Energia

Le quotazioni del petrolio sono guidate dalla geopolitica

Gian Luigi Trucco
29.01.2019 06:00

Lugano - La quotazione del petrolio appare oggi soggetta a molte forze di segno opposto e, rispetto a quelle di natura economica, sono i fattori geopolitici che appaiono prevalenti. Proprio ieri la quotazione del WTI statunitense, a testimonianza delle tensioni sul mercato, è scesa nel corso della seduta del 4% a 51,56 dollari al barile e quella del Brent a 59,62 dollari al barile.

Comunque, da inizio anno, il Brent segna un guadagno del 10,70% ed il WTI del 11,37%, tale da condurre a prese di beneficio, tenuto conto del quadro complesso in cui il mercato del greggio si viene a trovare. Gli investitori ricordano i massimi di ottobre, con il Brent oltre 86 dollari, seguiti dalla brusca caduta, i forti rialzi per i timori di una rarefazione dell’offerta in conseguenze delle sanzioni USA all’Iran, ma seguite dalle «eccezioni» concesse ad otto Paesi dal Dipartimento di Stato di Washington. In concomitanza crescevano poi le incertezze sull’andamento economico globale e sui mancati sbocchi della guerra dei dazi fra gli USA e la Cina.

Ora si ripropone uno scenario simile. A frenare il rally del greggio è stato il dato di ieri sulla produzione industriale cinese e sui profitti da essa generati, che si unisce alla revisione al ribasso del PIL del Gigante Rosso, nonché il dato della società di servizi petroliferi Baker Huges sull’aumento, per la prima volta dopo molto tempo, del numero delle piattaforme attive nello sfruttamento di shale oil americano.

Ma se questi elementi possono aver accentuato le posizioni ribassiste, altri fattori appaiono favorevoli alla ripresa del rally. Anzitutto la volontà dell’OPEC, esplicitamente mostrata dal suo leader Arabia Saudita, di modulare la produzione per evitare un eccesso di offerta. Il boom dello shale potrebbe essere di breve durata, così come l’alto livello delle scorte che ha favorito le ultime correzioni. Ma a dominare il mercato è intervenuta soprattutto la crisi venezuelana che ha spinto l’unità di intelligence di Standard&Poor, nonostante tutti i fattori contrari, a dichiararsi nettamente rialzista, con un target di almeno 70 dollari al barile per il WTI, dunque nettamente superiore per il Brent, che ha storicamente nei confronti del WTI un differenziale intorno agli 8-10 dollari.

L’autoproclamazione del presidente ad interim Juan Guaidò, l’appoggio degli USA e di molti altri Paesi, la posizione ferma assunta dal segretario di Stato Mike Pompeo in aperto contrasto con Russia e Cina, l’ultimatum dell’Unione europea, hanno indotto il mercato a prevedere una escalation della crisi a Caracas, che peraltro è presidente di turno dell’OPEC, e la possibile imposizione di sanzioni anche al Venezuela, da cui gli USA importano, secondo i dati più recenti, quasi 18 milioni di barili al mese. Una situazione che creerebbe seri problemi alla raffinerie del Golfo del Messico.

Dunque sanzioni ancora a dominare il mercato, di cui un anticipo informale si è avuto proprio ieri, in quanto la Bank of England ha negato a Maduro il prelievo di 1 miliardo in oro che era detenuto nei caveau di Londra. Dopo Teheran, l’obiettivo potrebbe essere, già a breve termine, Caracas e forse più tardi, la stessa Mosca, a causa della sua politica estera e, ora, a maggior ragione, per l’appoggio fornito a Maduro. In realtà la produzione venezuelana ha subito, già a partire dalle ultime fasi della presidenza Chavez, un drastico calo del 70% e, secondo molti analisti, una vittoria di Guaidò potrebbe riportare in auge il settore.

Protagonista delle fasi più recenti dello scenario petrolifero è stato anche il colosso Saudi Aramco che, accantonato per il momento l’iter di quotazione, si appresta ad emettere almeno 10 miliardi di dollari di obbligazioni, denominati in questa valuta, per finanziare l’acquisizione del complesso petrolchimico Sabic. Per il debutto sul mercato internazionale dei capitali il CEO di Aramco, Amin Nasser, ha auspicato che le agenzie di rating le conferiscano la quotazione massima AAA, di cui godono già Exxon e Shell. Rimane tuttavia la questione della presenza di quasi tutti gli impianti del gruppo in un Paese che ha rating inferiore, per cui si creerebbe una «imbarazzante» concorrenza fra l’emittente privato e quello pubblico, che peraltro trae il 70% delle sue risorse finanziarie proprio dall’industria petrolifera. Proprio per questo, negli scorsi giorni Riad ha annunciato rilevanti investimenti volti ai programmi di diversificazione economica.