante geopolitico. Essendo imprevedibile quest’ultimo, contro il rafforzamento del franco gioca in pratica solo un fattore principale: la politica della Banca nazionale svizzera (BNS). Questa cerca di frenare il franco con i tassi di interesse bassi e gli acquisti di valute estere. L’inflazione elvetica è in calo e dunque la BNS ora sta tagliando i tassi. Quanto agli acquisti di monete estere, questi potrebbero riprendere quota. Questa configurazione porta molti analisti a ritenere che nel breve e medio periodo il franco potrebbe rimanere più o meno agli attuali livelli, smettendo di salire. Ciò, appunto, come conseguenza della linea della BNS, che sta ora nuovamente contrastando l’ascesa della valuta elvetica, dopo aver rinunciato nel biennio 2022-2023 a combatterla, perché il superfranco era un contributo nella lotta all’inflazione. Per quel che riguarda il lungo periodo, però, gli stessi analisti indicano la difficoltà di prevedere stop o discese per il franco, in quanto i fattori di fondo sopra citati probabilmente continueranno a lavorare per rialzi. L’azione della BNS insomma serve a ritardare, a diluire nel tempo le ascese del franco, ma non può fermare completamente queste, almeno sino a quando la solidità del sistema Paese esiste e spinge la moneta. Ciò è un bene o un male per la Svizzera? Ci sono vantaggi e svantaggi, ma l’esperienza mostra che nel complesso i primi prevalgono. È vero che l’export elvetico di merci e servizi ha ostacoli in più, ma è altrettanto vero che l’import svizzero è meno caro, che l’inflazione può essere meglio contenuta, che la piazza bancaria e finanziaria rossocrociata ha spesso aumentato la sua attrattività anche grazie alla forza della valuta.