Le strade del dollaro USA e dell’euro, valute che sono in testa alla classifica

Il dollaro USA rimane la maggior valuta a livello mondiale, sia dal punto di vista delle riserve delle banche centrali sia dal punto di vista degli scambi. L’euro, nato nel 1999, occupa il secondo posto. È dunque naturale che l’euro/dollaro sia il cambio più seguito complessivamente nel contesto internazionale.
Secondo le ultime statistiche del Fondo monetario internazionale, riprese da «Il Sole 24 Ore», alla fine del 2020 il peso del dollaro americano sulle riserve delle banche centrali era pari al 59%, mentre quello dell’euro era di circa il 20%. Il dollaro mantiene quindi nettamente la sua leadership, che però è andata riducendosi nel corso del tempo, pur tra oscillazioni: al momento del varo dell’euro la quota del biglietto verde era infatti del 71 per cento.
Il rapporto
Alla nascita della moneta unica europea il cambio era di 1,16 dollari USA. Nel rapporto con la valuta americana l’euro ha toccato il suo punto più basso nel 2000, a 0,82 dollari; il picco per l’euro è stato invece nel 2008, attorno a 1,60 dollari.
Interessante è vedere come negli ultimi cinque anni le oscillazioni, che pure ci sono state, non hanno avuto l’ampiezza di fasi precedenti; in quest’ultimo quinquennio l’euro ha avuto i suoi minimi attorno a 1,05 dollari e i suoi massimi attorno a 1,25 dollari. Il cambio tra le due monete principali, visto con le lenti del lungo periodo, ha dunque assunto una relativa maggior stabilità. Ora il rapporto euro/dollaro è attorno a 1,19. Ora i riflettori sono accesi soprattutto sulle prospettive del dollaro. Quando su una moneta ci sono tassi di interesse maggiori, la sua attrattività cresce, soprattutto se si tratta di una moneta affidabile, espressione di un’economia rilevante.
Il dollaro USA ha già tassi più alti rispetto all’euro, ma operatori ed analisti si interrogano sui tempi dei prossimi rialzi dei tassi da parte della Federal Reserve, la banca centrale americana. Avendo adesso gli USA un’inflazione più alta di quella dell’Eurozona, ed essendo la stessa Fed più propensa a ridurre gradualmente la maxi liquidità che da tempo fornisce, l’aspettativa è che i tassi statunitensi vadano verso rialzi, favorendo la risalita del dollaro. Il quando non è però un elemento secondario. La Fed, come le altre maggiori banche centrali, afferma che l’attuale inflazione è temporanea, frutto del forte rimbalzo delle economie dopo la caduta legata alla pandemia, e che nei prossimi mesi quindi il rincaro si attesterà a livelli inferiori. La banca centrale USA tende dunque a spostare un po’ più in là il momento dell’inizio dei rialzi dei tassi.
Se così fosse, il dollaro americano non potrebbe quindi usufruire in tempi brevi del rialzo dei tassi e rimarrebbe da questo punto di vista nella situazione attuale. Nel caso la Fed si muova molto più in là, bisognerà vedere peraltro se a quel punto anche la Banca centrale europea sarà oppure no anch’essa in area rialzo tassi (sull’euro nel suo caso). Se invece la dinamica inflazione-tassi di interesse negli USA avesse un’altra evoluzione, con un rincaro superiore alle aspettative in questi mesi, allora la Fed potrebbe agire sui tassi in tempi più brevi. La maggior parte degli analisti per ora giudica come più probabile un’azione Fed non ravvicinata e prevede quindi un rapporto euro/dollaro a fine anno non molto diverso da quello attuale.
Nel lungo termine
Per quel che riguarda il lungo periodo, ci sono anche altri elementi. Dal punto di vista della crescita economica gli USA gli stanno andando più veloci dell’Eurozona e se conserveranno questo vantaggio il dollaro avrà una maggiore spinta. Sull’altro piatto della bilancia ci sono i deficit gemelli degli USA (commerciale e dei conti pubblici), che sono entrambi di dimensioni ragguardevoli e giocano contro il dollaro. Ma nell’immediato i fari sono puntati soprattutto sul capitolo tassi di interesse.