Risparmio

Nel portafoglio degli svizzeri sempre più azioni nazionali

Stando a un'analisi di Vermögens Zentrum, fino al 2022 i tassi d'interesse ancora molto bassi hanno spinto gli investitori verso maggiore rischio – Anche i costi delle commissioni per i fondi attivi sono giudicati alti rispetto agli EFT
© AP Photo/Richard Drew
Generoso Chiaradonna
06.07.2024 06:00

Il risultato è frutto dell’analisi di oltre 4.400 rendiconti patrimoniali di altrettanti risparmiatori per un totale di asset superiore ai 3 miliardi di franchi. Si può dire quindi che il campione è ampio e sufficientemente rappresentativo delle scelte d’investimento finanziario degli svizzeri. Ebbene, stando a un’analisi di Vermögens Zentrum (VZ), osservando la distribuzione delle differenti classi d’investimento, emerge che negli ultimi anni la quota azionaria media per portafoglio è continuata ad aumentare. Se nel 2010 era pari al 48%, alla fine del 2022 si collocava al 58%, toccando il valore più alto registrato dalla fine della crisi finanziaria.

Questo incremento della quota azionaria nei depositi, si legge nello studio di VZ, è probabilmente dovuto in buona parte «alla notevole performance che i mercati azionari hanno avuto negli anni dal 2011 al 2021». «Da un lato, questo ha fatto aumentare il peso delle azioni come classe d’investimento, tranne nei casi in cui gli investitori non abbiano riportato la loro quota azionaria alla dimensione definita originariamente o non abbiano effettuato il cosiddetto ribilanciamento. Dall’altro, negli ultimi anni l’appetibilità delle azioni rispetto alle altre classi d’investimento è aumentata per via dei tassi d’interesse pari a zero o addirittura negativi». Da allora però i tassi sono aumentati in maniera significativa. Questo  andamento non si è ancora palesato nei portafogli analizzati dai consulenti di VZ. Sarà quindi interessante osservare se la quota delle azioni a partire da quest’anno subirà delle variazioni. Anche la quota di azioni svizzere detenuta è elevata (31,2%). Fenomeno noto come «home bias» e osservato anche in altri Paesi.

Ovviamente all’aumentare della quota azionaria diminuisce quella della liquidità e aumenta l’appetito per il rischio visto che il denaro sul conto risparmio in quella fase storica non generava redditi.

Conflitto d’interesse nascosto

Un altro aspetto che emerge dall’analisi è che i prodotti propri delle banche sono ampiamente diffusi, specialmente nei mandati di gestione patrimoniali. Si parla di prodotti propri di una banca quando quest’ultima emette dei fondi o dei prodotti strutturati o per lo meno li commercializza con il proprio nome. Spesso i consulenti propongono esclusivamente questi prodotti e ciò porta a un conflitto d’interesse in quanta la redditività è bassa per il cliente e alta per la banca.

Nel 2023 la quota dei prodotti propri delle banche ponderata in base al volume costituiva, come l’anno precedente, un 63%. Una quota ferma da quattro anni a circa due terzi del valore di tutti i portafogli analizzati. Per lo meno, il forte aumento precedente ha subito una battuta d’arresto: fra il 2013 e il 2020, infatti, la quota dei prodotti propri delle banche era più che raddoppiata. In particolare nel 2020 si segnala l’incremento più ragguardevole: dal 44 al 63%. Secondo gli esperti di VZ questo potrebbe essere dovuto al fatto che, per la prima volta, gli istituti bancari hanno dovuto dichiarare in forma esplicita nonché ufficiale i loro conflitti d’interesse nei regolamenti dei depositi.

Se si guardano le cifre, il fenomeno è ancora più evidente. Nel 2013, su 100 mila franchi investiti in media, circa 26.500 franchi erano destinati a prodotti della propria banca. Dieci anni dopo, nel 2022, il valore ha superato i 63 mila franchi, quindi è più che raddoppiato. In cifre assolute questo significa che per il 2023 dei tre miliardi di franchi dei depositi analizzati dagli esperti di VZ, 1,8 miliardi di franchi erano riservati a i prodotti finanziari delle banche stesse. «Molti investitori non sono probabilmente consapevoli di essere così dipendenti dalla propria banca e nemmeno di quanto siano alti i costi che devono sostenere per questo tipo di prodotti», si legge ancora nel rapporto. Di fatto, si continua, sono costi che generano un conflitto d’interesse che molte banche devono dichiarare in clausole redatte in caratteri piccoli, in cui dichiarano esplicitamente di essere incentivate  a preferire i propri prodotti e che ciò può dar luogo a conflitti d’interesse. Una problematica nota anche alla Finma, l’autorità di vigilanza dei mercati finanziari. Nel suo rapporto del 2022 fa notare questo rischio per prodotti che non sempre sono impiegati nell’interesse dei clienti. Infine, emerge anche che il potenziale di risparmio medio per le commissioni dei fondi supera i 10 mila franchi su cinque anni. E questo se si sostituissero i fondi attivi con ETF economicamente più vantaggiosi.