Nouriel «Dr. Doom» Roubini colpisce ancora: questa volta l'obiettivo è il Tesoro USA

Nouriel Roubini, l’economista della NYU noto anche alle nostre latitudini per la sua partecipazione ad eventi luganesi, ha ancora una volta «lanciato una pietra nello stagno» della finanza americana, accusando il Dipartimento del Tesoro USA di distorcere la curva dei rendimenti, mantenendo i tassi d’interesse artificialmente più bassi di quanto dovrebbero essere.
Roubini è conosciuto anche come «Dr. Doom» (dott. Destino) per le sue posizioni critiche, talvolta provocatorie, nei confronti di scelte economiche e finanziarie espresse da politici o colleghi, o per le sue previsioni che in molti casi si sono rivelate esatte pesando sulle spalle di contribuenti ed investitori. Fra le posizioni critiche di Roubini la più discussa è quella nettamente avversa alle criptovalute, agli ideatori e gestori delle relative piattaforme.
La questione della curva dei rendimenti può apparire accademica ma in realtà tocca anche il portafoglio delle persone, le scelte degli investitori e i conti delle imprese. Normalmente il rendimento di un’emissione obbligazionaria è maggiore quanto più lunga è la sua durata, ma un tasso a breve più alto che a lungo termine può segnalare una situazione critica o una tempesta in arrivo. E proprio la curva dei rendimenti sta subendo i contraccolpi della recente tempesta, causata dal dato USA sul mercato del lavoro e dai relativi timori di recessione. La forte correzione di Wall Street ha ulteriormente favorito i Treasury, già supportati dalle tensioni geopolitiche, ne ha fatto scendere i rendimenti, poi risaliti, ma soprattutto ha sanato momentaneamente l’«anomalia» della curva inversa, come non avveniva dal 2022. Ora però l’altalena è ripresa. Ieri in serata, con Wall Street in risalita, biennale rendeva 3,95% e il decennale 3,85.

Tutti guardano dunque alla Federal Reserve, chiedendosi quando e in quale misura taglierà i tassi. E c’è chi pensa addirittura a una mossa straordinaria prima del meeting di settembre, per il quale si scommette fra i 25 ed i 50 punti base di taglio, con un totale di 100 punti base prima della fine dell’anno e il raggiungimento del «livello neutrale» all’inizio del 2026. Ma per il presidente della Fed di Chicago, Austan Goolsbee, il dato di venerdì, pur se più debole del previsto, non sarebbe un segnale di recessione. La Fed riconosce tuttavia un mutamento di scenario e deve evitare misure troppo restrittive. Per vari economisti, poi, sul dato hanno inciso negativamente fattori meteorologici e stagionali.
Per Roubini il Tesoro di Janet Yellen «usurpa» comunque la funzione della Fed sostituendo l’emissione di Treasury a lungo termine con titoli a più breve scadenza, abbassando fittiziamente i rendimenti e rendendo più facile l’accesso al finanziamento per le aziende e gli investitori che operano a margine, cioè con denaro preso a prestito. Il quadro economico e finanziario finirebbe quindi col risultare distorto e, per certi versi, si porrebbero anche le condizioni per una maggiore attività speculativa sui mercati finanziari.
In realtà la dichiarazione di Nouriel Roubini, che si è sempre dichiarato pubblicamente vicino al partito democratico, riecheggia un’accusa più volte formulata alla Yellen dagli ambienti repubblicani, secondo i quali un abbassamento fittizio dei costi di indebitamento farebbe parte di una strategia economica in vista delle elezioni presidenziali di novembre. L’accusa è stata respinta con forza dalla Yellen.
Secondo lo studio di Roubini, realizzato con Stephen Miran, economista del Manhattan Institute e collaboratore del Tesoro sotto la presidenza di Donald Trump, la strategia di «sostituzione» avrebbe abbassato il rendimento del Treasury decennale di almeno un quarto di punto percentuale, corrispondente all’incirca al taglio di un intero punto percentuale operato ufficialmente dalla Fed, i cui tassi di riferimento si collocano attualmente al 5,25-5,50%.
Ricordiamo che negli USA il rendimento del Treasury decennale è la base per il calcolo di molti altri tassi debitorii, fra cui quelli ipotecari, che si collocano fra il 6 ed il 7% e quelli sulle carte di credito, che superano spesso il 20% all’anno. Considerando tutto questo, oltre alle altre forme di credito al consumo e credito professionale, gli effetti sono importanti per molti segmenti della popolazione, ove l’indebitamento personale è molto diffuso, oltre che per aziende e investitori finanziari.
In realtà manipolazioni e pressioni del mondo politico sull’arena finanziaria e sulla stessa Fed sono varie e antiche, indipendentemente dal colore politico dell’inquilino della Casa Bianca. Basterebbe ricordare come la facoltà data alla Fed di emettere cartamoneta per finanziare deficit e debito del Governo abbia condotto la massa monetaria a una crescita enorme: a titolo di esempio i 5 mila miliardi circa di dollari del 2000 hanno sfiorato i 16 mila miliardi nel 2020, punto di volta di un’impennata ripida che porta il volume attuale oltre i 21 mila miliardi. Non stupisce che il potere d’acquisto del biglietto verde sia andato progressivamente riducendosi e l’interesse globale nei suoi confronti vacilli. A ciò va aggiunto il volume altrettanto mastodontico di Treasury nelle loro varie forme e scadenze, su cui aleggia lo spettro del default, anche se almeno per il momento limitato.