Convegno

Mari inquieti e rischi logistici, le imprese corrono ai ripari

A Genova, in un incontro promosso da Assagenti e organizzato da Star Comunicazione di Lugano, si è dibattuto sulle incognite dei traffici marittimi ormai condizionati da alcuni «punti caldi» sulla cartina geografica del Medio Oriente
©Luca Rei
Gian Luigi Trucco
08.07.2024 23:45

Mar Rosso, Suez, Stretto di Hormuz, Bab el-Mandeb, Golfo di Aden, Mar Nero, Malacca: sono solo alcuni dei molti punti «caldi» per la navigazione. Influenzano costi, rotte, operatività di armatori, agenti marittimi e portuali, oltre ovviamente a condizionare le aziende che dal sistema logistico dipendono per le loro esigenze di import ed export. I temi legati a questi scenari sono molteplici e complessi, come appare dagli interventi e dai dibattiti in occasione del convegno «Mari inquieti», svoltosi a Genova alla fine di giugno in concomitanza con l’Assemblea di Assagenti, l’associazione degli agenti e mediatori marittimi. L’evento, organizzato dalla Star Comunicazione di Lugano, è stato moderato dal giornalista e conduttore televisivo Nicola Porro.

Negli interventi di apertura il sindaco di Genova Marco Bucci e i rappresentanti delle categorie professionali hanno sottolineato come le sfide legate alle crisi ed alle evoluzioni geopolitiche possano divenire opportunità per un sistema portuale che si sta dotando di rilevanti infrastrutture, integrandosi con la costa meridionale del Mediterraneo e divenendo «porta selettiva» anche per le aziende dell’Europa meridionale. Peraltro è stato notato come il sistema portuale del Nord Europa si sia spesso rivelato insufficiente nell’assicurare l’approvvigionamento alle imprese. 

Un altro richiamo è venuto da Luigi Attanasio, presidente della Camera di Commercio genovese, secondo cui «protezionismo e sanzioni possono rappresentare per i flussi commerciali un problema più grave degli stessi eventi geopolitici».

Resta il fatto che il rischio di chiusura di uno o più choke point, cioè punti di strozzatura del traffico marittimo a livello globale, non concerne solo armatori, operatori portuali e logistici, come ha rilevato Bruno Dardani di Star Comunicazione, ma darebbe vita a una reazione a catena con effetti devastanti per l’economia e per la vita di molte popolazioni, incidendo sui rifornimenti energetici ed agroalimentari, di materie prime, prodotti finiti e merci di ogni genere.

Una ricca serie di dati al riguardo emerge dallo studio che il Centro Giuseppe Bono, istituzione genovese di consulenza per tutta la filiera del mare, ha realizzato per conto di Assagenti, e che è stato illustrato da Paolo Pessina, presidente di Assagenti stessa, e dall’Ammiraglio Sergio Biraghi, già Capo di Stato Maggiore della Marina. Lo studio riecheggia peraltro un’analoga ricerca condotta dalla Banca Mondiale sui costi diretti e indiretti generati dalla crisi del Mar Rosso. Considerato che oltre l’80% dell’interscambio commerciale mondiale viaggia via mare, oggi circa il 50% delle aree di transito sono a rischio. Alle crisi geopolitiche va aggiunto il terrorismo, la ripresa della pirateria, dall’Oceano Indiano al Golfo di Guinea allo Stretto di Malacca, vitale per il traffico da e per la Cina, corridoio della cosiddetta Via della Seta, fino alla crisi idrica a Panama, la cui rotta di attraversamento non ha alternative praticabili. 

Nodo strategico

Attraverso lo Stretto di Hormuz, alla soglia del Golfo Persico, transita oltre il 20% del traffico mondiale di petrolio, attraverso Suez il 12% dell’interscambio mondiale, il 15% del traffico container e una percentuale simile di cereali e fertilizzanti. I rischi per l’approvvigionamento di grano, mais, riso e soia sarebbero enormi e potrebbero portare alla carestia per molte comunità del Terzo Mondo e non solo. E cosa accadrebbe all’Europa ed al Nord Africa in caso di blocco di Gibilterra? Scenari foschi, su cui si è soffermato Paolo Pessina.

Ma, come è stato rilevato dai partecipanti al panel specialistico, pur in assenza, per il momento, di escalation delle crisi attuali o di eventualità future, il «risiko delle rotte» è già ben presente, se non altro a livello economico e logistico, con il loro allungamento e con la lievitazione di noli, costi operativi e di assicurazione anche se, come ha sottolineato Stefano Messina, Presidente di Assarmatori, con la volatilità l’industria dello shipping ha sempre imparato a convivere e, anche in queste circostanze eccezionali, gli armatori italiani hanno saputo garantire regolarità e continuità operativa del servizio, pur a fronte di un calo di oltre il 70% dei transiti da Suez.

Difendere il mare e assicurare al massimo grado il traffico è prioritario, ha affermato l’Ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina, che ha ricordato le altre tipologie di rischi che intelligence ed unità devono considerare: le azioni contro i cavi sottomarini, di cui quattro sono già stati tagliati dagli Houthi, i gasdotti e gli oleodotti.

Ma ai pericoli possono legarsi anche opportunità e tutti gli intervenuti si sono trovati d’accordo nel riconoscere una potenziale maggiore centralità del Mediterraneo, un nuovo ruolo per i porti del Maghreb e dell’area occidentale del bacino, anche grazie al reshoring ed alla maggiore importanza assegnata a livello politico alle attività marittime ed allo sfruttamento delle risorse dei fondali, inclusi quei metalli rari ed essenziali per l’alta tecnologia i quali, al momento, ci rendono pressochè dipendenti dalla Cina.

È però importante, ha concluso il Ministro Nello Musumeci, che Bruxelles guardi a Sud in termini positivi. Per il momento, gli armatori (non solo quelli genovesi) ancora faticano a digerire l’infausta tassa sulle emissioni.