Nonostante la stretta della BCE, l'euro rimane debole
Continua a rimanere a livelli storicamente bassi e ampiamente sotto la parità il tasso di cambio tra franco ed euro. Ieri mattina, attorno alle 11.15 , per un euro ci volevano 0,9664 franchi. All’inizio della mattina il cambio era fissato a 0,9727 franchi per un euro. Le due valute non sono comunque ancora vicine al record toccato a fine agosto, quando un euro veniva scambiato a 0,9553 franchi.
E questo nonostante che la Banca centrale europea (BCE) abbia optato per la linea dura, decidendo di alzare di 0,75 punti percentuali il proprio tasso di riferimento, un aumento mai visto nella storia dell’istituto. E non sembra essere finita qui, dato che la presidente Christine Lagarde ha avvertito che ulteriori rialzi - tra due e quattro - sono all’orizzonte, una manovra necessaria per combattere un’inflazione «estremamente elevata». Una moneta debole è sì un vantaggio per l’esportazioni, ma contribuisce anche a importare inflazione visto che le materie prime importate costano di più. Viceversa, una moneta forte zavorra l’export di beni e servizi, ma attenua l’aumento dei prezzi di quelli importati.
La svalutazione continua
Stando a un giro di pareri fra gli addetti ai lavori raccolto dall’agenzia finanziaria Awp, il cambio euro/franco è destinato a scendere. Secondo gli esperti della Banca cantonale di Zurigo, nei prossimi tre mesi sarà stabilmente sullo 0,95. Raiffeisen prevede che passi a 0,94 entro fine 2022 e a 0,93 nel giro di un anno. Stando all’analista di Swissquote Ipek Ozkardeskaya, la Bce ha inasprito la sua politica monetaria per mantenere l’euro forte nei confronti del dollaro. Malgrado ciò, per John Plassard del gruppo bancario Mirabaud, il brusco rialzo dei tassi da parte del board della BCE non ha invertito la tendenza, con la moneta unica europea che continua a soffrire. Il biglietto verde rimane comunque ancora forte nei confronti della moneta europea. La parità non è stata ancora scalfita.
BNS pronta a tassi positivi
L’economista di Raiffeisen Alexander Koch è convinto che la decisione della Bce permetterà alla Banca nazionale svizzera (BNS) di aumentare a sua volta significativamente il proprio tasso d’interesse di riferimento, facendolo passare dall’attuale -0,25% fino in territorio positivo. Ciò dovrebbe avvenire durante la riunione dell’istituto del 22 settembre.
Tuttavia, prosegue Koch, la BNS non è sottoposta alla stessa pressione di BCE e Fed, in quanto il franco contribuisce ad attutire l’inflazione importata grazie al maggiore potere d’acquisto della moneta elvetica all’estero.
Inflazione indotta dall’offerta
«Se i mercati valutari non hanno reagito come normalmente ci si attende in seguito a decisioni di aumento dei tassi è perché la Banca centrale europea non ha comunicato in modo sufficientemente univoco la strada che intende perseguire. È mancata la cosiddetta forward guidance, ovvero un’indicazione più dettagliata della politica monetaria futura», afferma il professor Antonio Mele, ordinario di Finanza all’Università della Svizzera italiana (USI). «C’è anche da dire che l’inflazione europea attuale è indotta più dall’offerta (il caro energia e quello delle materie prime oltre alla situazione ucraina, ndr) che dalla domanda come negli Stati Uniti dove appunto la situazione è diversa. In questi casi la politica monetaria restrittiva è meno efficace, a meno di non aumentare i tassi d’interesse parecchio oltre l’attuale, ciò che non appare sostenibile», continua il professor Mele che ritorna alla comunicazione per spiegare la reazione dei mercati. «La presidente della BCE Christine Lagarde spiegando che l’inflazione nella zona euro è da offerta, ha implicitamente comunicato agli operatori che gli strumenti attuali per contenere l’aumento dei prezzi sono sostanzialmente deboli», spiega il professor Mele che è anche professore presso lo Swiss Finance Institute. In sostanza, lasciando intendere che le prossime mosse della BCE dipenderanno dai futuri dati, «i mercati hanno richiesto un premio al rischio per la grave incertezza che incombe intorno a questi dati, richiedendo pertanto meno dollari o franchi per un euro». Anche la fine della stagione del credito a costi bassi non è stata ben compresa. «Che si stia per entrare in un periodo di incertezza e di possibile recessione è noto da tempo ai mercati. Ma pure in questo caso la spiegazione del comportamento anomalo dei mercati finanziari è da ricercare nella comunicazione da parte dell’autorità monetaria», commenta Mele.