Innovazione

Le imprese svizzere «snobbano» lo Stato

Nella Confederazione appena un’azienda su dieci beneficia di sostegni pubblici per migliorare o creare nuovi prodotti
Il 41,8% delle imprese in Svizzera è considerata innovativa (in Ticino circa il 33%). © CdT/Chiara Zocchetti
Dimitri Loringett
13.08.2024 23:15

La capacità di innovare di un’azienda è fondamentale per rimanere competitiva sul mercato e crescere. Ancora meglio, almeno sotto certi punti di vista, se tale capacità è espressa senza l’intervento dello Stato. In Svizzera, tra le imprese considerate innovative (il 41,8% del totale, stando ai rilevamenti dello Swiss Innovation Survey, SIS), i nove decimi investono in ricerca e sviluppo – cioè innovano – con i propri mezzi o altre forme di cooperazione, mentre soltanto l’11% beneficia di sostegni pubblici. Anche in Ticino si riscontrano dati simili, sebbene la quota di aziende innovative sia leggermente inferiore a quella nazionale (attualmente poco più del 33%). Questi i dati salienti, elaborati dall’Ufficio di statistica cantonale (Ustat) e relativi al triennio 2018-2020, emersi dall’ultima indagine SIS condotta dal Centro di ricerche congiunturali del Politecnico di Zurigo (KOF).

Indagine che propone anche una «graduatoria» fra i diversi tipi di sostegno pubblico richiesti: conoscenze tecnologiche, risorse finanziarie, risorse umane e accesso ai mercati. Ebbene, per il 43,3% delle aziende svizzere interrogate dal KOF, le risorse finanziarie sono il principale motivo per richiedere un sostegno all’innovazione. In Ticino la percentuale è di molto superiore (67,5%), un dato che va però messo in relazione sia con la dimensione delle imprese nella regione svizzeroitaliana, generalmente più contenuta rispetto ad altre aree del Paese, sia con l’ancora relativamente giovane ecosistema dell’innovazione che si sta ancora sviluppando in termini di finanziamenti privati di rischio (venture capital), che sono una componente essenziale nel «motore» dell’innovazione.

«I dati rilevati dallo SIS non mi sorprendono, ma sono comunque tendenzialmente virtuosi», commenta al CdT il professor Emanuele Carpanzano, direttore Ricerca, sviluppo e trasferimento della conoscenza presso la Supsi. «L’innovazione è una dimensione imprescindibile per un’azienda – continua – ma è difficile poter mantenere un’attività economica e nello stesso tempo innovare: il mercato è molto competitivo e, dato anche il tessuto imprenditoriale svizzero rappresentato prevalentemente da piccole o medie imprese (PMI), il tempo e le risorse, soprattutto quelle umane, per investire in progetti più complessi con partner esterni scarseggiano. È normale quindi che le attività di ricerca e sviluppo si facciano “in casa”».

La quota aziende innovative che negli ultimi cinque lustri ha usufruito di un sostegno pubblico per la loro attività di innovazione presenta un andamento altalenante ma tendenzialmente in aumento. E perlopiù si tratta di sostegni «interni», ovvero erogati da entità regionali/nazionali o federali. Fra i primi, ci sono le agenzie per l’innovazione, come ad esempio Fondazione Agire in Ticino, che eroga servizi a imprese per progetti innovativi; fra i secondi, l’attore di riferimento è Innosuisse, l’Agenzia federale per la promozione dell’innovazione apprezzata per il suo modello operativo che «mette in rete» le imprese con gli istituti di ricerca delle università, delle scuole professionali (SUP) e degli enti pubblici, creando un «circolo virtuoso» di ricerca e sviluppo che, soprattutto, è misurabile in termini di innovazione portata nella società e, nei casi migliori, sul mercato.

In Ticino, la Supsi è molto attiva nell’ambito dei progetti finanziati da Innosuisse con una media di una cinquantina l’anno (su oltre 400 complessivi). Nel 2022 la SUP svizzeroitaliana ha infatti beneficiato di finanziamenti da questo ente per poco più di 8,5 milioni di franchi, pari al 18% del totale dei fondi di ricerca ottenuti (48 milioni) dall’intera organizzazione. «Ci si potrebbe interrogare sulla necessità di un supporto pubblico più ampio», osserva ancora Carpanzano, riferendosi ai fondi di cui Innosuisse dispone annualmente, in media attorno ai 350 milioni di franchi che rappresentano però «appena» l’1,4% circa del bilancio complessivo che la Confederazione investe per la ricerca e sviluppo (attorno ai 25 miliardi di franchi). Per il responsabile della Ricerca alla Supsi, anche solo raddoppiare questa cifra, a 700 milioni quindi, «non sarebbe un’operazione impropria, benché difficilmente attuabile, perlomeno politicamente, nell’attuale contesto congiunturale. Ma se guardiamo il volume dell’attività economica innovativa che svolgono le aziende svizzere, appare evidente che le risorse di cui dispone il programma Innosuisse sono piuttosto limitate».

Il pensiero corre soprattutto ai progetti ad alta intensità tecnologica, che costano molto e richiedono molto tempo per essere realizzati. «A parte aumentare i fondi a disposizione – aggiunge il professor Carpanzano – sarebbe utile accelerare o snellire alcuni processi (ad esempio per la preparazione dei dossier di candidatura dei progetti, ndr) e disporre anche di strumenti o programmi di finanziamento più agili – che magari sarebbero anche meno impegnativi sul piano finanziario – al fine di coinvolgere maggiormente le PMI».

E per coinvolgere maggiormente le realtà imprenditoriali ci viene da dire che forse si potrebbe fare di più sul piano comunicativo. «L’azione divulgativa relativa ai programmi di sostegno all’innovazione è sicuramente un’azione importante», risponde Emanuele Carpanzano, che ci conferma l’impegno dell’istituto in questo senso. «D’altronde, quattro progetti Supsi su cinque sono a mandato diretto, cioè finanziati dalle aziende stesse e senza contributi pubblici, il che dimostra anche che l’esigenza di innovare c’è. Ma ritengo che si potrebbe fare di più – o meglio – anche con i programmi di sostegno pubblico», conclude.